Ognuno deve imparare che ha in mano una parte di potere, e sta a lui usarla bene, nel vantaggio di tutti; deve imparare che non c'è bisogno di ammazzare nessuno, ma che, cooperando e non cooperando, egli ha in mano l'arma del consenso e del dissenso. (A.Capitini)
La scuola è aperta a tutti. (Costituzione della Repubblica italiana Art. 34)
Chi vuole promuovere un cambiamento nella scuola deve fare i conti con un senso comune che, a partire dalla legge 15.3.1997 n. 59 (legge Bassanini) sino alla legge n.53/2003 si è istallato nelle menti degli insegnanti, dando luogo a delle pseudo-certezze.
Non si potrà indicare una strada diversa per migliorare il sistema scolastico e garantirne l'efficacia senza emendare il pensiero comune da tali luoghi comuni, che come tali sono dei presupposti senza giustificazione alcuna.
La legge 28 marzo 2003, n.53 esordisce, com'è noto, con una dichiarazione molto impegnativa che dovrebbe motivare la definizione delle norme generali sull'istruzione: "la crescita e la valorizzazione della persona umana".
Il nocciolo di ogni riforma della scuola sta qui, il modello educativo deve essere quello dell'educazione dell'uomo inteso come persona, non soltanto come cittadino o lavoratore-prestatore d'opera.
L'invito che rivolgo ai colleghi della scuola è quella di confrontare tale impianto teleologico della riforma con le sue soluzioni pratiche e organizzative e con le sue scelte mirate.
Che cos'è una persona?
Com'è noto, Sheler definisce la persona come forma in cui la sfera spirituale può concretarsi, cioè come unità ontologica concreta degli atti spirituali. Con il termine "sfera spirituale" e atto spirituale Scheler intende sottolineare la trascendenza della persona rispetto alla sfera biologica (la sfera organico-sensibile, vitale e psichica) e la sua apertura all'altro da sé. Lo "spirito" è per Scheler un insieme di attività di natura intenzionale che superano il dato per riferirsi a significati a priori potenzialmente realizzabili nella prassi. In quanto essere spirituale l'uomo è "persona", cioè apertura al mondo che può svincolarsi dalla dipendenza organico-vitale e può configurarsi come assoluta irriducibilità a oggetto tra gli oggetti.
L'essere personale, nodo centrale dell'educazione, si presenta sempre con i caratteri della finitezza e della problematicità che sono i lati opposti e connessi dell'impegno nella costruzione di sé.
L'essere personale è essere in comunità e la realtà comunitaria, come sosteneva già proprio Tönnies, uno dei principali esponenti della riscoperta della comunità, distinguendo le due realtà della Gemeinschaft e Gesellschaft, esclude dalla sua natura ogni rapporto contrattuale. Nella comunità possono certamente intrecciarsi relazioni che hanno valenza giuridica e contrattuale (in senso ampio) ma la comunità non vive di questo. La scuola come comunità 1esclude al suo interno le relazioni tipiche dell'homo oeconomicus e l'intreccio di relazioni proprie della circolazione delle merci.
Quindi l'idea di mercato gli è estranea in essenza. Essa si avvicina molto di più all'idea di dono, al di là del calcolo economico e utilitario. Questo significa che il legame primario della comunità, la sua ratio essendi è costituita dalla fenomenologia della sua prassi e non da imperativi eteronomi.
Non basta chiamare una cosa con un altro nome perché diventi un'altra.
Anche sull'autonomia scolastica si è equivocato molto: la vera autonomia ha una condizione preliminare: la valorizzazione del patrimonio della collettività, l'arricchimento e affinamento delle potenzialità umane, psicologiche, professionali e culturali delle componenti della scuola.
D'altra parte la criticità del sapere, necessaria all'educazione della persona, rappresenta un orizzonte problematico non burocratico. Risulta quindi evidente che una vera democrazia scolastica come cooperazione comunitaria, oltraggiata e violata dalla figura del Dirigente scolastico, tutta pensata per subordinare la collegialità alla logica dell'apparato burocratico, si esercita soltanto nell'orizzontalità della partecipazione e non nella contrattualità di ruoli e interessi all'interno dell'azienda-scuola, che riprodurrebbe al suo interno i meccanismi (i cattivi automatismi deificati) del mercato globale del tipo "soddisfatti o rimborsati", "paghi uno, prendi due" etc.
La centralità del rapporto docente-discente non trova nessun giusto riconoscimento nell'organismo della riforma Moratti. Il rapporto educativo non può infatti essere mediato da obbligazioni contrattuali o da prestazioni fissate in un mansionario di tipo impiegatizio, se non al prezzo di distruggerne la costituzione, il carattere problematico e la finalità interna.
Lo stesso rapporto tra scuola e società non può ridursi ad una omologazione della scuola al trend e alle mode imperanti nell'universo del mercato, ai suoi imperativi industrialistici, secondo logiche imprenditoriali. Infatti dal momento che il soggetto umano è apertura a, centro di atti intenzionali che, se da un lato lo obbligano ad aprirsi alla vita, dall'altro lo rinviano necessariamente ai valori e a non esaurire l'esistenza nel suo essere nel mondo, il soggetto si serve del corpo per attuare il primo dei valori, la solidarietà morale. "L'atteggiamento del commerciante che teme di essere ingannato dal concorrente è diventato già l'atteggiamento fondamentale della conoscenza moderna dell'altro in generale" diceva Sheler.
Tale "diffidenza", assai vicina al risentimento, che genera l'individualismo morale e conduce alla negazione del principio-valore della solidarietà, si esprime molto bene nel linguaggio della Carta dei Servizi (D.PCM 7 giugno 1995), mutuato dal codice semantico delle aziende private ("i soggetti erogatori di servizi scolastici", lo "standard di qualità", le "esigenze dell'utenza") e di tutti i documenti ministeriali successivi, divenuti di uso comune, che livella la specificità della scuola e delle sue relazioni valoriali, assumendo come criterio-guida per il governo della scuola la fenomenologia della valutazione di mercato di prestazioni e di beni.
Vale la pena di sottolineare inoltre come in tutti i documenti ministeriali degli ultimi decenni il sistema scuola viene considerato un sottosistema, una variabile dipendente dell'insieme sociale, che produce forza-lavoro qualificata e cittadini normalmente e mediamente "formati", mentre la scuola rivela il suo essere specifico (la sua più propria vocazione) proprio in quanto processo di crescita individuale e collettiva, patrimonio da incrementare, area di progettazione di nuove forme sociali e di nuove pratiche collettive. Il "potere" della scuola, tra l'altro consiste proprio in questo: "Anche il concetto di autorità si sposta da quello formale di tipo gerarchico o normativo a quello progettuale di tipo comunitario. Come afferma Sergiovanni (2000), non si tratta di una leadership di «potere su»
persone, ma di «potere per» conseguire la visione a cui tutta la comunità mira"(M.Comoglio, La scuola come comunità che apprende)
Nel caso della scuola ci troviamo di fronte al caso, più unico che raro, di un Valore2 che si valorizza, si incrementa, senza replicare, nel suo dinamismo, la legge economica del valore e dell'accumulazione del valore o le equivalenze e le compatibilità ragionieristiche della società amministrata. In altre parole la scuola-educazione è un valore che non è sommatoria, ma liberazione dei limiti dell'esistente, liberazione prodotta dalla cooperazione di tutti.
In tal senso, si può rivendicare la tesi che la scuola non sia un'azienda erogatrice di servizi, non sia un servizio da utilizzare da parte di supposti "utenti" consumatori (siano essi gli studenti o le famiglie), ma un valore da far proprio ed accrescere. Come è stato giustamente rilevato "È legittimo pensare che la visione della scuola come «organizzazione-impresa» potesse essere appropriata nel momento in cui nei paesi del mondo occidentale più o meno a partire dalla fine degli anni '60 del secolo scorso l'istruzione si è estesa a tutti gli strati della società divenendo un bene-prodotto di massa. Tuttavia tale visione, e con essa tutto il complesso apparato teorico-strumentale che la sosteneva (gli standard, i sistemi di insegnamento, i processi, gli obiettivi, ecc.), oggi non è più condivisibile in quanto molto più spiccata appare nel mondo della scuola la percezione dei bisogni, degli stili e delle abilità di apprendimento, della cultura di appartenenza (valori, ideali, tradizioni) che rendono gli studenti diversi tra loro (M.Comoglio).
Non basta, dunque, nello svolgimento dell'attività istituzionale della scuola, il pieno rispetto dei diritti e degli interessi dello studente, bisogna promuovere lo sviluppo affettivo, cognitivo, relazionale della persona e il meta-valore della solidarietà. Neppure si può dire che l'agire della scuola debba ispirarsi a criteri di efficienza nell'offerta formativa e nell'organizzazione dei servizi, perché la legge economica dell'offerta e della domanda non costituisce il principio regolatore dell'attività scolastica, che ci sembra rispondere semmai alla logica del dono, del sacrificio, della cooperazione e della solidarietà. Principi come uguaglianza, imparzialità, accoglienza, integrazione, partecipazione non possono di conseguenza essere dimensionati su uno standard di mercato, perché si tratta di atti intenzionali che oggettivano l'azione collettiva e fondano la solidarietà.
In definitiva la garanzia del raggiungimento di determinati scopi da parte dell'istituzione scolastica non può risiede nella migliore organizzazione e direzione in termini di efficienza-efficacia o al miglior utilizzo di risorse e strutture (cfr. legge 15 marzo 1997, n. 59, art, 21 comma 8), ma nella qualità dell'agire comunicativo e interrelazionale, che contraddistingue l'esperienza formativa quotidiana e nella visione condivisa da parte della comunità scolastica.
Il centro delle relazioni formative resta il rapporto docente-discente. Sembra un'ovvietà, ma non lo è, in tempi come i nostri. Questo è il motivo per cui l'insegnamento rappresenta una funzione estremamente complessa e ricca di competenze professionali, culturali,comunicative e psicologico-relazionali, non valutabile in modo riduzionistico, men che meno valutabile "dall'esterno".
La specificità dell'insegnamento-apprendimento è data dall'intreccio degli aspetti cognitivi, psicologici, empatici, etici, giuridici, sentimentali, estetici rivolti, nella loro dialettica concreta, a promuovere la duplice intenzionalità della comunità scolastica:
Si tratta di compiti primari della comunità scolastica:
Il valore, per definizione, è di tutti e mantiene la sua "carica" teleologica e fondante fino a quando resta di tutti e conserva un orizzonte problematico di trascendenza rispetto all'esistente.
Capitini scriveva: "La nostra fedeltà al valore, dunque, associa a sé l'impegno di considerarlo come tale da aprire qualsiasi 'necessità', da fare qualitativamente cosa diversa dal continuare, da porre tutte le strutture non come eterne, ma come semplici schemi Il riconoscimento che solo il valore è degno di dare inizio ad una nuova realtà, è precisamente l'impegno che quella realtà iniziatesi col valore a noi interessa sommamente e ci coinvolge pienamente, e noi ci avviamo ad essa in quanto siamo fedeli al valore" (A.Capitini). Per realizzarlo deve essere agito e partecipato da tutti e dar luogo all'omnicrazia, cioè alla comunità solidale nella quale le responsabilità e gli obiettivi siano partecipati e agiti e non "contrattati".
Quante volte abbiamo assistito nel corso di questi anni di frenetica attività controriformistica ad uno svilimento della partecipazione, alla violazione e compressione della democrazia nell'accezione più piena del termine, nel tentativo di subordinare la scuola a logiche strumentali in nome di un funzionalismo estremista e cieco, con danni enormi non soltanto nella qualità dell'istruzione ma soprattutto nell'educazione dei cittadini, sempre più disabituati alla presenza e alla partecipazione delle scelte sociali?
Soltanto i valori che sono partecipati nel processo dell'educazione e della formazione complessiva si valorizzano, si incrementano, allargano gli orizzonti e rimuovono gli ostacoli di natura sociale e ambientale al progresso intellettuale e morale dell'individuo e della collettività. Tutti cooperano al valore e il valore è tale soltanto perché una comunità si radica nella solidarietà e nella compresenza, nella liberazione, nello sviluppo e nella possibilità aperta a tutti.4
La confusione tra mezzi e valori, il feticismo delle tre "i" di berlusconiana memoria ne è l'esempio più evidente, produce una gerarchizzazione dei valori che non si risolve purtroppo in una semplice violenza interpretativa, ma si traduce in nuove esclusioni ed emarginazioni.
La gerarchizzazione autoritaria del valori elimina proprio quel processo di orientamento e di elezione e ridefinizione critica (personale e comunitaria) dei valori. Valori e priorità sono indicati dai documenti ufficiali del MIUR "per via amministrativa", ma essi svelano ben presto le reali motivazioni della loro proposizione, secondo interessi politico-economici costituiti. Tali operazioni si pongono in aperto conflitto con la natura aperta e corale dei valori e la loro estensione illimitata.
Insegnamento e apprendimento si presentano infatti come valori auto-centrati ma non autoreferenziali: la personalità dell'insegnamento è un segno distintivo della professione insegnante e della molteplicità di atti che comprende e non è organizzabile per via amministrativa.
MASSIMO PIERMARINI
esigono un crescente scambio di idee e una crescente unità del sentimento di simpatia. » (Dewey ). Dewey non abbandona neppure in questo caso il pregiudizio produttivistico dell'impianto pragmatistico del suo pensiero. Resta importante lo spirito di collaborazione cooperativa e il tono solidale.
2 Il valore presenta una fisionomia che non soltanto implica una motivazione per l'azione umana, ma si realizza completamente nella sfera pratica e, particolarmente, in funzione della crescita individuale e collettiva nella fase di orientamento e ridefinizione dei valori, che richiedono la più ampia partecipazione e collaborazione.
4 Secondo una definizione tecnica, ma comprensiva dei suoi molteplici aspetti : «Le comunità sono organizzate attorno a relazioni e a interdipendenze sentite, che le nutrono. Esse creano strutture sociali che uniscono le persone e le vincolano a valori e a idee condivisi. Sono definite dai loro centri di valore, dai loro sentimenti e dalle loro credenze che forniscono le condizioni necessarie per promuovere un senso di 'NOI' a partire da un 'IO'.Nelle comunità, i membri vivono la loro vita con altri che hanno scopi simili. Nelle ordinarie organizzazioni, le relazioni sono costruite dagli altri e diventano codificate in un sistema di gerarchie, ruoli e aspettative di ruoli. Sia le ordinarie organizzazioni che le comunità devono confrontarsi con problemi di controllo, ma invece di fondarsi su misure di controllo esterno, le comunità si fondano più su norme, scopi, valori, socializzazione professionale, collegialità e interdipendenza naturale. (T. Sergiovanni, 2001).
5 E' il punto di vista della stessa filosofia classica: la conoscenza del fine è il punto di partenza della sapienza, della filosofia in generale e della filosofia dell'educazione in particolare.
6 Si ricordi che con l'articolo 19 del decreto attuativo della riforma Moratti L.53/03 vengono espressamente abrogati l'art. 118 (finalità della scuola elementare ) e il comma 2 dell'art. 161 (finalità della scuola media) del "Testo Unico delle leggi sulle scuole di ogni ordine e grado"n°297 del 16 aprile 94, che si riferivano esplicitamente, nella scuola elementare, "alla formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali ". E' evidente la linea di rottura con i principi base dell'educazione espressi nella carta Costituzionale e l'orientamento individualistico della concezione di scuola del MIUR, poco sensibile alla finalità primaria dell'istruzione pubblica di preparare i cittadini all'esercizio della sovranità popolare nella Repubblica.