LA CONTRORIFORMA COSI' COM'E'

Una "riforma" impresentabile

Per prima cosa va detto che la legge Moratti non è accettabile né congruente da qualunque parte la si osservi. Più che una riforma, si tratta infatti di un complessivo ritorno indietro e/o di un peggioramento generalizzato delle condizioni della scuola italiana.

La scuola dell'Infanzia

Andiamo con ordine e cominciamo dalla scuola dell'infanzia. In tutto il mondo vi si iscrivono bambini dai 3 anni in poi. La grande "novità" morattiana è invece l'accettazione già a 2 anni e mezzo. Tale colpo di genio, più unico che raro, non ha pari non certo perché negli altri paesi siano stupidi, ma semplicemente perché tutta la storia della pedagogia spiega come appena dai 3 anni in su esistano le compatibilità cognitive e l'autonomia personale dell'alunno necessarie al raggiungimento degli obiettivi sanciti per questo che è un vero e proprio ordine di scuola. In particolare in Italia, dove, Montessori ed Agazzi docet, la conquista di un ruolo di tutto rispetto per il primo segmento della primaria ha basi e motivazioni ben salde e sperimentate. Infatti i nuovi orientamenti della scuola dell'Infanzia (con il necessario superamento della vecchia scuola "materna"), peraltro abbastanza recenti, enucleano perentoriamente un preciso percorso didattico e formativo.

In realtà, di tutto ciò la Moratti ed i suoi consiglieri se ne infischiano bellamente, trasformando la scuola dell'Infanzia in una succursale dell'asilo nido comunale. L'operazione è semplicemente di stampo demagogico. Si propone alle famiglie il ritorno ad una logica meramente custodialistica ed anziché provvedere allo sviluppo degli asili nido, il cui numero è assai carente, si fa loro sapere che potranno lasciare anzitempo i propri figli nella scuola statale. Poco importa se il rapporto alunni/personale è negli asili di max 1/6, mentre nella scuola dell'Infanzia raggiunge 1/25. Poco importa se una scuola dell'Infanzia così costruita, oltre ad aumentare gratis et amore dei i carichi di lavoro per il corpo docente (infatti s'allarga il bacino d'utenza ma non aumentano certo le cattedre), non sarà utile alla scolarizzazione, allo sviluppo dei prerequisiti ed a quant'altro prevedono gli orientamenti.

La scuola Elementare

Per la scuola elementare i problemi, se possibile, si moltiplicano.

Non ci stracciamo le vesti di fronte all'ingresso anticipato a 5 anni e mezzo. In questo caso la compatibilità esiste. Ma il primo problema è rappresentato dall'impossibilità di creare classi di livello a causa delle ristrettezze d'organico. Cosa che renderà assai difficile la coabitazione di alunni con anche 11 o 13 mesi di differenza d'età, con analogo aumento del numero di alunni per classe determinato anche qui dall'allargamento del bacino d'utenza con una crescita cattedre vicina allo zero.

Riteniamo poi del tutto vergognoso che nel terzo millennio si giunga a negare la pluralità dei docenti con il sostanziale ritorno al maestro unico (abbandonato ovunque tranne che nel Terzo Mondo ... e non certo per motivazioni didattiche). Che cos'è infatti questo insegnante prevalente, il cosiddetto "tutor", se non un artificio contrabbandato da un inglesismo - il tutore-precettore esisteva al tempo dei romani, ma per chi veniva seguito singolarmente - per introdurre una gerarchizzazione fra docenti e coprire la riduzione di decine di migliaia di cattedre? La gerarchia è imposta affidando alla nuova figura la possibilità di convocare riunioni a proprio piacimento ben oltre le due ore canoniche di programmazione settimanale, non meno che con la marginalizzazione totale del resto di quello che si chiamava team. Infatti se si affidano ad un solo docente dalle 18 alle 21 ore di un tempo scuola ridotto - peraltro in tutti gli ordini e gradi - a 27 h. settimanali curricolari, quanto spazio resta agli altri insegnanti (uno nel tempo pieno e due/tre nei moduli)? E' inevitabile che tutto ciò porti ad un taglio di cattedre senza precedenti.

A questo punto va aperta una doverosa parentesi, onde ricordare, come tutti hanno ben a mente, la nostra fiera opposizione alla riforma di Berlinguer, che contribuimmo a far cadere non solo per la vicenda del "concorsone". Checché ne dicesse l'illustre predecessore della Moratti, l'idea del tutto masochistica di colpire la scuola Elementare - la migliore del Paese, al vertice nel mondo sino al 1990 e poi scesa al comunque onorevole terzo posto secondo i dati OCSE ma già a causa della prima controriforma che introdusse la possibilità di moduli verticali, a "scavalco" e persino 4 su 3 - ha preceduto l'attuale dicastero. Né il successore De Mauro, grande linguista, ha dimostrato migliori capacità matematiche dell'altro, quando sosteneva che non si sarebbe tagliato nulla a fronte dell'unificazione di tutta la scuola elementare e media in un settennio: non ci risulta infatti fosse diventato opinabile che 5 più 3 non faccia 7. Si sarebbe eliminata una cattedra ogni otto. Le onde "anomale", l'utilizzazione degli insegnanti provenienti dalle medie a partire dalle future terze del ciclo di base, la diaspora degli insegnanti delle elementari, avrebbero completato quello che era un vero e proprio disastro annunciato!

La sforbiciata della Moratti e di Tremonti che è stato - prima della rovinosa recentissima caduta - a lungo il ministro unico del governo Berlusconi, è diretta a colpire con maggior forza: sono più di 50.000 i posti destinati a sparire nelle elementari! Anche perché al maestro unico ed alla riduzione del tempo scuola, s'aggiunge la messa in mora del tempo pieno.

La questione del tempo pieno e del tempo prolungato

La Moratti dice cose paradossali quando afferma che il tempo pieno non è stato toccato. Basta leggere il decreto attuativo della riforma per le elementari per rendersi subito conto che, fra la serie di leggi disapplicate o revocate che compare in chiusa nel testo, viene abrogata proprio la legge istitutiva del tempo pieno. Certo che se i partiti di opposizione eleggono a campioni delle proprie posizioni soggetti come la Melandri, apparsa in "Ballarò", o il segretario generale UIL Angeletti che si è premurato di ricordare di non aver mai posto questioni in merito, piuttosto che la Colturani della CISL Scuola o Fedele Ricciato dello SNALS, apparsi a "Porta a porta", sarà difficile far capire qualcosa all'opinione pubblica!

Che cos'è allora questo tempo scuola "misto", con 27 ore curricolari, più 3 "aggiuntive" e ben 10 di mensa (e ci vorrebbe davvero un carnevale permanente per attuare cose del genere!)? Il tempo pieno, che non ci hanno certo "regalato", ma che è costato lotte e sacrifici negli anni '70, si è affermato come un insieme organico didattico/formativo. Fra l'altro si è posta giustamente negli ultimi cinquant'anni, in campo pedagogico, molta attenzione all'ambito non strettamente curricolare, per l'importanza che riveste nella socializzazione e non solo. Ad esempio il tempo mensa, destinato invece dalla Moratti ad escamotages volti al risparmio, con la riduzione del numero degli insegnanti presenti, per una mera "vigilanza" che ab origine il ministro voleva persino destinare ai collaboratori scolastici. Inoltre il marchingegno delle 27 + 3 + 10 è conservato solo in via residuale, così come i tagli di organico sono solo rimandati di un anno, al Settembre 2005.

Fin qui le responsabilità del governo, ma non si può tacere sull'inciucio che ha visto protagonista l'ANCI (associazione dei comuni italiani), con l'accettazione di questo surrogato. Di fronte a tale accordo palese, la CGIL ha chiuso tutti e due gli occhi, proprio mentre partecipava alle lotte contro la nullificazione del tempo pieno, esattamente come CISL e UIL che lo hanno salutato con favore. In proposito, va ricordato anche che già con la legge 148/90 (sempre quella dei moduli), era stato portato un forte attacco al tempo pieno, che doveva sparire per far posto ad una completa "modularizzazione" con i rientri pomeridiani al posto delle mense. Solo una grande battaglia che non vide certo impegnati i Confederali, lo impedì.

Sarà quasi superfluo aggiungere che quanto detto per le elementari vale anche per il tempo prolungato delle medie, messo dalla Moratti ancor più a rischio.

L'idea del tutto privatistica che sottende alle ore aggiuntive

Si è già detto che l'insieme normativo della Moratti non è accettabile o giustificabile da qualunque parte lo si guardi. Di certo non è una riforma, dato che dicesi tale il tentativo di migliorare la situazione pregressa, mentre ad ogni nota si ha la conferma di un ritorno indietro generalizzato: non la tendenza ad andare avanti, né a rettificare eventuali passi falsi, ma semplicemente un arretramento generale.

Eppure si hanno problemi persino se ci si rivolge al passato.

Si è sentito dire a volte che essendo questo governo di centro destra starebbe tornando alla tradizione di tale area politica e nel caso di specie il riferimento storicamente dato è sicuramente Gentile, il più prestigioso intellettuale del regime fascista. Tutti ben capiranno la distanza che ci separa idealmente dalla scuola gentiliana, costruita secondo un modello classista ed incardinata su parametri stratificati per ogni ordine e grado di scuola, come se esistessero scuole più degne di altre. A Gentile (e per la verità non solo a lui) dobbiamo ad esempio la negazione del ruolo unico docente, come se chi insegna ad alunni di età inferiore abbia meno responsabilità e debba essere meno preparato e considerato. A lui va ricondotta anche l'idea che per insegnare basterebbe una conoscenza meramente cattedratica della materia, cosa che ha portato in secondo piano il saper insegnare. Cionondimeno il liceo classico di Gentile era costruito come una scuola seria e la filosofia generale del modello gentiliano aveva una sua coerenza. Conteneva, ad esempio, un'esaltazione della storia nazionale, dei saperi "forti", dell'epica e della tradizione. Il modello, pur discutibile, aveva una ratio. La Moratti ha ripreso le cose più dozzinali e dequalificate, come il taglio e cucito (oggi riportato in auge), ma non riesce a far quadrare i conti neanche con Gentile.

Chi avrebbe mai detto a Gentile che, nel Paese "del bel canto", l'educazione musicale, oggi chiamata di nuovo come nei film di Totò (la mosica), sarebbe stata destinata ad un ruolo marginale?

Gentile stesso non poteva neanche immaginare in Italia, ove abbiamo almeno il 60% dei beni artistici e culturali del pianeta, analoga fine per l'educazione artistica. Di certo si rigirerebbe nella tomba al pensiero che un governo di centro destra abbia poi collocato l'educazione fisica – pur se Bertagna, il padre della riforma Moratti, nello stile di Bottai, la chiama di nuovo così: non si parla più di educazione motoria, a dimostrazione che trattasi davvero di un grande pedagogista! - in funzione subalterna, aggiuntiva ed opzionale!

Una furia iconoclasta si è abbattuta sulle educazioni, esposte al pubblico ludibrio da Bertagna nel primo testo della "riforma", già al tempo dei cosiddetti stati generali della scuola (termini quantomai impropri per una kermesse alla quale erano invitati quasi esclusivamente gli intellettuali di corte). Il fatto che poi si sia deciso di rivedere la posizione, consentendo alle educazioni di venir poste anche nell'orario curricolare, è mero incidente di percorso. Tanto che, quando le scuole verranno messe di fronte alla scelta disgraziata di cosa tagliare per rispettare le 27 ore, saranno sempre queste a farne le spese, anche se ridefinite come "materie". Un incidente, seguito poi da un escamotage, come nel caso della marginalizzazione della matematica nel liceo classico e dell'eliminazione del latino dallo scientifico, che Bertagna sbandierava allegramente all'inizio del mandato morattiano: l'escamotage è quello di andare ugualmente verso il taglio, facendo sembrare che tutto sia rimasto come prima. Infatti gli organici, una volta sbloccati, saranno tiranni e le 27 ore una coperta troppo stretta per una scuola di qualità! Se ne accorgeranno anche i colleghi della scuola superiore, ai quali manca peraltro la "copertura sociale" rappresentata dal raccordo con le famiglie, che, bene o male, ha funzionato nella lotta per la difesa di tempo pieno e prolungato per elementari e medie.

L'idea di fondo è del tutto privatistica: la scuola deve fornire il minimo necessario e se sul territorio vi sono offerte a pagamento come nel caso delle palestre, perché dovrebbe farsi carico, ad esempio, dell'educazione motoria? La scuola è, secondo la nuova visione, solo un'agenzia concorrente (e neanche tanto…) rispetto alla formazione delle nuove generazioni, non ne è più l'agenzia principale!

In realtà, se di un modello vogliamo parlare per la scuola del berlusconismo, questo va ricercato negli Stati Uniti d'America. In una scuola funzionalista, neo-comportamentista e skinneriana sul modello delle comunità terapeutiche tanto care alla Moratti (come S. Patrignano). Per Bertagna & C. la formazione completa dell'individuo non è un obiettivo della scuola di tutti, anche perché intralcia il mondo dell'impresa, avido di fagocitare soggetti deprivati e flessibili. Tali devono essere perché non possano farsi valere contrattando sul mercato del lavoro: quindi mal nutriti di sapere critico e di competenze specifiche. Negli USA, ad esempio, la storia non si studia quasi a scuola (si parla solo degli ultimi 100 anni). Se vuoi studiare la storia devi considerarla un "approfondimento" ed una "specializzazione" da ricercare all'Università. In Italia, nella nuova scuola, i programmi di storia (e non solo) vengono banalizzati e le ore ridotte.

Il "consumismo" scolastico

Diceva Don Milani che la differenza fra il maestro ed il bottegaio sta nel fatto che mentre il secondo deve assecondare i gusti del cliente, il primo è invece spesso impegnato nel cambiarli. La scola morattiana introduce proprio con le ore opzionali, il meccanismo del mercato e/o del "consumismo" scolastico. Queste ore in più, che vanno agganciate all'orario obbligatorio, ma che non sono per tutti, vengono scelte dalle famiglie e dagli alunni: è la scuola dove si prende quello che si vuole, non dove si viene orientati a scegliere per il futuro a partire da un curricolo completo. E' la scuola supermarket! L'unità delle proposte didattiche viene frantumata a monte, la stessa alterità etica della scuola cede il passo all'autoritarismo del mercato, che orienta le famiglie e gli alunni a partire dalla pubblicità televisiva e dalle mode del momento. Motivi di riflessione per le associazioni professionali come DIESSE di Comunione e Liberazione, la destra della Chiesa in politica con Berlusconi, le quali, senza vergogna, dopo che gli antecedenti delle gerarchie ecclesiastiche cui sono legati lo abbandonarono e condannarono, si fregiano ogni tanto delle massime del prete di Barbiana.

Ma anche qui, ahinoi, è necessaria una digressione: quanto di questa deprecabile "svolta" è stata preparata nel recente passato, da altri governi, cosiddetti progressisti? Quanto abbiamo già visto volgere in tal senso con la voluta confusione dei ruoli e l'aziendalizzazione - leggi preside-manager, pardon … dirigente scolastico - contrabbandata per "autonomia"? Non è emblematico il caso della "carta dei servizi" con il suo "alunno-cliente"? E' da troppo tempo infatti che si è persa di vista la carta costituzionale, che non definisce certo la scuola come "servizio", bensì quale istituzione, al pari dell'Università. Ed è proprio al seguito di tale manovra, costruita dagli anni '80 all'ombra della Loggia P2, poi fatta propria dal cosiddetto centro sinistra e dai sindacati di stato, che si è iniziata la demolizione della scuola pubblica, portata alle estreme conseguenze già con la separazione netta dall'Università e tornata, neutralizzato lo scossone del '68, a luogo dequalificato di mera trasmissione del sapere: non più centro di ricerca o laboratorio sociale. All'autoritarismo fascista e classista è stata sostituita l'impiegatizzazione dei docenti, in primis dequalificati con stipendi da fame, caso pressoché unico in Europa. Ha "coperto" l'operazione il cosiddetto "catto-comunismo" (effetto del compromesso storico). Da una parte l'imposizione dello "spirito di servizio" al corpo docente, sotto la supervisione dell'alter-ego democristiano, che ne ha fatto strumento per la trasmissione degli archetipi del moralismo spicciolo e benpensante, con grande attenzione a conservare al riparo della critica i presupposti della diseguaglianza sociale (con il pietismo contrabbandato per solidarietà). Dall'altra l'inveterata convinzione pseudo-operaista che il corpo docente eserciti tutto sommato una funzione improduttiva e saprofita, considerando lo stesso al massimo come strumento "militante" la cui "missione" deve venir diretta dal "partito" e subordinata all'alter-ego dell'intellettuale "organico", impersonale e fatto "massa", nel quale deve essere stroncata alla radice ogni autonomia professionale. Si è seguitato con la privatizzazione del rapporto di lavoro (DL 29/93), infine con una sorta di autogestione della miseria (leggi figure di sistema e dirigenti), eliminando il ruolo giuridico dei docenti e con esso, di nuovo, la loro autonomia professionale. Il rispetto dei ruoli è pressoché scomparso, non è stato raggiunto il rispetto fra i ruoli (quindi nessuna "democrazia"), ma un succedaneo che ha illuso alunni e genitori di poter imporre stili didattici e di aver comunque diritto al diploma come se si trattasse del certificato di un'analisi del sangue. Il tutto condito con un pietismo di bassa lega, con evidenti coperture a "sinistra", secondo il quale far studiare il greco all'alunno del Bronx equivarrebbe a sottoporlo a tortura. L'abbassamento degli obiettivi didattici ed il declassamento dei docenti realizzano l'utopia negativa dettata da un mondo dell'impresa culturalmente povero, che ha perso la sfida della ricerca, assistito e forse senza futuro, che intende mettere la scuola al proprio servizio con curricoli poveri ed eterodiretti da "sponsor" esterni. D'altra parte la ragion di stato copre la sfera pubblica dei propri diktat legati a compatibilità economiche ed a povertà politiche che edulcorano i programmi a proprio uso e consumo (vd. il "caso" del revisionismo storico). Ma non era Gramsci a dire che la scuola è una cosa seria e che proprio le classi meno abbienti, per un programma di emancipazione, hanno prima di tutto il bisogno di accedere alla cultura?

Continuando così, il prossimo ed ultimo passaggio sarà proprio quella abolizione del valore legale del titolo di studio che si è già raggiunto nella pratica declassandolo, pressoché unico obiettivo non ancora inveratosi appunto del programma della Loggia P2 (e nel governo Berlusconi se ne è parlato più volte).

La scuola Media

La regressione nella scuola media è altrettanto evidente che nelle elementari. Si torna a prima del 1963, a prima della media unica, ai tempi dell'avviamento professionale. Questo era infatti caratterizzato dalla scelta precoce imposta all'alunno relativamente all'indirizzo. La "nuova" scuola morattiana impone tale scelta a 13 anni.

E' dalla scuola Media che si coglie il nocciolo duro della controriforma. Da qui si dipana il doppio percorso formativo, punto d'arrivo definitivo. Un settore di serie "A", già depauperato in sé, ma che sbocca ancora nell'Università ed un vero e proprio segmento differenziale di massa che si arresta alla formazione professionale, cui destinare la maggior parte del corpo studentesco: il 22,3% che ora afferisce agli istituti professionali e buona parte di quanti frequentano i tecnici (36,7%), più i "fuorusciti di risulta" che la struttura stessa della nuova scuola scaricherà dai licei.

La demagogia delle "tre i"

Nella media si osserva con evidenza come sia profondamente menzognero l'impianto "teorico" della scuola morattiana. L'incipit ab origine era: finalmente arriva il rinnovamento e si studierà con impulso innovatore ciò che il "vecchiume" precedente negava. In particolare inglese ed informatica (sull'impresa rimandiamo il commento alla parte relativa alla formazione professionale).

Ma è anche sulle lingue straniere e sull'informatica che "casca" il signor Bertagna.

Per le prime va fatto subito rilevare che lo spazio orario ricavato autofagocita quello pregresso. Cioè le ore nel precedente bilinguismo erano di più e si finirà per fare la seconda lingua straniera con circa 1 h e mezza a settimana contro le due attuali (stesso spazio ridotto è destinato alla prima lingua straniera). Cosa analoga capita nelle elementari, dove le ore per fare la lingua straniera nelle future prime e seconde (ex primo ciclo) vengono detratte dalle ore già utilizzate per la lingua straniera, appunto, nelle terze, quarte e quinte (ex secondo ciclo).

Dulcis in fundo, nelle medie, qualora qualcuno richieda una lingua che non cominci per "i", per esempio lo spagnolo, il francese o il tedesco, e non vi siano insegnanti abilitati, verranno utilizzati sic et simpliciter perdenti posto di inglese o d'altro, anche se non conoscono la lingua (e non solo dal punto di vista della didattica).

Per quanto attiene all'informatica basti dire che nulla è previsto in materia di spesa per l'acquisto di più computer di quanti già non ve ne siano, né per specializzare insegnanti in merito, né per creare cattedre specifiche nelle elementari. Per le medie, stante la medesima situazione per le macchine, si farà forse affidamento sugli insegnanti di educazione tecnica, "riciclati" su quello che in parte già facevano. Insegnanti sui quali intanto si abbatte la mannaia dell'eliminazione radicale della loro cattedra (12.000 posti in meno). Per il superiore, in attesa del decreto attuativo, invece è ancor più difficile stabilire chi se ne occuperà, dato che gli insegnanti tecnico-pratici dovranno comunque smobilitare e verranno riconvertiti in parte su mansioni del personale ATA!

La scuola Secondaria Superiore

Parlavo di doppio binario.

Nel caso della formazione professionale la Moratti non mente: le hanno spiegato la differenza fra la struttura degli attuali istituti professionali statali e l'odierna (e futura) formazione professionale. Sono due cose ben diverse, ma il futuro dei professionali statali è ritagliato sull'esempio dei centri di formazione professionale, circa 200 in Italia, già gestiti da agenzie a capitale misto pubblico-privato con lo "zampino" dell'impresa.

I centri di formazione sono caratterizzati dal fatto che non forniscono titoli di studio spendibili in sede universitaria: infatti la futura formazione professionale e buona parte degli istituti tecnici che ne seguiranno la sorte, sarà quadriennalizzata. Dopo non sarà come un tempo per le magistrali, che davano accesso comunque alle facoltà di Magistero. Occorrerà fare un anno integrativo, ma anche qui c'è una differenza. Mentre con l'anno integrativo dopo le magistrali si poteva accedere anche alle altre facoltà universitarie, domani, con la "riforma", occorrerà presentarsi da privatista ad una sessione per la maturità e provenendo da una formazione ove si saranno acquisite basi generali molto più labili: è una vera e propria gabbia!

Ma esaminiamo questa formazione professionale (ove si realizza l'incipit della terza "i"). Quello che la caratterizza è la cosiddetta "alternanza scuola lavoro". Si tratta di un allargamento a dismisura degli attuali stage, oggi quantificabili in circa 200 ore, di raccordo col mondo dell'impresa. Si tratterà di interi mesi passati dagli studenti direttamente a lavorare presso terzi. Ecco perché la Confindustria prima dell'arrivo di Montezemolo è stata l'unica struttura che non ha mai avuto dubbi sulla "qualità" della "riforma" Moratti. Le si fornisce manodopera gratuita rinnovata di anno in anno e le si consegna direttamente il timone della scuola, il cui raccordo con l'alunno resterà unicamente il tutor, figura che è naturalmente prevista anche al superiore. Una sorta di assistente sociale-collocatore-sersale che, naturalmente libero dalla classe, andrà di quanto in quanto a "visitare" gli alunni-lavoratori, la vera novità della riforma. Interessante l'incrocio della "riforma" con l'altra parte del provvedimento, ancora sconosciuto ai più, la revisione della formazione di base dei docenti, ove si vaticina che chi prenderà i voti più alti all'Università diventerà per l'appunto tutor, ed in quanto tale sarà libero dal lavoro "bruto", in omaggio ad una "logica" che abbiamo già visto tentare di imporre alla categoria da parte dei sindacati di stato negli ultimi contratti con le "figure che si sistemano". Cioè non insegnerà, avendo trovato evidentemente di meglio da fare: di tutto tranne l'unica cosa che caratterizza un insegnante. Oggi ci hanno abituati alla religione del "progetto". Domani, anche grazie al nuovo percorso di "merito" che, concorsone docet, CGIL, CISL, UIL e SNALS non hanno certo abbandonato e le cui dolenti note, con i punti certificati dal "dirigente" - ed il relativo ritorno alla vecchia nota di qualifica funzionale – si consoliderà un novero di "superprof" a tutto svantaggio degli altri. E' quindi singolare la concezione che sta dietro la nuova formazione di base. Chi viene certificato come "più bravo" in sede universitaria non insegna, chi si colloca immediatamente sotto va alle superiori, chi è più in basso va alle medie e quanti raccolgano giusto la sufficienza verranno spediti alle elementari (altro che ruolo unico docente!).

Infine occorre tenere bene a mente il disastro di cattedre che si determinerà con la riduzione di un anno per i professionali, nonché con le 27 ore più al massimo 6 aggiuntive per tutti i segmenti del superiore: almeno altri 50.000 tagli a regime. E chissà quante sorprese (soprattutto in materia di riconversione) troveremo con l'arrivo del decreto attuativo per il superiore, che il governo non ha ancora avuto il coraggio di sfornare!

Che fine fa il diritto allo studio? Diventa apprendistato!

L'obbligo scolastico diventa "diritto-dovere", ma può essere completato nell'apprendistato. Un capolavoro d'ingegno, per il quale bisognerebbe segnalare almeno uno fra Bertagna, la Moratti e Berlusconi per il nobel. In questo modo - ed oltretutto senza sanzioni vere per quanti tenessero i loro figli lontani dalla scuola … ma anche se ce ne fossero si aggirerebbero mandando la prole a lavorare - si chiude il cerchio di una "riforma" che ci riporta (…ma sarebbe più giusto dire ci lascia, visto quanto poco è stato fatto in precedenza) all'ultimo posto in Europa, in compagnia dell'Irlanda. Un'Europa dove l'offerta formativa obbligatoria è di 10/11 anni, non di 9 né di 8 (a tanto torniamo, dopo l'assorbimento dell'anno in più dato da Berlinguer, subito fagocitato dalla Moratti). Ed una "riforma" che si caratterizza per l'abolizione di un anno è davvero singolare!

Annessi e connessi 1: la controriforma degli organi collegiali

Poco se ne parla, ma il governo ha già pronto un disegno di legge di revisione degli organi collegiali. Un'ennesima "riforma" dalla grande forza distruttiva. In sintesi, il Collegio Docenti verrebbe smembrato in "dipartimenti". A presiederlo continuerebbe ad essere il dirigente, ma il suo potere diverrebbe strutturale, facendo adottare nei "dipartimenti" le decisioni più importanti. Alla fine il Collegio di riunirebbe solamente per "ratificare", due/tre volte l'anno. Il colpo formidabile inferto alla democrazia scolastica viene poi sancito con il passaggio della presidenza del Consiglio di Circolo/Istituto al dirigente medesimo, in luogo di un genitore (attuale normativa). Ma la demagogia della Moratti "para" il colpo inserendo il "garante dell'utenza" nel Consiglio stesso, con compiti di vaglio dell'adeguatezza della scuola agli obiettivi che si è data con il piano dell'offerta formativa e la relativa selezione della qualità degli insegnanti. Così, mentre si toglie alla componente delle famiglie una competenza loro connaturata (presiedere il Consiglio), le si fornisce un compito improprio: la valutazione della qualità del profilo didattico della scuola.

Se si aggiunge al tutto la trovata della "valutazione condivisa" genitori-insegnanti, contenuta nella riforma della scuola, siamo di fronte ad un chiaro conflitto di interessi introdotto già al livello della prima elementare (posso io "condividere" la valutazione di mio figlio?). Si ottiene un cocktail micidiale: sarebbe come se una legge imponesse ai medici di contrattare anamnesi e terapie con i pazienti. Una cosa è l'ambito formativo (il rispetto degli alunni, la democrazia interna, gestione delle strutture, etc.), altro è ciò che attiene a metodologia e didattica, una sfera squisitamente professionale per vagliare la quale occorrono competenze specifiche date dalla pratica e dallo studio, che non possono essere assolte da chi non è docente.

Ma anche l'ennesima confusione dei ruoli nasce da elementi pregressi. Si ricordi una volta per tutte la "autonomia" scolastica: dal 2000 è data al Consiglio d'Istituto la facoltà di adottare il POF, che viene solo proposto dal Collegio. La Moratti non fa quindi altro che accrescere la confusione utilizzando strumenti preesistenti, nel caso specifico diminuendo il numero dei docenti presenti nel Consiglio, così che vadano in minoranza. Anche il POF diviene quindi soggetto di mercanteggiamento fra componenti, sottratto al suo ambito naturale.

Annessi e connessi 2: la regionalizzazione

La "devolution" è, se possibile, la peggior "iattura" per la scuola italiana. Sul terreno dell'istruzione e della formazione si gioca infatti la partita più importante del provvedimento. La posta addirittura comprende la titolarità del personale e gli appetiti non muovono solo il centro-destra. Anche in questo caso, infatti, la strada è stata aperta da una legge approvata dal governo precedente. Non glielo aveva certo prescritto il medico di votare, esattamente 6 giorni prima dello scioglimento delle Camere, norme - quelle poi sottoposte a referendum - che consegnano nelle grinfie delle lobby politiche degli enti locali una parte notevole degli obiettivi da definirsi per la scuola italiana (che andranno ad occupare la quota destinata alla evanescente "autonomia"). Basti pensare che il nostro è un Paese nel quale quasi quotidianamente si sente dire da anni, da soggetti poi diventati ministri della repubblica, che bisognerebbe scrivere sui libri di storia che "Verdi era un grande padano"! Allo stesso modo la possibilità di frazionare gli addetti per appartenenza geografica era già contenuta nel supposto "federalismo". Tanto che in base a quella legge una regione del centro-sinistra (Emilia Romagna) ha adito le vie legali per ottenere appunto la gestione del personale (ed ha avuto partita vinta dal Consiglio di Stato anche se l'attuazione della sentenza è sospesa).

E' evidente che la regionalizzazione investirà in primo luogo i professionali, ancora una volta la vittima sacrificale più grassa e da sempre predestinata (si ricordi il primo tentativo in tal senso negli anni '90). Così la piccola e media industria potrà affondare con cupidigia le grinfie nelle molli carni degli istituti italiani più vicini al mondo della produzione, anche indipendentemente dalla riforma della scuola.

Infine, il sempre più attuale problema relativo al programma di chi si oppone

Il governo Berlusconi è ormai a pezzi, non è quindi detto che arrivi alla fine della legislatura, ed anche qualora vi giungesse vi sono molte probabilità che vada a casa con una sonora sconfitta elettorale. Non c'è quindi solo il problema di come combattere contro la riforma Moratti, ma, come è ovvio (non basta dire di no), l'urgenza di un programma alternativo. Un programma che non c'è.

Un'assenza preoccupante, visti i tentennamenti persino in fase di contrasto. Si sarà capito, spero, che ad esempio la questione del tutor è stata sollevata dai sindacati confederali e dall'autonomo SNALS principalmente quando s'è capito che il ministro era fragrante nei loro confronti del reato di lesa maestà, pretendendo di definire per decreto la retribuzione aggiuntiva da darsi a questa sorta di "super-docente", anziché accedere a stabilirla per contratto. E non sto parlando solo di CISL e UIL, che hanno firmato allegramente con Maroni anche il tristemente famoso "patto per l'Italia". Mi riferisco anche alla CGIL, che sulla differenziazione dei docenti ha posto la firma qualche mese fa, siglando la coda contrattuale rimasta aperta che prevedeva un percorso di "merito" e che quindi sulla differenziazione stipendiale, come la vicenda del "concorsone" dimostra, è più che disponibile.

Occorre cambiare pagina. I mali della scuola vengono da lontano e vanno affrontati a monte, non nell'anamnesi sintomatica. Anche la lotta contro la Moratti darà maggiori risultati se sostanziata da un'alternativa forte e credibile. Bisogna trovare il coraggio e la forza di imporre all'agenda politica una riflessione approfondita sulla scuola che elimini anche i vecchi vizi di una certa "sinistra".

Crediamo che non serva particolare coraggio per rivendicare, dal fronte progressista, un obbligo scolastico finalmente a 18 anni, né particolare genialità per capire che non possa il progetto di Berlinguer essere considerato l'alternativa vincente alla Moratti. Così come riteniamo che non occorra essere geni per recuperare l'unico elemento positivo del primo disegno di riforma dello stesso Berlinguer e che poi non diventò legge a causa dello strapotere degli interessi delle scuole private: l'ingresso nell'obbligo dell'ultimo anno di scuola dell'Infanzia. Non si scopre nulla proponendo un raccordo fra l'ultimo anno di scuola elementare ed il primo di scuola media (il punto più critico di "mortalità scolastica"), come avviene in Francia, dove gli insegnanti delle elementari lavorano in parte anche sulle prime del segmento successivo e questi scendono sulle quinte. E' certo più democratico che in luogo del dirigente i Collegi Docenti eleggano triennalmente un coordinatore, visto che una comunità educante ha bisogno di cooperazione educativa ben più che di "capi". E via di seguito … salvaguardia della pluralità dei docenti e del tempo pieno e prolungato, organico maggiorato di istituto per più individualizzazione della didattica, contenimento del numero di alunni per classe anche con riferimento all'integrazione ed all'interculturalità, salvaguardia dell'insegnamento di sostegno e valore abilitante al titolo di specializzazione, salvaguardia delle educazioni, insegnamento di storia delle religioni in luogo dell'IRC (assorbito in questa nuova classe di concorso), percorrenza pensionistica velocizzata per chi garantisce la continuità didattica nelle scuole a rischio (sull'esempio delle agevolazioni per gli insegnanti italiani all'estero), ingresso gratuito in musei e mostre per docenti, ATA, alunni e disoccupati (come già in tutt'Europa, tranne che da noi).

Ma tutto questo richiede anche una nuova ed inedita attenzione alla funzione docente, con il superamento delle assurdità introdotte in questo Paese. In primis va eliminata la privatizzazione del rapporto di lavoro che rende il nostro un comparto impiegatizio.

Sulla scuola gravano infatti i dettami del DL 29/93, recepiti con il contratto del '95. Essi impongono l'eliminazione degli automatismi d'anzianità e con la trasformazione degli scatti biennali in "gradoni" sessennali e settennali, chi firmò all'epoca è riuscito a farci avere meno di quanto avremmo avuto se quel contratto non ci fosse stato ed avessimo conservato i vecchi incrementi stipendiali. Essi impongono la riconversione d'ufficio, così che un ITP di un laboratorio di ceramica lo si è potuto "riciclare" su una cattedra di "scienze della terra" e un insegnante di educazione tecnica delle medie è stato spostato sul sostegno. Si è scelto di operare come su dei travet. S'è introdotta la cassa integrazione e la licenziabilità per esubero. Il "dirigente", inesistente all'università (persino nel caso dei presidi di facoltà si tratta di qualifiche elettive), è stato trasformato contrattualmente in "datore di lavoro". E' stato eliminato il ruolo, assegnando ora, al personale assunto stabilmente, degli incarichi a tempo indeterminato. Una vera e propria precarizzazione di massa: quella era la definizione giuridica usata una volta per i precari, di contro ancora più indifesi oggi, perché incaricati a tempo determinato. La cosa, peraltro, ha indebolito molto lo status del docente in ordine all'elemento-cardine della sua funzione: la libertà d'insegnamento, unica garanzia di autonomia professionale e quindi anche di una piena libertà di apprendimento.

Infine l'ultimo diktat del Decreto legislativo n.°29/93, imposto alla scuola quando è stata inserita a forza nel "pubblico impiego" impedisce, come negli enti locali e nei ministeri, la possibilità di aumenti pensionabili, eccezion fatta per le percentuali di inflazione programmata (sempre inferiori all'inflazione reale). Ecco spiegato come mai, dal CCNL del'95 tutti i nuovi istituti contrattuali hanno introdotto la logica del cottimo e delle mance. Non sarebbero stati pensionabili i 6 milioni lordi di vecchie lire previsti per il bocciato concorsone di Berlinguer. Non sono stati pensionabili i 3 milioni lordi delle funzioni obiettivo, né i fondi delle funzioni aggiuntive del personale ATA. Tutto "salario accessorio".

Ciò significa due cose. La prima è la condanna per i docenti italiani a rimanere ben lontani dalla media retributiva europea (e noi siamo remunerati persino peggio dei coreani). Infatti, nonostante oggi anche i Confederali e lo SNALS denuncino la situazione di disequilibrio che loro stessi hanno creato, nessuno fa sapere alla categoria che non è possibile avvicinarci agli standard europei se non uscendo dal pubblico impiego (cosa che loro però non vogliono). Infatti occorrerebbe un aumento specifico della paga base, cosa vietata dal DL 29/93.

Secondariamente, tutto ciò fa capire bene quale sia la considerazione contrattuale riservata ai docenti: noi saremmo lavoratori "part-time" (senza impegni aggiuntivi e sommersi oltre l'orario di lezione) che, se vogliono qualcosa in più devono "lavorare di più". Cosa negativa anche per la qualità della scuola. Infatti, nel nostro caso la qualità è inversamente proporzionale alla quantità: più ore facciamo, più alunni abbiamo e meno rendiamo. La nostra è una funzione particolare.

Noi partiamo da un assunto diametralmente opposto: scuola ed università sono istituzioni pubbliche devono avere un contratto adeguato al proprio ruolo, oltre che a quanto dispone la Costituzione. Un contratto di natura pubblica e di tipo specifico che le rispetti quale crogiuoli di elaborazione del sapere, le preservi da ogni appetito e logica privata e privatizzante e le valorizzi come patrimonio di tutti che si esprime in una centralità sociale ed in una funzione che non hanno eguali (e non solo perché atipiche).

Da tempo qualcuno chiede un contratto per i soli insegnanti, ma i docenti universitari non hanno avuto un "contratto separato", sono semplicemente rimasti nello status precedente il DL 29/93.

Questo è l'unico modo per recuperare la posizione precedente, perché un "contratto separato" dentro il pubblico impiego non cambierebbe la collocazione e quindi non modificherebbe nulla, dato che per tornare almeno alle caratteristiche contrattuali precedenti la privatizzazione, con garanzie di carattere pubblico, oggi occorre per forza (e paradossalmente) uscire dal pubblico impiego, altrimenti le retribuzioni resterebbero vincolate a quelle del pubblico impiego ed il codice deontologico continuerebbero a scriverlo ......... i cardinali.

Da tali considerazioni le rivendicazioni storiche dell'Unicobas (l'unico sindacato che non ha debiti ideologici o dipendenze di partito): l'uscita dal pubblico impiego per tutto il comparto (docenti ed ATA), organismo professionale di tutela degli insegnanti, ruolo unico docente, retribuzione europea, salvaguardia degli organi collegiali. Un programma libertario per una scuola finalmente affrancata e rivalutata.

Solo con la garanzia di questo programma può essere credibile una svolta e solo chi assumerà questo programma potrà avere la nostra fiducia.

Stefano d'Errico (Segretario nazionale de l'AltrascuolA Unicobas)