Scuola Governo delle scuole separato dalla partecipazione democratica
e controllo da parte di consigli di amministrazione aziendalisti su gestione
della scuola, assunzione degli insegnanti e valutazione degli studenti.
Questo il programma di Confindustria per l’istruzione tecnica.
Secondaria superiore. Confindustria: a chi l’istruzione tecnica?
A noi!
13-11-2008
Alcuni giorni fa, per l’esattezza l’8 novembre, i giornali hanno riportato
la notizia di un incontro tra il Ministro Gelmini e Confindustria da cui
sono stati allontanati i giornalisti, compreso persino quello del Sole
24 Ore. Come dimostra il più noto e recente invito a Palazzo Grazioli
che ha coinvolto i segretari di Cisl, Uil e Confindustria, usciti dalla
porta di servizio, gli incontri segreti sono diventati la modalità
prediletta da questo governo.
Fatto sta che per questo motivo non sappiamo che cosa si sia discusso
in quella sede tra Gelmini e Confindustria. Ma crediamo di non andare lontano
dal vero se pensiamo che l’argomento prescelto sia stato quello dell’istruzione
tecnica e della sua trasformazione in un docile strumento di quest’ultima
per procurasi gratis quadri aziendali il più possibile sottomessi
alle scelte produttive delle aziende.
Tutto ciò è desumibile da un documento di Confindustria
ufficialmente non ancora reso pubblico, ma che ha cominciato a circolare.
Il documento di Confindustria è definito “Action Plan”, come
piace dire all’organizzazione degli industriali, alla quale piace anche
chiamare l’educazione “Education”. E quella del lessico è una attenzione
che va sottolineata visto che da un lato Confindustria, contraria alle
due lingue straniere, sostiene che basta l’inglese ed anzi anche che un’altra
disciplina (Matematica? Scienze? Storia?...magari pure Italiano) va insegnata
in inglese (come se l’anglofonia fosse così di casa nel nostro Paese!),
dall’altro perché per attenuare gli allarmi, soprattutto quelli
intorno alla trasformazione del Consiglio di Istituto in un Consiglio di
Amministrazione aziendalista, Confindustria pensa che sia sufficiente dargli
un altro nome “meno aziendale”, come se il mondo della scuola fosse fatto
di stupidi che guardano ai nomi e non alla sostanza.
Ma andiamo con ordine.
L’Action Plan è diviso in tre sezioni: contenuti, governance
(ah, l’inglese!!!!) e risorse umane.
Sui contenuti si prevede:
* contenimento del numero delle materie
* 32 ore settimanali ma non predefinite: 2-3 devono essere in piena
disponibilità delle scuole
* istituzione della disciplina di scienze integrate che raggruppa fisica,
chimica, biologia e scienze della terra
* una sola lingua straniera
* insegnamento di un’altra disciplina in inglese.
Sulla governance si prevede:
* affiancare al dirigente scolastico un consiglio di amministrazione
con forte presenza di esterni (aziende, professioni) con poteri effettivi
di governo
* separare il CdA dagli organismi partecipazione democratica
* dare eventualmente al CdA un nome più accattivante (sic!)
* inserire un rappresentante aziendale nelle commissioni di esame
* strutturare il previsto Comitato Nazionale per l’Istruzione Tecnica
in sottocomitati che controllino strettamente gli indirizzi.
Sulle risorse umane si prevede:
* Scelta del personale docente teorico e pratico ad libitum della scuola,
fuori da graduatorie e classi di concorso
* Scelta del personale da inserire negli spazi di flessibilità
(20%-30%-35% dell’orario) ad libitum della scuola
* Eliminazione degli insegnanti tecnico pratici e loro sostituzione
in laboratorio con “personale di provata esperienza lavorativa”.
Ma è evidente che il cuore del problema per Confindustria è
il controllo sull’istruzione tecnica, che Confindustria limita al settore
tecnologico (industriale, per intenderci), tralasciando quello economico
(amministrativo-commerciale, sempre per intenderci), e vuole riportare
ad una funzione di formazione di quadri aziendali, con un sistema persino
peggiore di quello dei consigli di amministrazione dell’istruzione professionale
in vigore nel nostro Paese fino agli anni sessanta. Un deja-vu in peggio!
E’ significativo che Confindustria sia disinteressata ai comitati tecnico-scientifici,
ritenuti uno strumento troppo debole rispetto alla forza di un consiglio
di amministrazione così come viene delineato nell’Action plan. Tanto
più che quel consiglio di amministrazione appare qualcosa di più
che la trasformazione in senso aziendalista dell’attuale consiglio di istituto:
Confindustria insiste sulla separazione tra partecipazione democratica
e sedi delle decisioni. E’ come se agli attuali organi collegiali si dicesse:
voi discutete pure quanto vi pare, poi il consiglio di amministrazione
decide.
Le mire di Confindustria si articolano e si diffondono soprattutto
sulla governance (consiglio di amministrazione a fianco del DS), sulla
scelta del personale tecnico (fuori da graduatorie e classi di concorso
e privilegiando le esperienze aziendali), e sulla valutazione degli alunni
in uscita (con la presenza di suoi rappresentanti nelle commissioni di
esame).
Interessante è anche il modo in cui Confindustria pensa di arrivare a tutto ciò. Propone tre vie (in combutta con l’on. Aprea a quanto dice esplicitamente il documento):
* un provvedimento normativo specifico che ricalchi quanto previsto
dall’Action Plan
* una autonomia “statutaria “ (In grassetto nel testo. Ah! La forza
degli aggettivi!): ogni scuola si fa il suo statuto (sic!)
* le fondazioni come ultima ratio.
Insomma Confindustria è aziendalista ma non stupida: perché mettere dei soldi privati nelle fondazioni quando la scuola può essere gestita privatamente gratis attraverso consigli di amministrazione, scelta degli insegnanti e iniezioni d personale delle aziende, facendo pagare tutto allo Stato, cioè alla collettività?
Ma neanche i lavoratori della scuola, gli studenti e i cittadini sono stupidi!
… Prepareremo una rivoluzione!!! …E’ giunta l’ora di dire basta. Via i politici dalla “cosa pubblica” , via il Governo, via il Parlamento e soprattutto via Confindustria!!!
Roma, 13 novembre 2008
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Di seguito viene riportato il documento di Confindustria!
E’ allucinate!!!! ….
In tale documento sono specificatamente dettati gli Ordini della Marcegaglia alla Gelmini (la ministra-burattino di Tremonti-Brunetta)
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CONFINDUSTRIA EDUCATION
Ottobre 2008
LINEE DI INTERVENTO PER IL RIORDINO DEGLI ISTITUTI TECNICI
L’ ACTION PLAN PER L’ISTRUZIONE TECNICA, elaborato da Confindustria
con la collaborazione di un gruppo di esperti e di dirigenti di qualificati
Istituti tecnici di tutta Italia nel corso del 2007 e suddiviso in tre
sezioni:
- Contenuti
- Governance
- Risorse umane
Questa proposta va realizzata attraverso alcune azioni immediate.
Contenuti
- contenimento nel numero delle materie
Il numero delle materie deve essere ridotto e gli orari di ciascuna
di esse devono essere significativi negli istituti tecnici. Il limite di
32 ore settimanali non deve essere superato e deve includere spazi per
l’autonoma progettazione delle scuole.
- spazio per l’autonomia delle scuole
Le 32 ore non devono essere tutte predefinite nei quadri orario. Alle
scuole, dentro le 32 ore, deve essere affidato uno spazio (2-3 ore, circa
il 10%) che esse devono organizzare in autonomia, per rispondere ai bisogni
individuati in sede locale;
- istituzione dell’insegnamento di Scienze integrate
che riunisca tutti gli insegnamenti a carattere scientifico. Non occorre
a questo livello di età un approfondimento specialistico, ma una
visione di insieme ed una metodologia di base; tale insegnamento comprende
chimica, fisica, biologia e scienze della terra e può essere attribuito
attraverso il ricorso alle “classi atipiche” per evitare le rigidità
delle attuali classi di concorso che vanno riformate e semplificate;
- insegnamento in lingua inglese
possibilmente, oltre all’insegnamento della lingua inglese in quanto
tale, un altro insegnamento dovrebbe essere svolto in lingua inglese;
- una sola lingua straniera
non è realistico prevedere l’insegnamento di una seconda lingua
straniera.
Governance
- istituire (solo per gli Istituti tecnici) un Consiglio di Amministrazione,
in cui vi sia una presenza significativa di soggetti esterni alla scuola,
espressione del mondo della produzione e/o dei servizi, in relazione agli
indirizzi di studio;
- attribuire al Consiglio poteri effettivi di governo
tale organo deve affiancare il dirigente (i cui poteri non vanno ridotti)
e deve avere la responsabilità complessiva per l’indirizzo generale,
il piano di sviluppo pluriennale della scuola, il programma annuale ed
i rapporti con le imprese e le aziende che costituiscono i naturali interlocutori
di ciascun Istituto;
- separazione dei compiti di partecipazione da quelli di governo
il Consiglio di Amministrazione non sostituisce gli organi di partecipazione
democratica; ma la partecipazione deve essere tenuta distinta dalla gestione,
dall’indirizzo tecnico e dal governo;
- il problema non sta nel nome
se il termine Consiglio di Amministrazione “disturba”, se ne può
trovare un altro, ma non si può prescindere da uno specifico modello
di governo degli Istituti tecnici, data la loro precisa missione (che non
è uguale a quella dei licei): formare i quadri intermedi che devono
contribuire allo sviluppo delle aziende di produzione e servizi.
Risorse umane
- scelta del personale docente e tecnico
gli istituti tecnici debbono poter scegliere in autonomia (ed in raccordo
con le imprese di produzione e servizi più vicine al proprio indirizzo
di studi) almeno il personale che deve svilupparne la missione specifica:
insegnanti di materie tecniche, tecnici di laboratorio, ufficio tecnico.
Questo personale deve essere svincolato dalle classi di concorso e dall’assegnazione
centralizzata;
- autonomia reale nella gestione della quota di flessibilità
perché la flessibilità ipotizzata (fra il 20% ed il 35%)
abbia un senso, il personale destinato a coprirla non deve essere già
predeterminato nei quadri orari e negli organici. Sono gli istituti tecnici
che devono individuare il fabbisogno di materie/attività corrispondenti
e scegliere se richiedere agli uffici scolastici insegnanti “tradizionali”
o se chiamare esperti esterni qualificati, con procedure trasparenti ma
libere.
A LIVELLO LEGISLATIVO:
- emanare un provvedimento normativo specifico (questa seconda soluzione
è considerata dall’On. Aprea più realistica rispetto alla
prima)
che preveda:
- istituzione del Consiglio di Amministrazione (o denominazione alternativa)
solo per gli Istituti tecnici
- rinvio a successivi decreti (da emanare in tempi brevi) per quanto
riguarda la definizione di struttura, poteri e raccordo con gli altri organi
collegiali degli Istituti in questione
- criteri generali cui devono ispirarsi i decreti in questione (vedi
scheda 1 e Action Plan per l’Istruzione Tecnica)
oppure:
- attribuzione agli Istituti tecnici di autonomia statutaria
- rinvio allo statuto dei singoli istituti dell’istituzione dei propri
organi di governo
- criteri generali cui gli statuti dovranno ispirarsi (fra cui la presenza
di un organo come il Consiglio di Amministrazione, comunque denominato
– per il resto vedi scheda 1 e Action Plan)
oppure, in ulteriore subordine:
- sperimentazione nazionale di autonomia statutaria per quegli Istituti
tecnici che si colleghino con il mondo della produzione e dei servizi ed
il territorio e promuovano intorno al proprio progetto di qualità
formativa una fondazione dotata di risorse “esterne” per un importo minimo
predefinito (ad es. 50.000 euro). Il riferimento è al modello delle
Foundation schools inglesi
A LIVELLO DEL REGOLAMENTO (di cui all’art.13 della legge 40/2007)
Le proposte seguono lo schema della bozza di regolamento predisposta
dal MIUR e sono raggruppate sotto i titoletti del documento MIUR intitolato
“Documento di base per la discussione”.
Identità degli istituti tecnici
I profili attualmente individuati sono definiti in modo generico. Modificarli
coinvolgendo nella loro riscrittura esperti dei settori economici e produttivi
interessati (è quanto già stiamo realizzando).
I profili vanno associati alla chiara definizione di standard minimi
irrinunciabili di competenze chiave.
Non sono noti il numero e l’articolazione dei sotto-indirizzi. Si ribadisce
che non deve esservi proliferazione di micro-piani di studio, tutti definiti
in modo rigido dal centro e differenziati solo da uno o due insegnamenti.
Le opzioni che “specificano ulteriormente gli indirizzi” non vanno
determinate dal centro. Vanno individuate dalle scuole, in raccordo con
le realtà economiche e produttive del territorio. Se mai, possono
essere previste linee guida generali di coerenza per l’equivalenza sostanziale
dei percorsi e dei titoli di studio finali.
Non sono noti i quadri orario. Ferme restando le 32 ore complessive,
al loro interno va ricavato uno spazio di autonomia effettiva per le scuole
(2-3 ore non devono essere predefinite dal centro).
Organizzazione dei percorsi
Il numero complessivo delle materie va contenuto al massimo. Si deve
pensare nel primo biennio ad un insegnamento di Scienze integrate, che
riunisca tutti gli insegnamenti scientifici.
Si deve esplicitamente indicare fin dal primo biennio l’uso sistematico
del laboratorio e di metodologie problem solving, sia per l’insegnamento
che per le verifiche.
I laboratori devono essere adeguatamente attrezzati e dotati di un
tecnico di laboratorio che affianchi il docente e che sia in possesso di
comprovata esperienza di lavoro nell’ambito relativo. Va eliminato il doppione
costituito dall’insegnante tecnico-pratico, che è quasi sempre un
generico diplomato privo di esperienze concrete.
Si deve prevedere fin dal primo biennio il raccordo con il mondo esterno
tramite incontri con le aziende del territorio, visite di esperti e visite
aziendali.
La ripartizione oraria indicata per il primo biennio (65% materie generali
comuni – 35% materie di indirizzo) può andar bene.
Sarebbe auspicabile che per il secondo biennio le materie di indirizzo
salissero dal 55% (circa) attualmente indicato al 60%.
Per il quinto anno, le materie di indirizzo non possono essere inferiori
al 65% del totale orario. Non ha senso articolare il triennio finale in
2+1 se poi la struttura degli
insegnamenti non si differenzia in alcun modo. Il quinto anno deve
preparare in modo mirato all’inserimento lavorativo o alla prosecuzione
di studi ben individuati. La reversibilità delle scelte – a questo
livello – è solo uno spreco di tempo e di risorse.
Per il secondo biennio e soprattutto per il quinto anno dovrebbe essere
prevista una soglia minima di ore da destinare ad attività di stage
e tirocini.
Gli “spazi di autonomia” indicati (20%-30%-35%) possono andar bene.
Ma devono essere “reali”, cioè non occupati già nei quadri
orario da insegnamenti predefiniti rigidamente dal centro. Al massimo questi
spazi possono essere individuati come “ambiti di competenze” che gli istituti
tecnici devono riempire con insegnamenti ed attività scelti in accordo
con il mondo economico e produttivo di riferimento.
Gli insegnamenti ed attività individuati dalle scuole nell’esercizio
dell’autonomia di cui sopra devono essere affidati a personale individuato
dalle stesse (eventualmente, ma non necessariamente, anche attraverso richiesta
agli uffici scolastici territoriali, per le materie più “tradizionali”).
Le classi di concorso e le graduatorie non devono costituire un vincolo
in tale area.
Vanno bene i dipartimenti didattici, ma le “linee-guida definite a
livello nazionale” rischiano di burocratizzarne ed irrigidirne il funzionamento.
Il comitato tecnico-scientifico non può sostituire uno specifico
organo di governo (consiglio di amministrazione o simile) che restituisca
agli istituti tecnici la capacità di interpretare in modo efficace
la propria missione fondamentale, attraverso la collaborazione privilegiata
con il mondo della produzione e dei servizi.
Comunque, se deve esistere: a) gli esperti esterni non possono essere
“in numero contenuto” e cioè minoritario; e b) i docenti interni
non possono essere né in maggioranza numerica né “designati
dal collegio docenti”, per evitare logiche politiche o sindacali anziché
la valutazione delle loro competenze. La scelta va affidata al dirigente,
su criteri indicati dal consiglio di amministrazione (o organo equivalente,
se costituito). Se non c’è, al solo dirigente.
Agli esperti esterni individuati dal comitato tecnico-scientifico debbono
poter essere affidate anche attività didattiche curricolari, cioè
facenti parte dei quadri orario e non solo insegnamenti aggiuntivi o opzionali.
L’Ufficio Tecnico deve essere dotato di competenze e risorse in misura
adeguata ad assicurarne l’efficace funzionamento, anche in raccordo con
le imprese esterne di riferimento.
Valutazione e titoli finali
Le certificazioni finali devono indicare non solo le materie seguite
ma le competenze effettivamente acquisite in relazione all’indirizzo tecnico
di studi prescelto.
Della commissione d’esame deve far parte anche un rappresentante designato
dalle realtà economiche e produttive del territorio con comprovata
esperienza di lavoro nell’ambito cui si riferisce il titolo finale.
Le prove di esame devono includere: a) prove pratiche che dimostrino
le competenze operative e b) la presentazione di un progetto applicativo
che dimostri la capacità di
utilizzare il complesso delle conoscenze acquisite per la risoluzione
di un problema concreto.
Collegamenti con il territorio e la specializzazione tecnica superiore
Fare esplicito riferimento alla collaborazione nei poli anche con gli
Istituti professionali, oltre che con le strutture formative accreditate
dalle Regioni.
Superare per gli Istituti Tecnici Superiori il vincolo dei sei ambiti
attualmente indicati e quello della struttura obbligatoria come fondazioni
di partecipazione.
Strumenti giuridici per un ordinamento flessibile
Non si ravvisa la necessità di definire in sede contrattuale
i profili professionali delle figure da utilizzare nell’Ufficio Tecnico.
Si tratta di competenze tecniche che vanno individuate dal dirigente e
dai docenti dell’area di riferimento.
“Ambiti, criteri e modalità per l’articolazione degli indirizzi
in opzioni, nonché per l’utilizzazione degli spazi di autonomia
previsti” vanno lasciati appunto all’autonomia degli istituti, entro linee-guida
molto generali. Altrimenti, non ha senso parlare di autonomia e di raccordo
con il territorio per il supporto allo sviluppo delle realtà economiche
e produttive ivi esistenti.
Il costituendo Comitato nazionale per l’Istruzione tecnica, per adempiere
efficacemente agli obiettivi indicati, deve essere costituito (o almeno
operare) per sotto-comitati, corrispondenti agli indirizzi di studio. Altrimenti
finirà con il limitarsi a generiche raccomandazioni prive di incidenza
e significato reale. L’aggiornamento periodico non deve riferirsi genericamente
“ai percorsi” ma concretamente agli “standard professionali e formativi”
Del Comitato e dei sotto-comitati debbono far parte esponenti del mondo
economico e produttivo.
Monitoraggio e valutazione di sistema
Va bene la valutazione esterna, ma:
- richiamare per gli istituti tecnici l’obbligo di una propria autovalutazione,
svolta in raccordo con il mondo economico e produttivo del territorio coerente
con l’indirizzo di studi;
- richiamare la necessità che di tale autovalutazione faccia
parte il monitoraggio degli esiti post-diploma dei propri studenti (tasso
di passaggio al lavoro, tempi per trovarlo, prosecuzione negli studi in
settori coerenti con gli studi seguiti, ecc.);
- richiamare la necessità che gli esiti dell’autovalutazione
e del monitoraggio sugli ex-studenti vengano utilizzati per l’aggiornamento
del piano di sviluppo.
Istruzione Tecnica-Professionale: Confindustria non solo dice come, ma la vuole anche!
13-11-2008
Lo scorso 8 novembre a Sanremo la Presidente di Confindustria Emma
Marcegaglia ha "dettato" i piani di studio, i modelli organizzativi
e didattici ed il sistema di governance degli istituti tecnici e professionali
alla Gelmini.
L'action plain per l'istruzione tecnica presentato a Sanremo segna un
primo ed evidente passo nella direzione dello smantellamento dell'istruzione
pubblica superiore. Confindustria ha chiesto al Ministro Gelmini che lo
Stato si faccia da parte, tranne che per le risorse, e che consegni a futuri
Consigli di Amministrazione la gestione degli istituti tecnici.
Nel progetto confindustriale è infatti previsto di affidare
ad un CdA la responsabilità della gestione delle scuole prevedendo
di mettere in capo a tale organo le decisioni in materia di "piano di sviluppo
pluriennale", "il programma annuale", "i rapporti con le imprese e aziende
che costituiranno i naturali interlocutori di ciscun istituto". Agli attuali
organi collegiali, ed in particolare tra questi al consiglio d'istituto,
verranno affidate competenze di ordine "consultivo". Si dice anche che
il Dirigente Scolastico sarà affiancato nella sua azione dal CdA
e che insieme avranno veri poteri di governance.
Quel che si vuole avviare è un vero e proprio processo di trasformazione
di questi istituti in fondazioni e ciò in perfetta coerenza con
quanto previsto dalla legge finanziaria 133 per Università e Enti
di Ricerca con un'unica e significativa variabile: quella che il
capitale sociale ed economico della nuova azienda è rappresentato
dalle risorse fornite dallo stato. Confindustria cita, infatti, nel suo
documento che questa trasformazione è necessaria ma che se ciò
non avvenisse si potrebbe procedere alla creazione di vere "Fondazioni
degli istituti tecnologici" sostenuti dall'intervento economico anche delle
aziende considerando però questa opzione solo come ultima
possibilità.
Del tutto conseguente a questa nuova impostazione sono le nuove
regole di assunzione del personale docente. Si dice, infatti, nel capitolo
"risorse umane che "gli istituti tecnici devono poter scegliere in autonomia
gli insegnanti di materie tecniche, tecnici di laboratorio, ufficio tecnico,
in modo svincolato dalle classi di concorso e da procedure centralizzate".
Quindi, ampia discrezione e ampi poteri nell'assumere e licenziare e nel
dar corso a regole di contrattualizzazione quanto meno "atipiche".
Per le valutazioni finali, dove è prevista la presenza nelle
commissione d'esame di realtà economiche e produttive, è
facile prevedere la conseguente abolizione della legalità del titolo
di studio.
Con questo modello formativo si scambia la giusta esigenza d'integrare il sistema scolastico dell'istruzione tecnica con la realtà produttiva, sia aziendale che artigianale, col consegnare al sistema imprese la libertà di governare le istituzioni scolastiche. Integrazione significa dar corso a politiche sinergiche tra il mondo della scuola e quello del lavoro, non di affidare pieni poteri di direzione ed orientamento alle imprese.
Nel documento elaborato il giorno 11 novembre dalla Commissione Ministeriale per la riorganizzazione degli istituti tecnici e professionali, che alleghiamo, e per il quale rimandiamo ogni commento agli esiti di un gruppo di lavoro che lo sta vagliando, la proposta di Confindustria ed in particolare la sua libertà d'azione in materia d'insegnamenti, trova conferme positive in relazione ai grandi spazi di autonomia lasciati alle scuole nella definizione della loro azione didattica e disciplinare, parliamo, infatti, di un monte ore di autonomia che dal I° al V° anno varia, per l'istruzione tecnica dal 20 al 35% e per l'struzione professionbale dal 25 al 40%.
In ultimo alcune domande: In tutto questo progettare dove sono le scuole,
chi le dirige, chi vi lavora, chi le vive? E ancora dove sono gli ee. ll.
e le poltiche territoriali? Con quali proposte di formazione si accompagneranno
queste trasformazioni?
Tra 45 giorni inizieranno le iscrizioni, in questi giorni numerosi
insegnanti delle superiori “girano” per le scuole medie a fare orientamento,
sui vecchi indirizzi e senza sapere nulla dei nuovi, se e quando entreranno
in vigore. Auspichiamo davvero che si faccia prevalere il buon senso promuovendo
una vasta opera d'informazione e di eventuale condivisione e rinviando
l'avvio di tali trasformazioni almeno di un anno