Non avrai altro pensiero all'infuori di me

di Davide Rossi

Il cuore in azienda. Il fascino di una simile frase è alquanto pericoloso e la deriva dei corsi di formazione è lì a dimostrarlo. Infatti le aziende continuano ad organizzare corsi chiamati a migliorare le capacità relazionali dei dipendenti, ma anche corsi che, più o meno subdolamente, intendono toccare le emozioni e i sentimenti. Obiettivo è una totale messa a disposizione dell'organizzazione, senza rendersi conto che qualche ora di presunta formazione spesso smuova interiormente molto più di quello che riesca ad affrontare. L'intenzione tuttavia non è aiutare il singolo a risolvere o a superare questioni che in ogni caso riguardano la sua sfera privata e non quella sociale o pubblica, ma selezionare i più forti, i più resistenti, i più soggiacenti. Ci si forma così non solo sulle competenze comunicative, ma si agitano i ricordi positivi e le emozioni spiacevoli, si discute di come ci si percepisca e di come ci vedano gli altri. Si scava attraverso i gusti, indagando che cosa piaccia e non piaccia, che cosa si legga, si veda al cinema, …

È di quest'anno lo spettacolo teatrale Fabbrica di e con Gianfelice D'Accolti che racconta come, leggendo libri a mensa, non solo si perda il diritto di far carriera, ma si rischi pure di perdere il lavoro. Il pensiero unico dominante è radicato ben al di là del confronto politico. Questo metodo è sempre più dilagante, si fa forte dell'idea - ideologia secondo cui si debba genericamente "condividere tutto" per favorire l'integrazione tra individuo e azienda, anche se pare abbastanza evidente che sia l'azienda ad infilarsi sotto la pelle dei dipendenti, creando un ambiente di agitata sudditanza che ha molto poco di un'autentica condivisione. Gli uffici d'oggi, che per larga parte si fondano su attività intellettuali, si dimenticano che queste hanno bisogno di libertà e di stimoli esterni, non di infingarde penetrazioni della coscienza e ritmi da fabbrica pre-fordista, in cui si è obbligati a star forzatamente insieme nello stesso ufficio, perché chi va a casa prima delle otto o delle nove di sera mostra scarso attaccamento al lavoro. È un mondo complesso, che si moltiplica intorno a noi e di cui troppo poco si parla, si discute. Il risultato di questa nuova logica volta ad asservire, quando non annientare, la ricchezza, la profondità e la vivacità degli esseri umani è un nuovo comandamento, ferocemente blasfemo, eppure sempre più accettato, anche se controvoglia, perché fuori la disoccupazione incalza e nessun posto è più sicuro, anzi siamo tutti a rischio. Il comandamento vuole che ogni dipendente si immedesimi nel lavoro che svolge al punto da rendere sinistramente contento il datore di lavoro, lieto di poter proclamare: "Non avrai altro pensiero all'infuori di me". In un'Italia ogni giorno economicamente più fragile e in declino, come scrivono da tempo attenti studiosi del nostro paese quali Gallino o Petrini, le nubi si moltiplicano.

L'invasione delle coscienze è l'ultima frontiera di un mondo del lavoro che scrive regole sempre più insopportabili. La crescente aspirazione di molti, anche giovani a chiamarsene fuori, soprattutto donne, è il più forte elemento di tenuta sociale di una nazione con sempre meno occupazione e sempre più povertà. Rendere invivibili i luoghi di lavoro è un modo efficace per contenere molti disoccupati che, invece di rivendicare il diritto costituzionale ad un'occupazione, vi rinunciano anche perché indotti in un senso di colpa in cui si percepiscano come inadeguati. Solo rendendo opprimente il lavoro e facendo ricadere sui disoccupati stessi le ragioni del loro fallimento - come se fosse obbligatorio star fino alle ventuno in ufficio e non a quell'ora a casa coi figli - si può avere la certezza che non si avranno tensioni sociali, scioperi e manifestazioni. Appare comunque evidente quanto siano precari un equilibrio ed un pace sociale così costruiti.