La scuola in rivolta contro il governo, la scuola scioperata e gli insegnanti fannulloni; queste le due immagini che si contendono l'opinione pubblica. Luoghi comuni, slogan, manifestazioni di piazza si susseguono in questi giorni con ritmi vertiginosi e si dimentica del tutto la complessità e la drammaticità del problema: parlare di scuola significa, infatti, interrogarsi sul futuro della nostra nazione.

All'indifferenza ed all'ipocrisia della classe politica fa riscontro a volte anche l'ignavia di alcuni insegnanti; ai facili luoghi comuni il disagio delle famiglie e l'incomprensione, da parte dei più, del disegno politico, di basso profilo, messo in atto dal governo.

La scuola elementare italiana è una delle prime in Europa, i moduli che prevedono tre insegnanti su due classi arricchiscono l'offerta formativa, abituano i bambini a confrontarsi con una realtà plurale (anche la famiglia, d'altronde, oggi è cambiata e non si può parlare di centralità della “mamma”), e a prescindere da tutto ciò va sottolineato che altra è la funzione della scuola rispetto a quella della famiglia. I tagli di ottantasettemila insegnanti e il ripristino del maestro unico non hanno, quindi, alcuna legittimità pedagogica; rispondono soltanto al criterio di riduzione di spesa, che grava sulla scuola pubblica e privata. Ed è questo il problema.

Il d.m.112 del 25 giugno 2008 non nasconde le intenzioni di trasformare le scuole in fondazioni, di assoggettarle al capitale privato e di trasformarle in aziende. La riduzione del personale va inscritta nella logica privatistica, che riduce i costi di gestione e mortifica la qualità del servizio. Meno insegnanti, non solo nelle elementari ma anche nella scuola media e superiore, significa la riduzione del tasso delle competenze; grazie alle introduzione delle macro aree, previste dal decreto, un insegnante di scienze potrebbe essere impiegato nell’insegnamento di materie affini come igiene ed uno di lettere in storia e filosofia. In questi due ordini di scuola è previsto un taglio di quasi trentamila insegnanti. La qualità dell’insegnamento sarà, quindi, sempre più compromessa. Se fosse invece semplicemente una questione di risparmio, potrebbero venir meno le risorse sempre più ingenti, devolute dallo stato alla scuola privata. Si potrebbe ridimensionare anche il finanziamento previsto per i progetti e per le iniziative civetta, come l’expo scuola, che assorbono due miliardi di euro all’anno. I decreti della Gelmini, che lasciano intatti gli interessi clientelari e gli sprechi degli enti locali, rispondono soltanto all’esigenza di destrutturare il piano nazionale dell’istruzione, riconvertendolo nel piano integrato, fatto da soggetti pubblici e privati, per favorire le scuole gestite dai Gesuiti, da Comunione e Liberazione e dalla Confindustria. Un disegno politico reazionario e classista, un passo indietro persino rispetto alla riforma del ministro Giovanni Gentile, finalizzata al mantenimento del primato dei saperi ed alla formazione della coscienza nazionale. All’attuale governo, invece, preme la creazione di un sistema differenziato tra le scuole private, rivolte ai ceti più abbienti ed alle aree geografiche più fortunate, e le pubbliche, per i ceti più disagiati e per le aree geografiche più depresse. È il peggiore progetto politico, voluto dalla classe dominante italiana.

Infine, un rapido cenno al panorama sindacale: uno scenario fatto di attendismo e tentennamenti; la triplice, la Gilda e lo SNALS hanno proclamato infine una giornata di sciopero a decreto ormai approvato, e sono tuttora indecisi tra il confronto e la protesta.

Prof. Matteo De Cesare
(Segretario Provinciale Unicobas Salerno)