Procedimenti e sanzioni disciplinari nel comparto Scuola. Linee di indirizzo generali
A) PREMESSA
La scuola dell'autonomia,
com'è noto, assume l'impegno e la responsabilità dell'apprendimento
di ciascuno studente e informa il suo operato alle regole della trasparenza,
della partecipazione e del rispetto dei singoli per sviluppare o rafforzare
in ognuno dei suoi attori - dal dirigente scolastico al personale amministrativo,
tecnico ed ausiliario, dai docenti agli alunni e alle loro famiglie - il
senso dell'appartenenza ad una comunità.
In essa ognuno, con pari
dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire
la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio,
lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni
di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione
e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia stipulata
a New York il 20 novembre 1989 e con i princìpi generali dell'ordinamento
italiano.
La comunità scolastica,
interagendo con la più ampia comunità civile e sociale di
cui è parte, fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla
qualità delle relazioni insegnante-studente, contribuisce allo sviluppo
della personalità dei giovani, anche attraverso l'educazione alla
legalità intesa non solo come rispetto delle regole di convivenza
democratica, ma anche dei doveri che ineriscono al ruolo e alla funzione
che ciascun soggetto è chiamato a svolgere all'interno della comunità
stessa.
A quest'ultimo riguardo,
gli studenti sono tenuti ad osservare i doveri sanciti dallo Statuto degli
studenti e delle studentesse, in particolare quelli contemplati negli articoli
3 e 4 del D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, il personale scolastico quelli
attinenti alla deontologia professionale enucleati dalla legge e dai Contratti
Collettivi Nazionali di Lavoro.
La scuola, quale primaria
e fondamentale istituzione pubblica, deve avere consapevolezza che i comportamenti
contrari a tali doveri costituiscono un grave vulnus dei princìpi
e dei valori sopra richiamati, poiché minano alla radice la possibilità
di realizzare con successo le finalità educative e formative poste
a fondamento dell'autonomia costituzionalmente garantita.
Ciò posto, occorre
richiamare la particolare attenzione di tutta l'Amministrazione scolastica
circa la necessità che gli strumenti di controllo, prevenzione e
repressione dei comportamenti che hanno rilevanza disciplinare siano utilizzati,
in applicazione della normativa vigente, con rigore, tempestività
ed efficacia.
Con riferimento all'applicazione
delle sanzioni disciplinari nei confronti del personale appartenente al
comparto Scuola, la Corte dei Conti, nell'ambito della relazione sulla
gestione dei procedimenti disciplinari da parte delle Amministrazioni dello
Stato, approvata con delibera n. 7 del 4 aprile 2006, ha evidenziato alcuni
aspetti di criticità che meritano la massima attenzione.
I rilievi attengono alla
necessità di assicurare il rispetto di termini, la continuità
dell'azione disciplinare, la coerenza delle varie fasi del procedimento,
il corretto bilanciamento dei contrapposti interessi connessi alle diverse
situazioni giuridiche coinvolte: da un lato, l'interesse dell'incolpato
ad un giudizio equo e ragionevole, dall'altro, l'interesse pubblico
all'immagine e al buon andamento della Pubblica Amministrazione, profilo
quest'ultimo da tenere in particolare e attenta considerazione quando oggetto
di valutazione sono le condotte che arrecano pregiudizio al prestigio della
scuola e ai valori fondamentali perseguiti dalla funzione educativa.
Su questi aspetti è
opportuno richiamare la responsabilità di tutti ad assumere un ruolo
attivo nella ricerca di misure organizzative e soluzioni gestionali idonee
a consentire una migliore efficienza ed efficacia dei procedimenti disciplinari.
Alle volte, la scarsa
attenzione riposta nell'osservanza dei requisiti formali che l'ordinamento
pone a garanzia del corretto svolgimento delle procedure, vanifica l'iniziativa
disciplinare anche in presenza di gravissime violazioni dei doveri inerenti
alla funzione esercitata.
A tale proposito, preme
nuovamente ricordare, in premessa, che la fissazione di un termine inferiore
a quello previsto perentoriamente dalle norme vigenti per la presentazione,
da parte dell'incolpato, delle tesi difensive rispetto alle infrazioni
contestate determina l'invalidità, spesso insanabile, della sanzione
successivamente adottata.
Del pari, il superamento
dei termini prescritti per l'attivazione e la conclusione del procedimento
disciplinare che consegue ad accertamento della responsabilità in
sede penale, di cui si dirà con maggior dettaglio più avanti.
E' causa, infine, di illegittimità
l'esercizio dell'azione disciplinare da parte di un organo incompetente,
che si verifica quando ad agire sia, ad esempio, il dirigente dell'Ufficio
scolastico provinciale privo di specifica delega conferitagli dal Direttore
generale dell'Ufficio scolastico regionale.
In questi, come anche
in altri casi, in cui a rilevare è, invece, l'inerzia dell'organo
procedente che o non riassume tempestivamente il procedimento a seguito
di sentenza penale irrevocabile di condanna, oppure giunge ad irrogare
la sanzione dopo un irragionevole lasso di tempo, ossia quando addirittura
non è più percettibile lo stesso disvalore della condotta
illecita perseguita, si determina, di fatto, la vanificazione dell'iniziativa
disciplinare, con conseguenze assolutamente riprovevoli per la comunità
scolastica, oltre che sul piano della tutela dell'immagine e del razionale
utilizzo delle risorse impiegate nell'esercizio della funzione disciplinare.
In altre parole, la rapidità
nell'adozione del provvedimento disciplinare, ferme restando le garanzie
a difesa del lavoratore, consente al provvedimento stesso di esplicare
pienamente la sua funzione sia sanzionatoria che riparatoria, funzione
altrimenti compromessa da un'eccessiva durata dei procedimenti in questione.
Nel ricercare la sanzione
da infliggere, sarebbe opportuno, comunque, tenere in debita considerazione
anche il grado di allarme sociale provocato dalla particolare gravità
dei fatti per i quali si procede, sempre nel rispetto dei princìpi
fondamentali della gradualità e proporzionalità.
In conclusione della premessa,
giova, inoltre, richiamare la massima attenzione sulla rilevanza che la
corretta gestione dei procedimenti disciplinari riveste non solo ai fini
della valutazione della dirigenza ai sensi degli articoli 21 e 25 del D.L.vo
n. 165/2001, ma anche sotto il profilo della responsabilità penale,
civile ed amministrativa.
B) IL RISPETTO DEI TERMINI
Con riferimento ai termini
per presentare le difese, si rammenta che per quanto riguarda la censura
e l'avvertimento scritto, il termine deve essere non superiore a 10 giorni,
ai sensi dell'articolo 101, comma 1, del D.P.R. n. 3/1957, recante lo Statuto
degli impiegati civili dello Stato, come richiamato dall'articolo 507 del
D.L.vo n. 297/1994. Tale termine può essere ridotto fino a due giorni
per il personale docente a tempo determinato (cfr., articolo 538 del D.L.vo
n. 297/1994).
Per le altre sanzioni,
il termine è di 20 giorni dalla notifica della contestazione, se
trattasi di personale docente a tempo indeterminato; di 10 giorni, per
quello a tempo determinato (cfr., rispettivamente, l'articolo 105 del D.P.R.
n. 3/1957, che è richiamato dall'articolo 507 del D.L.vo n. 297/1994,
e l'articolo 538 del D.L.vo n. 297/1994).
Per quanto riguarda i
termini entro i quali va intrapresa e conclusa l'azione disciplinare, si
ritiene di fornire le seguenti precisazioni riepilogative, suddivise a
seconda delle diverse ipotesi:
1) Procedimenti disciplinari
originati da giudizio penale
Qualora sia intervenuta
sentenza penale definitiva di condanna, i termini per iniziare ovvero riassumere
l'azione disciplinare, e per portare a termine il procedimento, per tutte
le categorie di personale, sono quelli dettati dall'art. 5, 4° comma
della legge 27/3/2001 n. 97, contenente le "Norme sul rapporto tra procedimento
penale e disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei
dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche": rispettivamente, novanta
giorni dalla comunicazione della sentenza e i successivi centottanta giorni.
Si rammenta che la Corte Costituzionale, con sentenza 21-24 giugno 2004,
n. 186 (Gazz. Uff. 30 giugno 2004, n. 25 - 1ª serie speciale), ha
dichiarato l'illegittimità del comma 3, dell'articolo 10 della legge
n. 97/2001, nella parte in cui prevede, per i fatti commessi anteriormente
alla data di entrata in vigore della legge medesima, "l'instaurazione
dei procedimenti disciplinari entro centoventi giorni dalla conclusione
del procedimento penale con sentenza irrevocabile di condanna, anziché
entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'Amministrazione
o all'ente competente per il procedimento disciplinare".
Ai fini di cui sopra,
pertanto, è indispensabile che le SS.LL. seguano l'evolversi dei
procedimenti penali, chiedendo periodicamente notizie all'Autorità
giudiziaria competente, ed acquisendo agli atti, con tempestività,
le relative sentenze.
Si reputa necessario rammentare,
in proposito, che i procedimenti penali pendenti nei confronti del personale
sospeso cautelarmente dal servizio devono essere seguiti anche quando il
personale stesso viene collocato a riposo (per dimissioni volontarie, per
anzianità, ecc.) in quanto il Consiglio di Stato, con decisione
n. 8 del 6/3/1997 ha stabilito che l'Amministrazione, al fine di regolare
gli effetti economici della sospensione cautelare, deve instaurare il procedimento
disciplinare "ancorché l'interessato sia cessato dal servizio anteriormente
al giudicato penale".
2) Procedimenti disciplinari
non originati da procedimenti penali
In questi casi, con riferimento
particolare al personale docente, in mancanza di un termine espresso per
l'esercizio dell'azione, la contestazione degli addebiti va effettuata
"tempestivamente", e comunque, entro un termine congruo in relazione alle
circostanze in cui l'Amministrazione è venuta a conoscenza dell'infrazione.
Quando, poi, viene disposta,
per gravi motivi, la sospensione cautelare facoltativa, in applicazione
del combinato disposto degli artt. 506, 507 del D.L.vo 16/4/1994, n. 297
e art. 92 del D.P.R. 10/1/1957, n. 3 il relativo procedimento disciplinare
deve essere instaurato - perentoriamente - entro il termine di quaranta
giorni dalla data in cui è stato comunicato il decreto di sospensione.
In materia disciplinare,
peraltro, è da considerarsi tuttora vigente per il personale docente
quanto previsto dall'art. 120 del D.P.R. 10/1/1957, n. 3. Tale norma prevede
la "estinzione del procedimento" quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo
atto "senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto".
Sul punto è utile
ricordare che, per giurisprudenza consolidata, il suddetto termine di perenzione,
si interrompe ogni qualvolta, prima della sua scadenza, venga adottato
un atto, anche interno, proprio del procedimento disciplinare (ad esempio,
la richiesta di ulteriori atti ed informazioni all'Amministrazione da parte
del Consiglio di disciplina).
Si raccomanda, pertanto,
la scrupolosa osservanza dei termini previsti per l'instaurazione, il proseguimento
e la conclusione del procedimento disciplinare.
C) LA SOSPENSIONE CAUTELARE
Si è detto in premessa
che il rigore nell'attivazione degli strumenti disciplinari opera a salvaguardia
dei valori fondamentali connessi alla funzione educativa.
Conseguentemente, l'esigenza
di tutelare il rapporto fiduciario che si instaura tra l'utente (o, comunque,
il destinatario dell'attività amministrativa) e le istituzioni pubbliche,
assume, nei confronti della comunità scolastica, una rilevanza peculiare.
Tale legame, in presenza
di comportamenti contrari ai doveri d'ufficio che assumono carattere di
particolare gravità, rischia di essere incrinato laddove venisse
confermata la permanenza in servizio e la possibilità di agire di
colui che di tali addebiti è chiamato a rispondere.
In questi casi, al fine
di tutelare il "buon andamento" del servizio di istruzione, ai sensi dell'art.
97 Costituzione, e dunque di assicurare massima protezione ai beniinteressi
sottesi al regolare e corretto esercizio della funzione educativa, l'ordinamento
ha riconosciuto in capo all'Amministrazione il potere di adottare, anche
prima che sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare, specifici
provvedimenti di sospensione cautelare dall'esercizio delle funzioni, nel
rispetto delle garanzie che devono essere, comunque, assicurate all'incolpato.
Ne segue che il procedimento
di sospensione cautelare viene in evidenza nelle ipotesi in cui, stanti
la gravità dei fatti accaduti ed il conseguente turbamento della
comunità scolastica, si configura la necessità e l'urgenza
di adottare delle misure provvisorie in attesa di un puntuale accertamento
dei fatti in sede di procedimento penale e/o disciplinare. Il carattere
di misura precauzionale-interinale della sospensione cautelare, pertanto,
porta ad escludere qualunque assimilazione della stessa ad un provvedimento
sanzionatorio, posto che, in ogni caso, la situazione da essa incisa, per
superiori motivi di interesse pubblico, è suscettibile di essere
completamente reintegrata, in caso di esito favorevole del procedimento
penale o disciplinare.
Si richiama, altresì,
la particolare attenzione delle SS.LL. sulla necessità che l'adozione
dei provvedimenti cautelari in questione sia preceduta da una puntuale
verifica della sussistenza dei presupposti di legge, di seguito richiamati,
che rendono opportuno l'esercizio del potere di sospensione.
Esclusi i dipendenti appartenenti
ai ruoli del personale Ata, nei cui confronti valgono le disposizioni contenute
negli articoli 89 e seguenti del C.C.N.L., comparto Scuola, vigente, per
il personale docente ed educativo la materia in questione è disciplinata
dagli articoli 91-99 del Testo Unico degli impiegati civili dello Stato,
di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, già citato, in virtù dell'esplicito
rinvio operato dall'articolo 506 del D.L.vo n. 297/1994, nonché
dalla legislazione successiva applicabile a tutti i pubblici dipendenti.
Il legislatore individua
due tipi di intervento cautelare: la sospensione obbligatoria e quella
facoltativa.
La sospensione è
obbligatoria quando:
– sia stata emessa dall'Autorità
giudiziaria procedente una misura cautelare restrittiva della libertà
personale (art. 91, comma 1, seconda Parte, D.P.R. n. 3/1957, citato);
– il dipendente, ai sensi
dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 97/2001, già citata, sia
stato condannato anche non definitivamente, e ancorché sia concessa
la sospensione condizionale della pena, per alcuni reati tassativamente
indicati: peculato, concussione, corruzione per un atto contrario ai doveri
d'ufficio, corruzione in atti giudiziari e corruzione di persona incaricata
di pubblico servizio.
In presenza di queste fattispecie
l'adozione del provvedimento cautelare è del tutto svincolata da
qualsiasi valutazione dell'Amministrazione che deve, pertanto, comminarla
al ricorrere delle circostanze obiettive poste dalla norma. La Corte Costituzionale,
con sentenza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 145 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002,
n. 18 - 1ª serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità
del suddetto comma, nei sensi di cui in motivazione, nella parte in cui
dispone che la sospensione perda efficacia decorso il periodo di tempo
pari a quello della prescrizione del reato.
Con riferimento alle ipotesi
di sospensione cautelare obbligatoria giova, altresì, segnalare
che ai sensi del comma 5, dell'articolo 506, sopra richiamato, la sospensione
cautelare doveva essere disposta d'ufficio quando ricorreva uno dei casi
ostativi alla candidatura presso organi elettivi delle regioni e degli
enti locali, tassativamente contemplati dall'articolo 1, comma 1, della
legge 18 gennaio 1992, n. 16. A seguito dell'abrogazione di quest'ultima
disposizione da parte dell'articolo 274 del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), in forza
della norma finale dettata dal successivo articolo 275, il richiamo deve
oggi intendersi riferito alle ipotesi individuate dall'articolo 15 del
medesimo decreto legislativo.
La sospensione cautelare
è, invece, facoltativa in due casi:
– quando il dipendente
è sottoposto ad un procedimento penale per un reato particolarmente
grave (art. 91, comma 1, prima Parte, D.P.R. n. 3/1957, citato);
– quando ricorrono gravi
motivi, indipendentemente dalla loro rilevanza penale, "anche prima che
sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare" (art. 92, comma 1,
D.P.R. n. 3/1957, cit.). La valutazione in ordine alla gravità dei
motivi è rimessa al prudente apprezzamento dell'organo competente
ad adottare il provvedimento.
In entrambe le suddette
ipotesi di sospensione facoltativa, va compiuto un apprezzamento in merito
all'interesse pubblico concretamente configurabile ed alla valutazione
se esso sia tale da richiedere l'allontanamento provvisorio del dipendente
dal servizio. E' rilevante, in particolare, tenere conto sia della natura
di particolare gravità del reato, sia dell'opportunità di
adottare il relativo provvedimento con riguardo ai precedenti ed alla personalità
del dipendente ed all'interesse dei fruitori del servizio scolastico e
dell'Amministrazione stessa.
Deve, comunque, essere
effettuata una tempestiva e rigorosa valutazione nei seguenti casi:
a) nei confronti di chi
è imputato di reati (609/bis - violenza sessuale - e seguenti del
Codice Penale) in danno di minori affidati;
b) quando la gravità
dei reati contestati tende ad inficiare quel rapporto di fiducia intercorrente
tra il dipendente e l'Amministrazione tanto da non consentire più
la prosecuzione di un corretto rapporto di lavoro;
c) quando i fatti contestati
appaiono in evidente, palese contrasto con la funzione (dirigenziale, docente
o amministrativa) istituzionalmente espletata o come atti non conformi,
in maniera grave, ai doveri specifici inerenti alla funzione stessa.
L'interesse del dipendente
rimesso in libertà ad essere reintegrato in servizio, pertanto,
deve essere comparato con l'eventuale pregiudizio che la riammissione in
servizio può arrecare alla regolarità del servizio ed al
prestigio della scuola.
Da ultimo, alcuni chiarimenti
in ordine all'individuazione degli organi competenti in materia di sospensione
cautelare obbligatoria e facoltativa.
La competenza ad adottare
i provvedimenti di sospensione cautelare obbligatoria è attribuita
"al Provveditore agli Studi, quando si tratta di personale appartenente
ai ruoli provinciali", e "al Direttore generale o al capo del servizio
centrale competente, quando si tratta di personale appartenente ai ruoli
nazionali" (articolo 506, comma 2, D.L.vo n. 297/1994, citato). La norma,
evidentemente, non tiene conto del nuovo assetto che il Ministero ha assunto
per effetto delle riforme intervenute alla fine degli anni Novanta. In
base all'attuale organizzazione, pertanto, l'organo competente deve essere
individuato, per entrambi i casi, nel Direttore generale dell'Ufficio scolastico
regionale o nel dirigente munito di specifica delega.
Ai sensi dell'articolo
506, D.L.vo n. 297/1994, citato, la sospensione cautelare facoltativa "è
disposta dal Ministero della Pubblica Istruzione". Anche per tale ipotesi
la competenza è da ritenersi ormai attribuita al Direttore generale
dell'Ufficio scolastico regionale o al dirigente munito di specifica delega.
Corre l'obbligo, infine,
di rammentare che il comma 4 del più volte citato art. 506 prevede
una "norma di chiusura" volta a regolamentare quelle ipotesi residuali
in cui la necessità del provvedimento cautelare derivi da "ragioni
di particolare urgenza". In tali casi, in deroga alle regole predette che
individuano l'organo competente nel dirigente dell'Ufficio scolastico regionale
(o di un dirigente da questi delegato), "la sospensione cautelare può
essere disposta dal direttore didattico o dal preside" (leggasi dirigente
scolastico) "sentito il collegio dei docenti per il personale docente,
salvo convalida da parte dell'Autorità competente cui il provvedimento
dovrà essere immediatamente comunicato. In mancanza di convalida
entro il termine di dieci giorni dall'adozione, il provvedimento di sospensione
si intende revocato di diritto". Anche in questo caso, la verifica della
ricorrenza delle "ragioni di particolare urgenza", deve essere oggetto
di prudente ed attento apprezzamento.
D) COMPETENZE DEL DIRETTORE
GENERALE DELL'UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE
Ferme restando le considerazioni
appena svolte con riferimento all'adozione dei provvedimenti di sospensione
cautelare, le competenze circa l'irrogazione delle sanzioni disciplinari
sono regolate minutamente dal C.C.N.L., comparto Scuola, vigente, per quanto
riguarda il personale Ata, e dalle norme cui il medesimo Contratto rimanda
nel caso già accennato del personale docente, in cui si rinvia al
decreto legislativo n. 297/1994.
In particolare, per quanto
riguarda le sanzioni previste dall'art. 492, lettere d) ed e), del citato
decreto (sospensione per sei mesi con successiva utilizzazione in altri
compiti diversi dall'insegnamento e destituzione), il successivo art. 503,
comma 2 prevede la competenza del Ministro, acquisito il parere degli organi
collegiali competenti.
Al riguardo, sentito anche
l'Ufficio legislativo di questo Ministero, si ritiene che la disposizione
del citato art. 503, comma 2, sia da intendersi implicitamente superata
per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 4, commi 1 e 2 , del decreto
legislativo n. 165/2001, con il quale viene stabilito il principio che
agli Organi di governo di ciascuna Amministrazione spettano funzioni di
indirizzo politico-amministrativo, mentre è riservato ai dirigenti
l'adozione di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi, ivi compresi,
quindi, quelli relativi alla gestione del rapporto di lavoro del personale
di ciascuna Amministrazione. Pertanto, ferma la specifica disciplina contrattuale
in tema di sanzioni disciplinari per i dirigenti scolastici ed il personale
Ata, la competenza ad irrogare le sanzioni disciplinari al personale docente
è attualmente attribuita solo agli organi amministrativi, anche
in relazione a quelle sanzioni disciplinari che la normativa precedente
al decreto legislativo n. 165/2001 rimetteva alla competenza del Ministro.
Anche per le sanzioni,
dunque, di cui alle lettere d) ed e), dell'art. 492, del decreto legislativo
n. 297/1994, la competenza deve essere riconosciuta direttamente in capo
al Direttore Generale dell'Ufficio scolastico regionale che adotterà
la sanzione, acquisito il parere dell'organo collegiale competente.
E) PROCEDIMENTI PENALI
ED ESERCIZIO DELL'AZIONE DISCIPLINARE
La Corte dei Conti ha
rilevato che, in diverse occasioni, ai procedimenti disciplinari instaurati
dall'Amministrazione sulla base di sentenze penali di condanna - anche
per fatti gravissimi - non conseguono sanzioni appropriate.
Una siffatta prassi causa,
con ogni evidenza, turbative particolarmente gravi nel mondo della scuola,
per le caratteristiche del servizio scolastico, per la presenza in genere
di minori, e per l'indubbia valenza formativa anche della stessa condotta
degli operatori del settore, da cui scaturisce l'esigenza di un'azione
delle Autorità scolastiche, ad ogni livello, coerente con i princìpi
etici e sociali trasmessi.
I rilievi della predetta
Magistratura sono corredati da una lunga disamina, per diverse aggregazioni,
dei dati raccolti con il monitoraggio condotto annualmente, a partire dal
1995, dall'Ufficio di controllo - mediante schede e questionari inoltrati
a tutti gli Uffici scolastici provinciali - e coordinato presso questo
Ministero dal Servizio di controllo interno.
Le osservazioni prospettate
rendono necessario richiamare l'attenzione sulla necessità, per
l'avvenire, di valutare - pur nel rispetto del principio di "gradualità
e proporzionalità della sanzione" - con maggiore tempestività,
severità e rigore tutti quei procedimenti disciplinari che in particolare
trovano fondamento in sentenze penali di condanna per reati di gravità
tale da provocare nell'opinione pubblica particolare allarme sociale, a
partire dal puntuale esercizio del potere di sospensione.
Con riferimento particolare
ai reati a sfondo sessuale, causa di evidente e legittima preoccupazione
sociale perché riferiti al mondo della scuola frequentato prevalentemente
da alunni minori, occorre evitare con la massima efficacia il rischio che
i primari interessi consistenti nella prevenzione, nel rigore verso i condannati,
nella vigilanza, nella certezza dei rimedi, possano essere conculcati o
sacrificati alla logica della tolleranza verso i dipendenti condannati.
Si sottolinea, in proposito,
che con legge n. 38 del 6/2/2006 avente ad oggetto: "Disposizioni in
materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia
anche a mezzo internet", è stato previsto, all'art. 5, l'emendamento
dell'art. 600/septies del Codice Penale con l'aggiunta, infine, del seguente
comma: "La condanna o l'applicazione della pena su richiesta delle parti
a norma dell'art. 444 del Codice di Procedura Penale (patteggiamento) per
uno dei delitti di cui al primo comma (ndr., violenza sessuale
- circostanze aggravanti - violenza sessuale di gruppo - atti sessuali
con minorenni - corruzione di minorenne) comporta in ogni caso l'interdizione
perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché
da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private
frequentate prevalentemente da minori".
La valutazione operata
dal legislatore appare perentoria ed indefettibile, sancendo l'assoluta
incompatibilità della permanenza in servizio dei colpevoli dei reati
collegati alla sfera sessuale.
Da ciò consegue,
quale effetto ulteriore connesso all'applicazione della suddetta pena accessoria,
il venir meno della necessità di attivare il procedimento disciplinare.
A tal proposito, è
opportuno ricordare che il Consiglio di Stato, Sezione II, Commissione
speciale per il pubblico impiego, con parere n. 285/1991 (divulgato dal
Gabinetto dell'on. Ministro a tutti gli Uffici periferici con nota n. 11506
del 15 febbraio 1993), ha stabilito, in via generale, che la pena accessoria
dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici "rende improduttivo di effetti,
e perciò inutile, il procedimento disciplinare, dato che, qualunque
sia la valutazione da parte dell'Amministrazione del comportamento delittuoso
tenuto dal dipendente, la riammissione in servizio troverebbe un ostacolo
insuperabile nella pronuncia penale, la quale esclude di per sé
qualsiasi possibilità di reingresso nel posto di lavoro già
occupato".
Come previsto espressamente
dal predetto articolo 5, tale normativa si applica anche nel caso di patteggiamento
per reati commessi nei confronti di persona che non ha compiuto i diciotto
anni.
Tanto premesso, appare
utile riproporre il quadro normativo-contrattuale che regola la materia
per il personale dirigente, docente, educativo ed Ata.
Il Capo IX del Contratto
Collettivo Nazionale del comparto Scuola 2002/2005 riguarda le norme disciplinari
del personale docente e del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario.
Per quanto riguarda il
personale docente, l'art. 88 - Sezione I - del citato Contratto rimanda,
come già detto, alle norme contenute nel decreto legislativo n.
297/1994 e rinvia una nuova definizione delle norme disciplinari alla negoziazione
che dovrà essere attivata nei 30 giorni successivi all'entrata in
vigore della legge di riordino degli organi collegiali.
La Sezione II del suddetto
Capo IX, agli articoli 89 e seguenti, regolamenta tutta la materia disciplinare
del personale Ata, prevedendo varie sanzioni che variano dal rimprovero
verbale al licenziamento senza preavviso. Le sanzioni sono inflitte dal
dirigente scolastico e dal Direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale
a seconda della gravità dell'azione commessa.
Per il personale dirigente
scolastico dell'area V si applica il relativo Contratto, il quale prevede
che, qualora dal procedimento di valutazione del dirigente emergano responsabilità
dirigenziali o, comunque, una valutazione non positiva, il dirigente può
essere sottoposto ai seguenti provvedimenti:
1) mutamento d'incarico;
2) recesso unilaterale
dell'Amministrazione.
1) Rapporto tra procedimento
penale e disciplinare (legge 27/3/2001 n. 97)
Si ritiene opportuno,
inoltre, richiamare l'attenzione delle SS.LL. sulla necessità di
osservare scrupolosamente quanto statuito dalla legge 27/3/2001, n. 97,
già citata.
Com'è noto, la
suddetta legge prescrive che il dipendente:
– se rinviato a giudizio
per i reati di cui agli articoli 314, primo comma (peculato), 317 (concussione),
318 (corruzione per un atto d'ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario
ai doveri di ufficio), 319/ter, 320 (corruzione di persona incaricata di
un pubblico servizio) del Codice Penale - venga trasferito in una sede
diversa da quella in cui prestava servizio al momento del fatto (art. 3,
1° comma, legge n. 97/2001, cit.);
– se condannato in 1°
grado per gli stessi reati, anche con sentenza non passata in giudicato,
debba essere sospeso cautelarmente dal servizio. La sospensione deve essere
revocata, viceversa, quando viene pronunciata sentenza di proscioglimento
o di assoluzione, anche non definitiva.
Inoltre, in applicazione
dell'art. 32/quinquies del Codice Penale, introdotto dall'art. 5, 2°
comma della stessa legge, la condanna definitiva alla reclusione per un
tempo non inferiore a tre anni comporta l'estinzione del rapporto di impiego,
per i suddetti delitti.
Da ultimo, si richiama
l'attenzione sugli artt. 652 e 653 C.P.P., come modificati dalla legge
n. 97/2001, citata, per quanto riguarda l'efficacia di giudicato, nel procedimento
disciplinare, rispettivamente della sentenza irrevocabile di assoluzione
ovvero di condanna.
Si rammenta, infine, che
la previsione dell'art. 2 della più volte citata legge n. 97/2001,
innovando la formulazione dell'art. 445, comma 1, secondo periodo, del
C.P.P., in correlazione alla precedente modifica all'art. 653, porta a
concludere per l'equiparazione a condanna definitiva, ai fini dell'azione
disciplinare, della sentenza che applica la pena su richiesta (c.d. patteggiamento).
A tal proposito, occorre tenere presente che la Corte Costituzionale, con
sentenza 10-25 luglio 2002, n. 394 (Gazz. Uff. 31 luglio 2002, n. 30 -
1ª serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
del comma 1, dell'articolo 10 della legge n. 97/2001, nella parte in cui
prevede che gli articoli 1 e 2 della medesima legge "si riferiscono
anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciata
anteriormente alla sua entrata in vigore".
2) Utilizzazione in
compiti diversi dall'insegnamento e sanzione espulsiva
La circostanza, per il
personale docente, che la misura dell'utilizzazione in compiti diversi
- in aggiunta alla sanzione della sospensione dall'insegnamento per sei
mesi - sia prevista dall'art. 496 del T.U. n. 297/1994 solo in conseguenza
di processi penali conclusi con condanna irrevocabile o quanto meno confermata
in grado di appello, non esclude che, in presenza dei medesimi presupposti
con carattere di particolare gravità, il procedimento disciplinare
possa concludersi con la sanzione della destituzione.
Tanto, fermo restando
quanto sopra precisato circa la previsione dell'art. 5, 2° comma, della
legge n. 97/2001.
3) Recidiva e riabilitazione
Si richiama, altresì,
l'attenzione delle SS.LL. su quanto prescritto dall'art. 499 del citato
D.L.vo n. 297/1994, norma di portata generale applicabile anche alle ipotesi
di sanzione disciplinare non dipendente dalla commissione di reati, che
prevede - in caso di recidiva - l'inflizione della sanzione prevista nella
misura massima, ovvero l'aumento "sino ad un terzo" nel caso in cui tale
misura sia stata già irrogata.
Per quanto riguarda la
riabilitazione di cui al successivo art. 501, si ritiene che il relativo
provvedimento, previa acquisizione dei prescritti pareri sulla condotta
del dipendente, vada adottato dalle SS.LL.
In proposito, sarebbe
opportuno escludere - ad avviso di questo Ministero - qualsiasi automatismo.
Infatti, nel momento di
esprimere il necessario parere sull'istanza di riabilitazione di un dipendente
in precedenza condannato, e successivamente sanzionato con la "sospensione
per mesi sei", con utilizzazione in compiti diversi, per fatti di notevole
gravità, l'Amministrazione deve valutare con particolare attenzione
tale richiesta procedendo ad una comparazione tra l'interesse del docente
ad essere reintegrato e l'eventuale pregiudizio che la restituzione all'insegnamento
può arrecare alla regolarità del servizio ed al prestigio
dell'istituzione scolastica.
Detta valutazione dovrebbe
consistere in un rapporto che:
1) dichiari espressamente
il carattere temporaneo dell'incompatibilità del soggetto con i
compiti propri del rapporto educativo, che a suo tempo aveva motivato la
sanzione;
2) riferisca circa il
ravvedimento del soggetto, che non può limitarsi alla prestazione
di un quinquennio di servizio senza demerito, ma dovrebbe tradursi in atti
e comportamenti concreti in relazione alla natura del reato per cui vi
fu condanna, ovvero essere attestata in rapporti di organismi tecnicamente
competenti (ad es.: servizi sociali incaricati dal giudice di sorveglianza).
In tale circostanza deve
essere anche valutato, in maniera approfondita, l'indice di pericolosità
del dipendente e, cioè, l'attitudine a reiterare comportamenti che
possono mettere a repentaglio l'incolumità dei discenti.
Nulla esclude, infatti,
che l'Amministrazione, in caso di valutazione negativa, possa rigettare
la richiesta di riabilitazione.
4) Rapporti tra procedimento
disciplinare, trasferimento per incompatibilità ambientale e dispensa
dal servizio
Da ultimo, appare necessario
richiamare l'attenzione sulle ulteriori disfunzioni e inefficienze che
può determinare, in taluni casi, l'uso improprio del procedimento
disciplinare in luogo degli strumenti all'uopo predisposti dall'ordinamento.
Si tratta, in particolare,
di quelle fattispecie in cui a rilevare sono condotte del personale scolastico
che non integrano gli estremi dell'illecito disciplinare, bensì
richiedono una valutazione sulla capacità o idoneità a svolgere
proficuamente la funzione, oppure sull'opportunità di adottare d'ufficio
un provvedimento di trasferimento in sede diversa da quella in cui si presta
servizio.
Gli strumenti utilizzabili
sono indicati dagli articoli 512, 468 e 469 del D.L.vo n. 297/1994, più
volte citato, che disciplinano modalità procedurali e organi deputati
all'adozione dei provvedimenti, rispettivamente, di dispensa dal servizio
per incapacità didattica, inidoneità fisica o per persistente
insufficiente rendimento e di trasferimento per incompatibilità
ambientale.
Sulla tematica in questione,
e anche sugli altri aspetti di maggiore complessità trattati nella
presente circolare, sono in atto specifici approfondimenti per fornire,
con successive comunicazioni, alle SS.LL. utili e tempestivi elementi di
supporto.
Le SS.LL. sono pregate di dare massima diffusione alla presente ai dirigenti delle istituzioni scolastiche che risiedono nei territori di competenza.
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