STATO GIURIDICO DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA

(T.u. C. 4091 e abbinati - ddl della maggioranza)

di Stefano d'Errico

(Segretario nazionale de l'AltrascuolA Unicobas)

PREMESSA

Il ddl s'incentra sulla "valutazione e verifica delle prestazioni di ogni titolare della funzione docente ai fini della progressione economica e di carriera", nonché sull'istituzione di un "albo nazionale dei docenti ... suddiviso in sezioni regionali" (vd. art. 2, commi g ed h).

Quando si parla di "valutazione" dei docenti si cammina su di un terreno minato.

I tentativi portati avanti in vari Paesi in tal senso si sono dimostrati spesso forieri di "innovazioni" negative. Vedi in proposito la "valutazione" di tipo americano ed anglo-sassone che, basata su presupposti "standard formativi" degli alunni, è stata abbandonata a causa del livellamento in basso della preparazione degli alunni, portati a prepararsi solo relativamente ai quiz previsti da detti standard. Inoltre la valutazione dei docenti in ordine ad un tale supposto "successo formativo" era risultata penalizzante per quanti insegnano in zone a rischio e ad un'utenza difficile.

Si ricordi quanto successo nel nostro Paese a seguito della proposta di "concorsone" avanzata dal Ministro Berlinguer di concerto con le OOSS CGIL, CISL. UIL e SNALS nella passata legislatura: l'idea di valutare in itinere i docenti venne ripudiata dalla pressoché totalità della categoria, innanzitutto perché è evidente che un'attenzione particolare alla qualità va posta al momento della formazione di base dei docenti, a momenti di formazione che, oltre allo specifico della conoscenza delle materie da insegnare, privilegino il "come insegnare", elemento assai carente nella tradizione italiana a causa dell'influenza gentiliana. La prima fondata obiezione è sempre stata quindi: la selezione va operata ab origine e non in itinere.

La seconda obiezione è altrettanto ineccepibile: chi valuta i valutatori? A maggior ragione se ci si trova di fronte a proposte di legge o di tipo contrattuale che inseriscono fra i "valutatori" soggetti estranei alla funzione docente, quali genitori ed alunni. Per il semplice motivo che, mentre è d'uopo che essi possano esprimersi in ordine al rispetto fra i ruoli e non solo dei ruoli (come previsto giustamente in parte dai Decreti Delegati del 1974), non hanno invece strumenti per poter valutare e giudicare l'ambito strettamente professionale, ovvero l'opzione metodologico-didattica, tra l'altro tutelata costituzionalmente come libera scelta del corpo docente nell'ambito del cardine costituzionale indisponibile della libertà di insegnamento (posto, fra l'altro, anche a garanzia della libertà di apprendimento).

E qui veniamo alla questione dell'albo. Non v'è alcuna novità, visto che un albo dei docenti (anche se limitato ai soli insegnanti di scuola media e superiore) già esiste. Tale albo non ha mai significato nulla, come peraltro è stato anche per altre categorie di professionisti (vd. ad esempio gli psicologi prima dell'istituzione dell'ordine professionale specifico). Ovvero non ha mai rappresentato alcuna garanzia rispetto ad una tutela professionale dei docenti italiani, gli unici fra i professionisti a non avere un ordine in un Paese ove esistono, con tutto il rispetto, persino l'ordine dei radioestesisti, delle ostetriche e delle ... guide alpine! E' per questo che, mentre ad esempio per i medici nessuno si sarebbe mai sognato di imporre che scrivano anamnesi e terapie sotto dettatura dei pazienti, per i docenti si è arrivati a far adottare il Piano dell'Offerta Formativa da organismi dove vi sono anche genitori e studenti (Consiglio d'Istituo - regole della "Autonomia"). Per lo stesso motivo, mentre nessuno si sarebbe mai sognato di "valutare" i medici tramite un concorso a quiz, pari procedura era stata infelicemente disposta per i docenti. Analogamente, mentre sarebbe assurdo far valutare i magistrati dagli avvocati (anche se a Previti piacerebbe ...!) o gli avvocati dai magistrati, i più ritengono confacente far valutare i docenti dai "dirigenti" (ex presidi, promossi a tale ruolo dalla medesima "Autonomia"). Infine solo in uno stato totalitario un ministro degli interni (sotto l'auge del quale insiste l'ordine dei giornalisti) potrebbe stilare le regole della libertà di stampa, mentre la Moratti ha affidato ad una Commissione di sua nomina, presieduta dal Cardinal Tonini, il compito di stilare il codice deontologico dei docenti!

Tutto ciò per spiegare la demagogia di queste norme, che fanno passare come "nuova" la creazione di un qualcosa che già esiste e che non ha nulla da dire o da dare ai docenti: la vera novità sarebbe stata la creazione di un ordine professionale, ma in tal modo sarebbe decaduta tutta la costruzione autoritaria che sta alla base del provvedimento legislativo proposto, ancora una volta, e ben più che in passato, incentrato su confusione di ruoli e moritificazione impiegatizia per la categoria.

ANALISI DEL TESTO

Una nuova articolazione della funzione docente è alla base di tutto l'articolato. Tale collocazione in 4 livelli è piena di contraddizioni e di scambi iniqui.

In primis, pur se si asserisce che "la collocazione in livelli è riconoscimento di professionalità maturata ed opportunamente certificata e non implica sovradeterminazione gerarchica" (art. 3, comma 3), la vera natura gerarchica viene confermata laddove ad uno dei livelli viene attribuita funzione di valutazione dei docenti presenti negli altri due (medesimo articolo, comma precedente ed articoli successivi). Il quarto livello, quello del "vicedirigente" è poi dichiaratamente gerarchico.

Lo scambio iniquo che viene imposto alla categoria s'incentra poi sull'eliminazione degli automatismi d'anzianità. Si tratta di "gradoni" sessennali e settennali che hanno sostituito gli scatti d'anzianità biennali a partire dal 1995 (dando ai lavoratori della scuola meno di quanto avrebbero avuto se avessero conservato i precedenti scatti e non avessero avuto il contratto), quando il CCNL scuola recepì i diktat del DL 29/93 e la privatizzazione del rapporto di lavoro: inserimento della scuola nel calderone indistinto del pubblico impiego con passaggio del contratto da pubblico a privato; progressiva eliminazione della progressione di carriera per anzianità; divieto di aumenti pensionabili in paga base eccezion fatta per "l'adeguamento" all'inflazione (cosa che condanna i docenti italiani - i peggio retribuiti del continente - a restare per l'eternità ben lontani dalla media retributiva europea); eliminazione del ruolo docente e sostituzione con incarichi a tempo determinato; trasformazione del preside in "datore di lavoro"; riconversione professionale obbligatoria pena cassa integrazione e/o licenziamento per esubero (quest'ultima, cosa davvero singolare, se si pensa che un docente esercita una funzione che non può venir riconvertita su cattedre diverse da quelle per le quali è abilitato, pena lo scadimento dell'insegnamento). Va ricordato che analoga sorte non toccò invece all'Università, dove si esercita la medesima funzione (conservazione di un contratto di natura pubblica, presidi di facoltà elettivi, stipendi europei...).

Con l'eliminazione dei "gradoni" i docenti finanzierebbero interamente l'operazione a loro danno perché i fondi per la differenziazione economica verrebbero drenati appunto con tale operazione. Per colmo della beffa, la cancellazione del riferimento all'anzianità sotto il profilo economico fa invece il paio con il permanere di uno scalino di almeno 5 anni per poter chiedere l'accesso alla fascia successiva.

Come per il concorsone di Berlinguer (e differentemente da quanto avviene in Inghilterra dove è previsto un esame dopo 10 anni di servizio), il numero dei posti relativo ai vari livelli è predeterminato. Non potrebbero quindi accedervi tutti i "meritevoli", bensì solo una quota predefinita in base a compatibilità economiche presumibilmente assai ristrette a cura del Ministro dell'Economia e non dichiarate nel testo (art. 3, comma 5).

L'ARTICOLAZIONE IN LIVELLI

I livelli nei quali si articolerebbe la "carriera" docente sono relativi a tre fasce - docente iniziale; docente ordinario; docente esperto - alle quali si aggiunge la "nuova" figura del "vice dirigente".

A riprova del carattere impiegatizio dell'operazione, la retribuzione di tali livelli è parametrata sulle condizioni del Pubblico Impiego. La prima fascia sarebbe collocata in posizione equivalente al 7° livello retributivo (qui previsto per docenti laureati mentre altrove caratterizza un impiegato diplomato); 8° livello (nel P.I. quello del laureato); 9° livello (probabilmente non più di 36.000 docenti su 800.000). Va segnalato che anche con il nono livello si resterebbe sotto la media retributiva europea almeno per un buon 50%. Per il vice dirigente (massimo 12.000 nel Paese su 800.000 docenti a tempo indeterminato e 100.000 precari) relativa ulteriore aggiunta stipendiale. Nel primo livello resterebbe sicuramente ben più della metà della categoria, nel secondo probabilmente andrebbe al massimo il 20-30%.

LA MOBILITA' FRA I LIVELLI

I RUOLI E LA "VALUTAZIONE" NEI LIVELLI

IL NUOVO MECCANISMO DI ASSUNZIONE

COME SI ACCEDE ALL'ALBO:

PRECARI SUPERSFRUTTATI CON CONTRATTO DI FORMAZIONE LAVORO

Prima dell'assunzione un lungo calvario continua ad attendere i docenti (che già hanno almeno 8 anni di precariato pro-capite, destinati a salire, visto che è stato calcolato che l'esaurimento delle nuove fasce delle graduatorie per le supplenze non sarà possibile prima di 25 anni). Quanti conseguano la laurea specialistica svolgono un tirocinio ai fini dell'accesso all'albo e "per l'intera durata del tirocinio sono assunti dall'istituzione scolastica o formativa con contratto temporaneo di formazione e lavoro" (art. 3, comma 6). S'impone così una prestazione sottopagata che rende aleatorie malattie e ferie retribuite ed apre la strada ad un nuovo precariato con meno diritti ed uno stipendio ancora più basso. In tale condizione resteranno presumibilmente molto a lungo i centomila precari "strutturali" del sistema formativo italiano, senza che nessuno abbia pensato di concedere loro almeno un premio d'anzianità per i tanti anni vissuti in tale posizione (che vanno allungandosi). L'unica novità è negativa: lo stipendio, già basso perché sempre all'iniziale, si riduce ulteriormente.

NEI PRIMI DUE LIVELLI TUTTI VALUTATI COMUNQUE OGNI 4 ANNI

IL PORTFOLIO DEL DOCENTE

"E' disposta la valutazione periodica dell'attività docente per i livelli iniziale e ordinario, da effettuarsi con cadenza quadriennale" (art. 3, comma 7).

Ecco l'assurdo totale, il totale stravolgimento dei ruoli.

La "commissione permanente di valutazione" è composta da un funzionario dell'Ufficio Scolastico Regionale appartenente alla carriera ispettiva, dal dirigente della scuola, da due docenti esperti, da due genitori nelle istituzioni scolastiche del primo ciclo (e non si dice neanche chi li nomina) o da un genitore ed un allievo (idem) nel secondo ciclo (superiori), "nonché da un rappresentante designato a livello regionale dall'organismo tecnico rappresentativo". La valutazione periodica costituisce "crediti professionali documentati utilizzabili ai fini della progressione di carriera che vengono raccolti nel portfolio personale del docente" (art. 3). Una sorta di schedatura perenne i cui effetti durano e seguono a vita.

Diciamo subito che quest'organismo "tecnico" sarà solo in parte elettivo, avrà 30 membri, dei quali 20 eletti in consultazioni riservate alle associazioni professionali "riconosciute" dal Ministro.

E già questo discorso del "riconoscimento" è singolare, poiché non esistono criteri per stabilire la "rappresentatività" delle associazioni professionali. Mentre per i sindacati - che in questo modo dovranno accontentarsi di essere presenti solo per il tramite delle associazioni che hanno colonizzato o creato in passato perché soprassedessero all'aggiornamento "istituzionale" creato per contratto e/o accedessero ai fondi IRRE (IRRSAE) per i "formatori" - esiste una (anche se assai discutibile) legge sulla rappresentanza (1), per le associazioni l'unica scelta è discrezionale. E infatti il Ministro Moratti ha già provveduto a creare un "tavolo" permanente di confronto al quale ha fatto accedere alcune lobby storiche ("bipartizan") come il CIDI (molto vicino alla CGIL), l'UCIM (di area CISL) o come Didattica e Scuola (espressione diretta di "Comunione e Liberazione" creata all'uopo) e l'APEF fondata da Sandro Gigliotti che fu consigliere di Ferdinando Adornato (presidente della Commissione Cultura del Senato dove è stato originato questo testo di legge), con esclusione delle associazioni indipendenti come "Unicorno - l'AltrascuolA" o il Gruppo Abele di Don Ciotti.

Gli altri 10 membri verranno nominati discrezionalmente dalle medesime "associazioni" (che così si garantiscono una quota comunque, qualsiasi sia l'esito delle elezioni) e dalle Università (5 per parte).

Ma naturalmente è poi la presenza delle altre componenti che rende la cosa ancora più inaccettabile: basti pensare che la commissione valuterà: "l'efficacia dell'azione didattica e formativa; l'impegno professionale nella progettazione ed attuazione del piano dell'offerta formativa; il contributo fornito all'attività complessiva dell'istituzione scolastica o formativa; i titoli professionali acquisiti in servizio" (art. 3, comma 7). Tali elementi richiedono una preparazione metodologico-didattica specifica di base che genitori ed alunni non posono possedere e quanto è corretto, ai fini di garantire la libertà d'insegnamento, l'inserire nella commissione esponenti gerarchicamente determinati come l'ispettore ed il dirigente della scuola o i due docenti "esperti" che sono diventati tali grazie ai crediti certificati dal dirigente medesimo?

Va segnalato infine che tale commissione di valutazione permanente è l'istituto più importante di tutto il marchingegno legislativo, poiché senza acquisire crediti in queste valutazioni obbligatorie non si potrà neanche fare domanda per passare di fascia (concorso per titoli), senza considerare che qualora si ottenesse una valutazione negativa si verrebbe congelati persino nella finta progressione economica d'anzianità residua pensata a mezzo di scatti biennali di lievissima entità ingabbiati nelle retribuzioni di fascia.

In realtà si torna ad istituti presenti in un periodo buio della storia d'Italia, a quelle note di qualifica funzionale introdotte dal fascismo ed eliminate con i Decreti Delegati nel 1974. Redatte dai presidi, vi si trovava scritto persino come i docenti andavano vestiti a scuola e naturalmente commenti e segnalazioni al regime sulle loro opinioni politiche e sulle convinzioni etiche.

IL NUOVO MECCANISMO D'ASSUNZIONE

Uno stravolgimento radicale del presente si ha con un nuovo meccanismo di assunzione, copiato completamente dal privato, che prevede l'assunzione diretta del personale scuola per scuola, previa apposita autorizzazione rilasciata dall'Ufficio Scolastico Regionale e dall'Assessorato della Regione competente (in materia di personale).

Chi è entrato nell'albo partecipa ad un concorso per soli titoli, valutati da una commissione presieduta ancora una volta dal dirigente scolastico, con la presenza del direttore dei servizi generali ed amministrativi (ex segretario della scuola) e di tre docenti "esperti". Avverso le decisioni prese è ammesso ricorso presso "il giudice del lavoro" (art. 3). Tali "concorsi", possono essere effettuati anche da un insieme di scuole ("reti di scuole").

Ecco che finalmente il "dirigente" può esercitare la qualifica di "datore di lavoro", assegnatagli generosamente dal 1995 grazie alla privatizzazione del rapporto di lavoro e consolidata nel 2000 con la messa a regime di una "Autonomia" che si è realizzata come negazione dello spirito di partecipazione, tradizionale nella comunità educante, nonché come autogestione della miseria per scuole con sempre meno budget.

Per ultimo, gioverà ragionare sulla presenza di un nuovo attore: l'Assessorato della Regione. Ciò fa intendere che un'altra utopia negativa, in questo caso contenuta nella cosiddetta "devolution", s'invererà. Oltre all'occupazione della soglia dell'autonomia da parte delle regioni in ordine al programma delle singole istituzioni scolastiche, gli stessi docenti diverranno a tutti gli effetti dipendenti regionali, la qual cosa potrà anche determinare la fine del contratto collettivo nazionale di lavoro e determinare l'insorgenza di accordi differenziati regione per regione.

L'AVANZAMENTO DALLA PRIMA ALLA SECONDA FASCIA

Si tratta di una selezione per soli titoli sul contingente di posti autorizzati (art. 3) per ciascuna classe di abilitazione, curata dall'Amministrazione regionale. Si stileranno graduatorie, sempre nel singolo istituto, che terranno conto: "della valutazione sulle competenze professionali espressa dalla commissione permanente di valutazione della istituzione scolastica o formativa di titolarità; di apposita valutazione espressa dal dirigente della istituzione scolastica o formativa" (si veda ancora quanto conta quindi la valutazione discrezionale del dirigente con le sue note e certificazioni); "dei crediti formativi posseduti e dei titoli professionali certificati " (dal medesimo o da altri dirigenti). Alla selezione possono partecipare sia docenti interni che di altre scuole. Del resto questo della valutazione diviene anche un meccanismo che ha a che fare con la mobilità del personale, solo che gli insegnanti dovranno cercare dove trovare posto per tentare un avanzamento di "carriera".

Chi resta in prima fascia, una vera e propria serie C docente, non avrà neanche più la possibilità di accedere alle attività funzionali all'insegnamento o ad incarichi aggiuntivi per funzioni complesse, retribuiti con il fondo d'istituto.

L'AVANZAMENTO DALLA SECONDA ALLA TERZA FASCIA

Della selezione attuata per "formazione e concorso" si occuperanno "commissioni territoriali permanenti per ogni ordine e grado di scuola", ciascuna presieduta da un funzionario dell'Ufficio Regionale appartenente alla carriera ispettiva, insieme ad un dirigente ammnistrativo dell'Ufficio medesimo e da tre docenti "esperti" nominati discrezionalmente dallo stesso Ufficio che dovranno possedere almeno 3 anni di anzianità nella terza fascia. Dovrà venire valutato e "verificato il possesso dei requisiti culturali e professionali acquisiti dall'aspirante anche ai sensi dell'art. 5, comma 1, lettera g), della legge 28 marzo 2003, n.° 53" (art. 3), ovverossia della "riforma" Moratti. Ciò significa che avrà valore anche l'aver acquisita, recepita svolta e condivisa la funzione di tutor, così come prevista in ogni ordine e grado di scuola.

NORME COMUNI

Le procedure di valutazione, i tempi e l'espletamento delle funzioni delle commissioni per tutti i passaggi di fascia e le eventuali competenze amministrative ad esse delegate verranno definite discrezionalemnte dal Ministro pro-tempore.

LA VICEDIRIGENZA

Anche quest'istituto non è nuovo. Nuove invece sono le modalità di accesso al ruolo. Con un'astuta mossa si elimina la facoltà del Collegio dei Docenti di indicare tramite votazione una rosa di nomi all'interno dei quali il dirigente scolastico è al momento tenuto a scegliere il vicario (Decreti Delegati 416 e 417 del 1974). Con la nuova legge il ruolo di vicedirigente viene assunto tramite concorso. Questo fa si che il vincitore non sia più proveniente dall'istituto nel quale eserciterà le sue funzioni, provenendo da una graduatoria addirittura regionale. Ovvia quindi la mancanza di conoscenza delle problematiche specifiche e della realtà territoriale. Ovvio anche l'assurdo di un soggetto sconosciuto che dovrà invece avere la piena fiducia del dirigente scolastico, il quale gli delega persino la firma in caso di assenza, nonché la totalità delle sue funzioni, eccezion fatta per "atti di gestione di natura discrezionale e conclusivi di procedimenti amministrativi" (art. 4).

La qualifica di vicedirigente "implica sovradeterminazione gerarchica" nei confronti del resto del personale, cosa che nei decreti delegati era esclusa. In questo troviamo ulteriore contraddizione, visto che anche questo articolato conserva per i vicedirigenti lo stato giuridico dei docenti. Ciononostante, la Commissione giudicatrice del concorso relativo è formata da un ispettore e due dirigenti, senza la presenza di alcun docente.

Le figure di vicedirigente, dirigente ed ispettore sono le uniche per le quali sopravvive il concorso così come è stato conosciuto sino ad oggi, sebbene si sposti su base regionale e quindi le uniche per le quali si formeranno graduatorie di idonei dalle quali assorbire gradualmente il personale per l'assunzione anche successivamente alle prime nomine concorsuali. Il resto dei docenti (precari) non avrà tale possibilità, dovendo ripresentarsi in una sequela di concorsi per titoli fatti scuola per scuola qualora non conquisti un posto disponibile (non esisterà quindi più la figura di chi ha superato le prove concorsuali pur non avendo vinto immediatamente il posto).

DIRIGENTI ED ISPETTORI

Ispettori. Per ridurre la spesa ai sensi dell'ampliamento di questa qualifica si ridurranno "gradualmente i posti di dirigente amministrativo" (art. 5), la qual cosa desta preoccupazioni ulteriori, visto che il dirigente amministrativo (nuova qualifica, ora si tratta del direttore dei servizi generali ed amministrativi – ex segretario – al quale evidentemente si concede un ulteriore salto di "qualità") è presente necessariamente in ogni scuola e per ridurne i ranghi occorre accorpare istituti diversi e ridurre ulteriormente il numero delle scuole autonome, con la creazione di mostri ingestibili con migliaia di alunni. Gli ispettori saranno 1.500, cinquecento dei quali verranno assegnati agli uffici centrali del MIUR. Le funzioni ispettive sono praticamente le sole che verranno ancora regolate dal decreto legislativo 297 del 16.4.94 (testo sull'attuale stato giuridico di tutto il personale della scuola).

Dirigenti. La funzione viene regolata dagli artt. 25 e 29 del decreto legislativo 30.3.2001, n° 165.

Possono concorrere per questi due ruoli esclusivamente i docenti ordinari o esperti ed i vicedirigenti, mentre al momento il concorso è aperto a tutti i docenti con 5 anni d'anzianità di servizio dall'assunzione.

GLI "ORGANISMI TECNICI E RAPPRESENTATIVI" E LE LORO FUNZIONI

Durano in carica 3 anni. Sono articolati in un organismo nazionale ed in organismi regionali. Constano di "non più di 30 membri" (art. 6). Vengono formati per i due terzi tramite consultazione elettorale dei docenti iscritti all'albo e per un terzo da nomine discrezionali: "dalle associazioni professionali dei docenti iscritti al citato albo nazionale e dalle università e, per gli organismi regionali, dalle università aventi sede nella regione" (art. 6). Non si specifica secondo quale criterio le "associazioni" abbiano titolo a definire tali nomine e soprattutto quali associazioni, dando la stura ad un vero e proprio processo lobbystico senza regole democratiche predefinite con la totale discrezionalità del Ministro in merito alla definizione dei requisiti richiesti. Data questa buona porzione di nomine discrezionali, ci si chiede a ragione: in che modo e di cosa saranno "rappresentativi"?

Il compito assegnato a tali organismi sarebbe quello di "garantire l'autonomia professionale, la responsabilità e la partecipazione dei docenti alle decisioni sul sistema nazionale di istruzione e di formazione" (art. 6). Ma tali compiti, in un ambito squisitamente professionale come quello della docenza, la cui libertà è costituzionalmente tutelata, sono in tutti gli altri casi assunti dagli ordini professionali. Ma qui, volutamente, l'ordine non viene creato, surrogando le sue funzioni in parte con organismi come questi che per un terzo dei membri almeno risultano autoreferenziali ed in altra parte - soprattutto nell'ambito fondamentale della valutazione dei docenti – risultano compromessi da figure che nulla hanno a che vedere con la docenza (genitori ed alunni) o che vi si riferiscono dall'esterno (da altri ruoli: ispettori e dirigenti) solo in funzione gerarchica. Questa è vera e propria negazione dell'autonomia professionale e quindi della libertà d'insegnamento, con possibile sanzione di anticostituzionalità.

Le funzioni di tali organismi (art. 8) sono di provvedere alla tenuta dell'albo degli insegnanti, "stabilire i criteri per la formazione iniziale, per l'abilitazione e per il tirocinio nonché gli standard professionali dei docenti", oltre che "redigere e tenere aggiornato il codice deontologico ed intervenire nei casi di mancato rispetto del codice stesso" (art. 8). Tutte funzioni tradizionalmente delegate agli ordini professionali (persino, quindi, per ostetriche, radioestesisti e guide alpine), qui avocate ad organismi misti. In particolare il codice deontologico è strumento precipuo originato unicamente negli ordini professionali, così come la definizione di consigli di disciplina che qui invece vengono formati all'interno di codesti "organismi", tra l'altro definiti "tecnici" (uno per ogni ordine e grado di scuola).

Di detti organismi, quelli di livello regionale, provvedono alla tenuta degli albi regionali e formulano "pareri e proposte in materie di competenza dell'organismo tecnico nazionale per quanto riguarda l'ambito di rispettiva competenza" che si desume sia quello locale.

L'organismo nazionale formula "proposte e pareri obbligatori in merito alla determinazione degli obiettivi, dei criteri di valutazione e dei mezzi per il conseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione e di formazione, alle tecniche e alle procedure di reclutamento nonché alla relazione annuale sullo stato della funzione docente" (art. 8).

L'ASSOCIAZIONISMO PROFESSIONALE

E' l'insieme delle associazioni presenti anche nei comitati "tecnici rappresentativi". Tali associazioni hanno diritto di svolgere attività "anche all'interno delle istituzioni scolastiche e formative, che ne favoriscono la presenza e l'attività e ne tutelano la possibilità di comunicazione attraverso appositi spazi" (art. 7). Ma tali diritti, come quello di venire "consultate e valorizzate" anche a livello nazionale e regionale, è riservato alle "associazioni professionali accreditate ai sensi della normativa vigente". Ed a tale proposito basti ricordare che l'associazione di Don Ciotti, "Gruppo Abele", in precedenza accreditata, è stata esclusa dall'attuale dicastero dal novero delle associazioni accreditate medesime. Il problema delle lobby e della discrezionalità va quindi ancora segnalato.

LA CONTRATTAZIONE E L'AREA AUTONOMA DELLA DOCENZA

L'ELIMINAZIONE DELLE RSU DOCENTI DI ISTITUTO

In primis va segnalato che si eliminano con un colpo si spugna le Rappresentanze Sindacali Unitarie per quanto attiene alla funzione docente, mentre, con evidente disparità di trattamento, rimangono solo le RSU del personale Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario. La cosa è assai singolare, visto che i contratti nazionali del personale docente rimarrebbero per evidenti motivi, come ribadito anche nella legge, ovviamente anche con un livello decentrato, con evidenti implicazioni nella statuizione dei diritti e nella ripartizione dei fondi anche sul piano delle singole istituzioni scolastiche: "Incarichi aggiuntivi rispetto all'insegnamento per funzioni complesse da svolgere nell'ambito dell'istituzione scolastica … saranno retribuiti con specifiche retribuzioni, aggiuntive rispetto allo stipendio maturato, su cifre iscritte in apposito fondo di istituto" (lo stesso che riguarda gli ATA - art 3, ultimo comma). I docenti non avrebbero quindi più una tutela sindacale (che non può certo essere surrogata dalle cosiddette associazioni professionali, di fronte ad una controparte definita addirittura, in regime di privatizzazione del rapporto di lavoro, quale "datore di lavoro". Un dirigente che, si ricorda, con questo ddl diviene anche colui che assume ad inizio carriera, nonché l'arbitro fondamentale della valutazione dei docenti, cosa che ha una pesante ricaduta anche di tipo economico. Senza rappresentanze paritetiche nell'ambito della contrattazione di istituto (che per i docenti verrebbe invece abolita), non vi sarebbe alcun freno allo strapotere degli stessi dirigenti sia nella distribuzione del fondo di istituto (che potrebbe divenire discrezionale ed a senso unico verso "amici" del dirigente o verso lui medesimo), sia nella fruizione dei diritti da statuirsi a livello di singolo istituto (così come stabilito dai contratti nazionali: dalle regole per l'effettuazione degli scioperi, sino ai permessi per studio, alla legge 104, alla fruizione dei permessi e dei diritti personali, etc.). Avremmo l'assurdo di una categoria che viene spogliata delle tutele sindacali. L'assurdo di delegati sindacali che non vengono riconosciuti come tali perché non esisterebbe più neppure un tavolo di confronto sulla fruizione interna dai permessi sindacali, garantiti comunque, ben al di la di questa legge, dallo Statuto dei Lavoratori (L. 300/70).

Inoltre la legge sulla rappresentanza sindacale indica nelle elezioni RSU il tramite per stabilire la titolarità delle OOSS a partecipare alle trattative nazionali, a vedersi riconosciuti permessi e distacchi (anche questi in ordine ai voti presi) e quant'altro. E' quantomai evidente quindi che con l'eliminazione delle RSU docenti 800.000 insegnanti con contratto a tempo indeterminato più almeno 100.000 precari resterebbero di fatto privi di rappresentanza sindacale anche a livello nazionale e regionale, e non solo al livello dei singoli istituti. Questa è un'operazione assolutamente antidemocratica volta a mettere l'istituzione scuola a servizio degli appetiti politici dell'Esecutivo; volta quindi ad occupare uno degli assi portanti della società civile, laddove si costruisce con l'istruzione pubblica il futuro politico e sociale del Paese. Il Ministro pro-tempore, si sbarazza, di fatto, dei sindacati!

Al tempo stesso va detto senza remore che l'attuale sistema di consultazione e rappresentanza dei lavoratori della scuola, chiamati ad eleggere solo le RSU d'istituto e non anche i loro rappresentanti sindacali al livello delle trattative nazionali e regionali, è stato foriero di un appiattimento della rappresentanza sindacale, consegnata, nella scuola, monopolisticamente a CGIL, CISL, UIL e SNALS, che proprio tramite il monopolio dei diritti, persino in campagna elettorale (divieto di tenere assemblee in orario di servizio per tutti gli altri persino durante le elezioni RSU) e tramite il metodo di consultazione, hanno espropriato il diritto dei docenti e degli ATA di poter esprimere il proprio voto su tutte le liste, comprese quelle alternative. Infatti i lavoratori della scuola possono votare solo le liste costituite nel loro istituto, cosa che facilita lo strapotere dei sindacati tradizionali, spesso bocciati invece sul fronte del gradimento dei contratti e degli scioperi di categoria (ciò ha fra l'altro ridotto la sindacalizzazione al solo 35%). Il meccanismo elettorale è a dir poco vergognoso: quanti partiti resterebbero in politica se i cittadini potessero votare, anziché su liste nazionali, solo al livello dei municipi, e solo per quei partiti che avessero trovato candidati municipio per municipio (perché meno liste si presentano e meno volti si possono prendere)? Con in più il diritto di tenere comizi avocato solo ad alcuni e l'apparato (in campo sindacale nella scuola dato da 2.000 distacchi pagati dallo stato riconosciuti solo a CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda, mentre gli altri sono costretti a rimanere a scuola senza neanche permessi sindacali orari) sostenuto solo per alcuni? Per un'analisi approfondita di questa realtà, si veda la nota (1).

Il sindacato l'AltrascuolA Unicobas rilancia la lotta per cambiare le norme sulla rappresentanza sindacale, chiedendo con forza che si conservino le RSU di istituto, ma contestualmente si dispongano anche elezioni di livello nazionale e regionale, a tutti i livelli della trattativa prevista contrattualmente. E' perlomeno vergognoso che tale questione, di stretta pertinenza in campo liberaldemocratico, non venga posta all'ordine del giorno del programma di chi si candida a sostituire l'attuale Governo nella guida del Paese!

L'altra "rivoluzione copernicana" alla rovescia contenuta nel ddl sullo stato giuridico dei docenti è rappresentata dall'istituzione di un'area di contrattazione autonoma e separata per i docenti, espellendo dal CCNL del "comparto scuola" il personale non docente (art. 9).

Da tempo il sindacato "Gilda" chiede un contratto per i soli insegnanti, ma i docenti universitari non hanno avuto un "contratto separato", sono semplicemente rimasti nello status precedente il DLvo 29 / 93.

Infatti un "contratto separato" dentro il pubblico impiego non cambierebbe la misera collocazione attuale e quindi non modificherebbe nulla, dato che per tornare almeno alle caratteristiche contrattuali precedenti la privatizzazione, con garanzie di carattere pubblico, oggi occorre per forza (e paradossalmente) uscire dal pubblico impiego.

Ciò che servirebbe realmente è un contratto fuori dal Pubblico Impiego, non interno al medesimo calderone indistinto ove dominano altre funzioni. Ma si tratta di un contratto specifico per la scuola, per tutta la scuola. Nulla a che vedere con il contratto separato per i soli docenti, propugnato dalla Gilda ed al quale la Moratti ed il Governo oggi s'allineano.

Innanzitutto quando si dice "Moratti", basta la parola, e già i favori tributati dal ministro a tale ipotesi dovrebbero far suonare un campanello di allarme. La "nostra" ha subito capito che il contratto separato non sarebbe costato nulla né sotto il profilo economico, né sotto quello normativo e professionale (le retribuzioni resterebbero vincolate a quelle del pubblico impiego ed il codice deontologico continuerebbero a scriverlo .... i cardinali). L'onere economico è nullo e non ci sarebbe nessuna svolta nell'assetto normativo degli insegnanti.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, pur essendo prevalente nella scuola la funzione docente, essa non è l'unica e non si sono mai viste scuole aperte senza il contributo di amministrativi, tecnici ed ausiliari. E' innegabile che complessivamente esista una differenza fra il comparto scuola ed il resto del pubblico impiego e non solo per la specificità e la atipicità della funzione docente. Basti pensare alla differenza fra il ruolo dell'usciere di un ministero e quello dell'ausiliario di un istituto. Il primo è prevalentemente addetto a dare indicazioni sull'ubicazione degli uffici, il secondo ha anche oneri di vigilanza su minori.

Secondariamente, il contratto separato non servirebbe soprattutto ai docenti, che rimarrebbero in un comparto costruito per gli impiegati per opera di gabellatori che credono di poterli infinocchiare perché "separati in casa". Uno specchietto per le allodole, un istituto interno al pubblico impiego, con le (vergognose) compatibilità ad esso imposte: col "contratto separato" non sarebbero ad esempio possibili aumenti pensionabili e non legati al "merito" o al cottimismo (eccezion fatta per il cosiddetto "recupero sull'inflazione" che non è mai appropriato alle perdite in termini di potere d'acquisto). Ergo, non si potrebbe mai parlare di retribuzione europea, perché questa comporta invece una perequazione dello stipendio-base. E ciò non è poco in un Paese che retribuisce i docenti meno della metà della media retributiva della UE, collocando i propri docenti persino sotto greci, portoghesi, spagnoli e … coreani!

E che ce ne faremmo poi di un contratto "separato", ma sempre interno anche agli altri diktat del DL 29/93? Sarebbe ugualmente un contratto senza il ruolo docente, abolito dal CCNL del '95, con il quale si sono recepiti nella scuola gli imperativi della privatizzazione del rapporto di lavoro non imposti all'Università solo perché, fra i settori provenienti dal vecchio pubblico impiego, lasciata fuori normativamente dal nuovo p.i. privatizzato.

Lo stesso che ha introdotto la riconversione selvaggia, la cassa integrazione, la licenziabilità per esubero e il "dirigente"! Ed anche gli scatti d'anzianità sono stati eliminati per legge. Nel pubblico impiego non possono più esistere e gli stessi "gradoni" sono in via di sterilizzazione: basta ricordare che già dal CCNL parte economica 2001 la retribuzione docente è stata distribuita solo su 3 fasce d'età. Ma l'anzianità, nella scuola, è dovunque considerata utile alla qualità: persino nella Svizzera iper-liberista esistono incrementi annui d'anzianità per i docenti.

Al di là di analogie e differenze con l'Università, i contratti si definiscono per l'ambito nel quale sono collocati, ed un contratto "separato" per gli insegnanti, ma interno al pubblico impiego, sarebbe solo un infingimento rispetto al problema dello specifico della funzione docente, così condannata a negare se stessa proprio con il darle ad intendere di essersi ritrovata e con lo scopo evidente di farle dimenticare per sempre la sua natura, in realtà ingabbiata definitivamente in un ambito, il medesimo, da sempre costruito per affogarla.

Occorre un contratto ex novo, specifico per tutta la scuola, fuori dalla logica da "servizio" perché - va ricordato ancora - interprete del dettato costituzionale che definisce scuola ed Università quali istituzioni. Perciò l'Università non ha subito la privatizzazione del rapporto di lavoro e di conseguenza anche per la scuola si tratta di una rivendicazione elementare e di successo, pure come effetto della lotta per la costituzione di un ordine dei docenti. Ma il governo attuale aborre tutto ciò, coltivando costoro gli appetiti dell'impresa, nonché del mondo politico e clericale a danno dell'istruzione pubblica.

Ben altra cosa è l'ordine dei docenti, perché afferma una distinzione professionale, destinata per forza ad influenzare l'ambito contrattuale imponendo l'unica svolta determinante: il riconoscimento dell'esistenza dei professionisti della formazione. Ciò afferma di per sé l'incompatibilità con il ruolo impiegatizio sovrapposto alla funzione sociale della scuola, nonché l'analogia con l'università, per la creazione di un unico comparto votato integralmente – in ogni settore e competenza – alla causa dell'istruzione.

Da quest'orecchio paiono esser tutti sordi: comprese tante associazioni "professionali" molto più sensibili alle monadi della politica che agli interessi dei docenti. Esse inseguono le sirene del virtuale "contratto separato" ma non perseguono la strada dell'ordine. Una ridda di associazioni autoreferenziali mai sottoposte a verifica elettorale, ma riconosciute dalla nuova monarchia del ministero anche per occupare il nodo strategico dell'INVALSI (ex CEDE), deputato ancora come allora a "valutare" i docenti e ad imporre strategie partorite dalle teste d'uovo di lobby universitarie che vogliono segnare definitivamente il loro dominio sulla scuola (… da Vertecchi a Bertagna!).

Dominio cercato un tempo con i concorsoni a quiz, oggi con questo disegno di legge, ma anche con le altre forme di differenziazione previste dall'art. 22 del nuovo CCNL, che partoriranno ministero e sindacati firmatari e con una formazione differenziale dei docenti, bassa truppa da dividersi a fette con la scusa della "carriera", meri esecutori con stato giuridico impiegatizio messi a servizio su progetti calati dall'alto in funzione di arricchimenti prevalentemente esterni alla scuola militante.

IL REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE

L'autoritarismo implicito in questo disegno di legge è reso ancor più evidente, oltre che dal contenuto scandaloso, dalla totale autonomia lasciata al Ministro pro-tempore (vd. art. 10) per definire cose fondamentali non altrimenti normate come ad esempio quelle richiamate nell'art. 2, da definirsi appunto con "regolamento" emanato dal Ministro dell'Istruzione di concerto con quello della Funzione Pubblica. Basti pensare che fra tali argomenti viene annoverata "la definizione del rapporto tra funzione docente, compiti dell'organo collegiale dei docenti e dirigenza scolastica" (comma f, art. 2). In tal modo lo stesso ruolo del Collegio Docenti può venir subordinato ad esempio al dirigente, stravolgendo il senso dell'organismo stesso così come previsto dai DDLL 416 e 417 del '74.

Del resto in un altro ddl dell'attuale maggioranza si prevede lo stravolgimento degli attuali organi collegiali, con un Collegio Docenti diviso strutturalmente in dipartimenti di nomina dirigenziale e con un Consiglio di Circolo che vedrà il dirigente medesimo scalzare la componente dei genitori dalla presidenza, nonché la revisione del novero dei componenti dello stesso con i docenti ridotti in minoranza. Oltretutto la "Autonomia" prevede che il medesimo Consiglio debba adottare il Piano dell'Offerta Formativa. Con i docenti in minoranza l'ambito metodologico didattico, specifico del POF e della componente docente, verrebbe valutato da chi non ne ha le competenze. Infine si prevede anche l'introduzione del "garante dell'utenza" in funzione di valutazione dell'idoneità dei docenti rispetto al POF. E la cosa fa il paio con quanto stabilito nella "riforma" Moratti della scuola, laddove s'impone per gli allievi la "valutazione condivisa" con genitori e/o alunni medesimi. D'altronde vediamo che al Ministro si lascia libero il campo anche rispetto alla "determinazione delle modalità e degli strumenti organizzativi e procedurali per assicurare la trasparenza delle attività rese nell'esercizio della funzione docente ai cittadini, ai genitori ed agli studenti" (comma i, art. 2). In tal modo si sancisce la messa a servizio della funzione docente come funzione di "intrattenimento" meramente custodialistico, senza alcuna autonomia professionale e senza alcuna riservatezza. Per finire, si coglie l'occasione per la "regolamentazione delle incompatibilità della professione di docenti con lo svolgimento di altre specifiche funzioni, attività e professioni" (comma l, art. 2). Professionisti, negati nella loro professionalità, ai quali verrà impedito dal Ministro o chi per lui di essere tali ovunque! Altro che ruolo degli "organismi tecnici e rappresentativi" a garanzia dell'autonomia professionale!!!

IL RUOLO DEI SINDACATI CONFEDERALI, DELLO SNALS E DELLA GILDA

Lo SNALS è ormai schierato in modo palese a supporto del Governo Berlusconi, ma ciononostante mal sopporta questo testo di legge. CGIL, CISL e UIL dicono di non essere d'accordo con il Governo rispetto al ddl sul nuovo stato giuridico degli insegnanti. CISL e UIL paiono critici ma possibilisti rispetto alla "riforma" Moratti, la CGIL afferma un'apparente netta contrarietà. La Gilda incassa il "contratto separato".

Il motivo della contrarietà rispetto al ddl sullo stato giuridico è però semplicemente dettato dal fatto che toglie loro spazio in quanto sindacati (anche se lascia intravedere un possibile do ut des nello spazio lasciato aperto alle associazioni professionali loro dependances) ed è destinato a farli comunque arretrare dalle posizioni che avevano prepotentemente occupato in passato, dettando i quiz per il concorsone di Berlinguer e stilando i canoni per improbabili riconversioni "professionali", imponendo l'ottica anticostituzionale della scuola come servizio (anziché come istituzione) e dello studente-cliente, "splafonando" sul campo di prove e commissioni di concorso e della segmentazione del personale insegnante in funzioni di tipo cottimista ed opportunistico, imponendo la figura del dirigente in luogo di quella del preside a danno del tradizionale spirito di cooperazione e partecipazione paritetica della comunità educante, imponendo la privatizzazione del rapporto di lavoro e l'aggiornamento coatto, ed altro ancora.

Questi sindacati hanno oggettivamente debordato su spazi che non gli competevano e non gli competono: quelli relativi alla definizione dello specifico della funzione docente, alla (impropria) s/valutazione della stessa, dopo essersi resi responsabili della omologazione retributiva dei docenti al livello più basso in Europa ed addirittura sotto il livello dello stesso pubblico impiego italiano (un laureato all'iniziale nel pubblico impiego è ad un livello superiore di quello del docente).

Questi sindacati sono stati i più fieri oppositori del riconoscimento di ogni ruolo professionale acquisito per il corpo docente italiano. Ma proprio per questo, anche se non lo ammetteranno mai apertamente, trovano punti di oggettiva identità di vedute con il disegno di legge in questione. Anzi, la strada di una carriera stile travet, con la divisione, innanzitutto stipendiale, in fasce, degli insegnanti, sono stati proprio loro a calcarla ed aprirla per primi. Né vi hanno rinunciato oggi. Unicamente vogliono essere loro a definirla per contratto.

Per tale motivo, ancora con l'ultimo CCNL, hanno sottoscritto l'impegno a definire differenziazioni stipendiali di "merito" fra gli insegnanti, lasciando aperta la coda contrattuale dell'art. 22, su cui hanno continuato il confronto con l'ARAN e la Moratti sino a definire il 24 Maggio 2004 una bozza volta in tale direzione. Cito: "definizione di nuove opzioni ed opportunità di sviluppo professionale per i docenti volte a valorizzarne impegno e specificità"; "l'individuazione di uno sviluppo di carriera dei docenti, con l'introduzione di una dinamica retributiva e professionale…non legata al solo indicatore dell'anzianità di servizio, richiede quindi che si considerino tutti quegli aspetti che caratterizzano la storia professionale di un docente: l'esperienza, il sistema dei crediti, la valutazione come supporto all'attività didattica e verifica degli esiti e la previsione di una fase transitoria".

Più nello specifico (continuo a citare): "Dopo una certa anzianità di servizio la carriera può trovare un'accelerazione subordinata all'acquisizione di crediti formativi e/o professionali che certificano il possesso di competenze afferenti alla funzione docente… il riconoscimento dei crediti formativi, in vista dell'articolazione e dello sviluppo di carriera dei docenti, potrebbe comportare un ripensamento del modello di formazione in servizio funzionale ad una professionalità attenta all'innovazione ed alla piena attuazione della scuola dell'autonomia favorendo, nel contempo, la personalizzazione ed il continuo aggiornamento di conoscenze e competenze. Ciò consentirebbe, infatti, il loro riconoscimento sulla base di un sistema di attribuzione di punteggi differenti per ciascuna tipologia di credito ai quali correlare corrispondenti parametri di miglioramento economico… I crediti formativi potrebbero essere utilizzati dai docenti non solo ai fini della costruzione della carriera ma anche per il conferimento di incarichi professionali nella scuola dell'autonomia…. La qualità dei percorsi formativi riservati ai docenti va garantita anche attraverso opportune forme di verifica e di validazione contestualizzata… Il sistema certificativo dei titoli professionali, in particolare, e segnatamente l'attestazione di quanto il docente ha realizzato nel proprio curriculum formativo, ivi comprese le attività di supporto, dovrebbe essere affidato all'istituzione scolastica."

E qui si legge chiaramente un input verso la certificazione dei "crediti" da parte dei dirigenti, così come un'analogia con la logica del portfolio del docente, ambedue contenute nel ddl governativo. Il supporto degli Uffici Scolastici Regionali è evidente nel periodo successivo: "L'esigenza di trasparenza, oggettività e uniformità di valutazione si potrebbe soddisfare anche attraverso una validazione effettuata a livello territoriale."

Secondo CGIL, CISL, UIL e SNALS, in quanto alla vexata quaestio: "…la valutazione può essere suddivisa in due parti, l'una di carattere prevalentemente individuale/soggettivo, relativa cioè al contributo che un docente fornisce all'istituzione scolastica in cui opera, l'altra prevalentemente oggettiva e che riguarda, appunto, l'efficacia dell'azione formativa dell'istituzione scolastica nel suo complesso cui ogni singolo docente contribuisce".

Fuor di "sindacalese", s'intende che un docente dovrebbe venir valutato sia per come insegna, sia per i risultati dell'istituto, sul tipo inglese, magari con esami per passaggi di qualifica stile concorsone e quindi con una quota di stipendio legata alla media di promozioni nell'istituto. Ancor più anglosassone è il richiamo successivo: "E' necessario che questo avvenga in termini trasparenti, imparziali e condivisi. A ciò può contribuire la valutazione della qualità e dell'efficacia dell'intera istituzione scolastica in relazione alla definizione di standard nazionali." Inutile ripetere ancora quanto già detto in premessa rispetto agli standard formativi ed all'azione perversa che hanno avuto negli Stati Uniti ed in Canada, con l'omologazione in basso delle competenze degli studenti. In realtà è anche assai scorretto valutare "oggettivamente" un docente sulla base di quanto producono gli studenti di tutta la sua scuola, una scuola che peraltro può essere collocata in una condizione socio-abitativa precaria o, viceversa, di eccellenza. Va ricordato inoltre, a proposito di analogie, che il testo "sindacale" risente fortemente delle logiche del vecchio CEDE (autore, insieme al CIDI, dei quiz del concorsone), oggi divenuto INVALSI. Sugli incroci fra il ddl qui analizzato e l'INVALSI in ordine alla valutazione dei docenti si legga l'intervento riportato alla nota (2).

Pare davvero assurdo che nessuno si occupi invece più della valutazione dei discenti (idem, vd. nota 2), resa nei fatti sempre più precaria, prima di tutto da sistemi di permissivismo sciocco, poi da impropri pietismi "pedagogici" e sociologismi di maniera, infine dalla svalutazione che una "pedagogia sociale" sempre più corrotta impone alla cultura sia per il tramite del mito del "successo uguale consumo" che a causa dell'impoverimento effettivo dell'insegnante in quanto tale. E' quindi oggi un "cattivo maestro" chi si affida e si sacrifica alla cultura, in primo luogo perché viene retribuito poco e male. Non indica solidità sociale.

Nel testo sono rilevabili naturalmente palesi contraddizioni. In questo passo, l'anzianità che si nega altrove come veicolo di professionalità, viene ribadita come valore: "Molti anni di lavoro d'aula comportano l'acquisizione di elevata professionalità spendibile anche all'esterno della scuola." Ma il "succo" è sempre lo stesso. Anzi, la contraddizione è sfruttata per indicare un piano concettuale opposto: il lavoro docente è "secondario". Ciò che deve venire premiato è invece il fare altro, fuori dall'aula. Come per le "figure di sistema", più volte invocate in passato nei vari contratti, occorre trovare il modo per fare di tutto tranne l'unica cosa che vale la pena di fare in una scuola. Invece di insegnare, "progettare", tutorare o andare a valutare come insegnano gli altri, la "bassa truppa". Ecco quindi l'apice della "carriera": "Attività di coordinamento (di dipartimento, di progetti di scuola, di rete o di territorio); incarichi speciali (formazione di pari, tutorato verso altri insegnanti, orientamento, rapporti scuola-famiglia, laboratori, biblioteca); elaborazione di nuovi modelli di metodologie per l'orientamento, la ricerca, la consulenza, la progettazione e la promozione di interventi formativi innovativi. Non è infine da escludere che aspetti diversamente funzionali all'insegnamento con aree di esperienza specifiche possano dare luogo a figure di sistema a tempo pieno anche connesse al funzionamento di reti di scuole, ad attività specialistiche, di supporto e di alta definizione." Cosa sono le figure di sistema a tempo pieno? Ma naturalmente, appunto, docenti senza docenza, cioè senza classe e che non insegnano!

I CONFEDERALI E LO SNALS ED IL TRADIMENTO SUL TUTOR

Il punto più basso di credibilità lo toccano in questi giorni questi sindacati con la contrattazione sulle mance aggiuntive (al monento si parla di circa 9 euro netti pro-capite) da darsi al tutor, figura cardine della controriforma Moratti.

E' pressoché unanime il ritenere del tutto vergognoso che nel terzo millennio si giunga a negare la pluralità dei docenti con il sostanziale ritorno al maestro unico (abbandonato ovunque tranne che nel Terzo Mondo ... e non certo per motivazioni didattiche). Che cos'è infatti questo insegnante prevalente, il cosiddetto "tutor", se non un artificio contrabbandato da un inglesismo - il tutore/precettore esisteva al tempo dei romani, ma per chi veniva seguito singolarmente - per introdurre una gerarchizzazione fra docenti e coprire la riduzione di decine di migliaia di cattedre? La gerarchia è imposta affidando alla nuova figura la possibilità di convocare riunioni a proprio piacimento ben oltre le due ore canoniche di programmazione settimanale, non meno che con la marginalizzazione totale del resto di quello che si chiamava team. Infatti se alle elementari si affidano ad un solo docente dalle 18 alle 21 ore di un tempo scuola ridotto - peraltro in tutti gli ordini e gradi - a 27 h. settimanali curricolari, quanto spazio resta agli altri insegnanti (uno nel tempo pieno e due/tre nei moduli)? E' inevitabile che tutto ciò porti ovviamente ad un taglio di cattedre senza precedenti.

Ma proprio mentre il mondo della scuola si agita a ragione contro la "riforma" Moratti nel suo complesso (che, come si sa, ha molti altri svantaggi), CGIL, CISL, UIL e SNALS contrattano sul tutor medesimo, accettando di fatto al tavolo negoziale l'introduzione di questa figura, che non è altro che l'ennesima "figura di sistema" inventata in questi anni.

UNA SCUOLA DEMOCRATICA E DI RICERCA, POLIFUNZIONALE E MULTICULTURALE

E' necessario che la scuola garantisca processi formativi anche diversificati, in modo che ogni alunno sviluppi completamente le proprie capacità ed i propri interessi. Una maggiore individualizzazione della didattica è scelta in contrasto con l'aumento del numero di alunni per classe e con la creazione di una fittizia soprannumerarietà dei docenti. Occorre combattere la subordinazione dei sistemi scolastici alle esigenze del mercato, cosa che ha provocato in altri paesi il degrado dei processi formativi a detrimento della capacità di padroneggiare criticamente le dinamiche del lavoro. Il nostro progetto richiede necessariamente una reale autonomia didattica, amministrativa e finanziaria delle scuole (di segno opposto rispetto alle norme attuali), che recida realmente i vincoli di una struttura accentratrice e burocratica.

Decentramento di poteri e risorse per l'autogoverno di tutti i soggetti. Si rivendicano trasparenti ed ampi poteri di programmazione e di gestione, potenziando gli Organi Collegiali, a partire dal Collegio dei Docenti. Inoltre specifici organismi rappresentativi e dotati di poteri decisionali andrebbero istituti, oltre che per gli ATA, per studenti e genitori, riformando le attribuzioni e le discrezionalità oggi esistenti nei livelli direttivi dell'amministrazione. Ma tutto ciò assolutamente nel pieno rispetto dei ruoli. Consigli Scolastici Provinciali, Regionali e Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione con poteri decisionali e non più solo consultivi.

Mantenere questi organismi che vorrebbero abrogare di fatto con un'altra parte della "riforma", relativa agli organi collegiali, tutta costruita per l'eliminazione di chi è realmente autonomo e non allineato. Infatti vogliono che i lavoratori della scuola, docenti ed ATA, non possano più eleggere direttamente i membri dei nuovi consigli provinciali o regionali (elezioni che peraltro non valgono ai fini della rappresentanza sindacale), nominati in futuro dai consigli distrettuali, così che se non raggiungeremo in quella sede il 50 % più 1 dei voti ci falceranno "consociativamente" non indicando nessuno dei nostri candidati. Infatti, dovessimo anche raggiungere il 49 % su base provinciale o regionale, resteremmo senza rappresentanti, se non ottenessimo almeno il 51 % nei distretti, gli unici organi ancora eletti dalla "base". Magari nella sanità esistessero gli organi collegiali e l'attenzione che - con tutti i limiti di una categoria mandata allo sbaraglio e spesso afflitta semmai da complessi di colpa indotti da logiche vetero operaiste (vedi le accuse di "corporativismo" rivolte dai Cobas contro l'ordine) - nella scuola è riservata agli alunni!

Ma non serve la demagogia.

La difesa della scuola di massa è nulla di contenuti se non v'è difesa della qualità, e questa passa anche per una valorizzazione non solo economica di chi vi opera, che deve essere salvaguardato sia dalla ragione della merce ("autonomia" come aziendalizzazione), che dalla ragion di stato (la questione sui programmi di storia è emblematica). L'autonomia della funzione docente è l'unica garanzia contro l'autonomia del mercato o l'autonomia del politico, l'unica garanzia di pluralismo, l'unica garanzia per la società civile e per la sfera pubblica, libera dai poteri forti e dalle gerarchie d'apparato o di palazzo.

Il mondo della scuola è stretto fra l'incudine ed il martello. La nuova dignità docente è avversata storicamente da due nemici. Da una parte il sindacato concertativo, che ha appiattito in basso le retribuzioni dei "quadri intermedi per lanciare in alto i dirigenti (…altro che "solidarietà sociale") e che ha punito principalmente i docenti, "ceto" sociale considerato improduttivo. Dall'altra il mondo dell'imprenditoria, interessato a gestire in prima persona la formazione senza riguardo alcuno per l'istruzione, che vorrebbe trasformare gli insegnanti in cultori e trasmettitori di mere competenze esecutive da imporre agli studenti per formare sudditi plasmabili in funzione di un vero e proprio mercato della parcellizzazione e del non lavoro, ove lo smantellamento delle garanzie mal si concilia con attitudini e sapere critico. Il loro "programma minimo" è: si formino "menti d'opera emancipate dal sapere critico" (come ha chiesto Confindustria nel '95). Di contro, siccome gli insegnanti non assemblano bulloni, per l'impresa non creano ricchezza e quindi vanno remunerati poco (anche perché così sono più ricattabili ed asservibili). Ma, esattamente come se assemblassero bulloni, andrebbero valutati su basi quantitative (così li si costringerebbe definitivamente a promuovere tutti e ad astenersi dal creare le premesse per una coscienza popolare capace di qualche turbativa). Ma la cosa significativa è che "populisti" ed operaisti applaudono: i satrapi dell'insegnamento, i "bacchettoni", sono finalmente ridotti in catene. Essi non possono più "bocciare": la selezione "di classe" è finita! Poco importa se sarà proprio la classe ad avere meno strumenti per difendersi (infatti Gramsci diceva: "Studiate, perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza…La scuola è una cosa seria")!

Questi due mondi hanno trovato il punto d'incontro nel funzionalismo pedagogico, esercizio di certa accademia superficiale, pseudo-ideologica o direttamente venduta al mondo dell'industria, adusa alle mediazioni atte alla conservazione di un potere qualsivoglia e comunque orientato che la faccia "galleggiare". L'idea "funzionalista" - utile ad un'imprenditoria che oltretutto vive alla giornata e che pensa solo all'interesse immediato di avere a disposizione forza lavoro duttile e servizievole, ricattabile perché mai autonoma, incerta e digiuna - è stata sposata anche dagli epigoni di un cretinismo ideologico cosiddetto di sinistra, da forze intellettuali in realtà totalmente revisioniste. La sintesi l'abbiamo vista nei nuovi curricoli che essi volevano imporre con il "disordino dei cicli". Una tesi assurda: il trionfo delle competenze da far maturare tramite l'abbattimento dei saperi!

Il tutto suffragato dalla creazione di luoghi comuni e approssimati che vengono da lontano, dall'incapacità di capire l'importanza del dato della "proprietà" del sapere, fra le dinamiche del potere a torto considerata "sovrastrutturale". Uno di questi pretende che proporre il latino al "ragazzo del Bronx" derivi da un desiderio sadico … e così per tutte le basi del sapere critico, dai classici, sino alla storia. Ecco che viene a sparire anche la storia del "ragazzo del Bronx", la sua storia come soggetto sociale, che non potrà certo recuperare svolgendo un tema sulla propria famiglia.. Come "contropartita" gli è concessa la garanzia del diploma. Ma al tempo stesso gli si fa sapere che con quel diploma non ci farà nulla, che dovrà essere flessibile (spersonalizzato appunto), che dovrà cambiare mansioni almeno 20 volte nella vita, perché questa sarebbe la "modernità".

La scuola si è trovata schiacciata fra vizi e pregiudizi: questo mondo ha attribuito al docente ogni responsabilità, senza riconoscergli alcun merito. Quindi le prospettive sono tutte predeterminate in senso punitivo. Gli insegnanti si sono trovati senza alcuna sponda. Il sindacalismo confederale concertativo vede nei docenti sorta di "lavoratori atipici a part-time" da piegare a standard impiegatizio-industriali, quello "autonomo" punta sulle clientele dei dirigenti, la Confindustria ci considera "improduttivi" e mira ad assoggettarci ed a ridurre la nostra indipendenza, il mondo della politica segue i canoni di quello dei padroni dell'economia e del "sindacato". Come la CGIL, i COBAS non possono intendere lo specifico della funzione docente. Da questo le accuse di "corporativismo" persino contro la vertenza per l'uscita dal pubblico impiego. Non li sfiora neanche il dubbio che la salvaguardia ed il rispetto della Costituzione non possono valere a senso unico: sia che si lotti per garantirne l'applicazione in ordine all'art. 33 contro il finanziamento dei diplomifici privati, sia che si lotti perché la scuola venga trattata da istituzione come disposto.

Distorti parametri ideologici sono solo dannosi al fine di una rivalutazione del ruolo e della funzione docente, che non può venir misurata col "bilancino" dell'omologazione tout court ad altre categorie di lavoratori: in una società complessa dove contano solo le funzioni non è certo equo un appiattimento che non riconosca la responsabilità e l'impegno particolare dei docenti. E ciò avviene mentre i fondi distratti dalla scuola vanno a vantaggio di categorie protette e delle consorterie del potere e della merce. Per questo, rimettere le cose in ordine è anzi un'operazione rivoluzionaria, perché sulla scuola si gioca una partita di grande centralità sociale. Insomma, si tratta di ristabilire equilibri incrinati da decenni, non certo di battaglie "corporative". A partire anche da un altro dato: oggi ristabilire l'equità (che non è l'omologazione) significa mettere seriamente in crisi la politica delle "compatibilità" imposte dal nuovo assetto del dominio. Viceversa, agire e pensare per slogan, contribuisce solo alla coltivazione di ghetti ideologici, incapaci di spostare di un millimetro la situazione. Una situazione di diseguaglianza che non muterà certo con l'inutile sforzo aleatorio di rendere uguali i diversi, ma intanto retribuendo oggi in base ad impegni e responsabilità, rivalutando tutte le funzioni al livello che meritano, per impedire che i sacrifici dei tanti vadano a vantaggio dei pochi (protetti) con la scusa dell'omologazione (che oltre a non essere equità non è neanche eguaglianza). Solo di fronte ad eguali responsabilità, eguale impegno, eguale considerazione, siamo disposti all'eguaglianza.

Per ora ci accontentiamo dell'equità, ma coltiviamo la lotta per l'eguaglianza, per una società dove eguali siano i livelli di partenza, eguale la partecipazione, dove non vi siano limiti allo sviluppo di ognuno. Abbattute le sacche del privilegio e dove l'esempio del "saprofita" non sia quello caro a Lama negli anni '70 nelle orazioni ai metalmeccanici (prima di massacrare anche loro con la "svolta" dell'EUR). Lama, segretario generale CGIL, additava gli insegnanti al pubblico ludibrio, in uno sforzo doppiamente vergognoso: farne l'icona del pubblico impiego e scavare un solco profondo fra i lavoratori pubblici e quelli del privato. Una società dove, a cominciare dalla scuola, l'esempio del "saprofita" sia una volta tanto indicato nei responsabili di una politica di distruzione dei beni pubblici, mascherata e coperta dai paraocchi ideologici o dall'opportunismo in una certa "sinistra", quanto "tradizionale" nella destra: quella del neoliberismo consociativo, che ci sta portando sulla china dell'Argentina!

Una volta divenuta di massa, la scuola è stata sottoposta ad un fuoco di fila per dequalificarne i contenuti. In generale si assiste ad una depauperazione dei saperi forti. Le future generazioni non dovranno più abituarsi a pensare: dovranno invece saper eseguire. Non dovranno più avere un curricolo completo e padroneggiare gli strumenti complessi della comunicazione atti a decodificare il mondo. Nell'insistenza apparente sull'attenzione verso i nuovi linguaggi del "villaggio globale", si cela invece una grande operazione demagogica atta a ridurre la vera "alfabetizzazione" di base. La "circolazione interna" delle idee, la relazione dialettica e la sistematicità fra cause ed eventi, vengono espunte dalla "nuova scuola". Ne prendono il posto "l'episodicità", l'estemporaneità, la "casualità" e non la nozione di causa, l'indulgenza su di un "egoismo povero" segnato dall'attenzione quasi acritica alle mode ed agli strumenti caduchi della comunicazione unidirezionale ed eterodiretta dei media, in una sarabanda in continuo movimento ove l'unico dato effettuale sull'aspetto formativo finale, l'unico obiettivo, sembra essere un totale sentimento di confusione e di incertezza, per assenza di strumenti non risolvibile per l'individuo che tendesse ad uscire dal "coro" e dal "branco" di una supposta "modernità" globale sempre più priva di senso.

La "moda pedagogica" del momento punta in particolare sull'effettualità immediata, sul dato soggettivo, acquisito senza spirito critico e senza analisi temporale e di causa: la storia diviene prevalentemente vissuto individuale e soggettivo, come se tutto il ciclo formativo potesse esaurirsi in certi stilemi puerocentrici del primissimo ciclo della scuola di base.

Ed è proprio dall'attenzione che una società pone sullo studio e sui nessi della storia che se ne misura la maturità.

Gli Stati Uniti sono il Paese dove meno si studia la storia: nei programmi scolastici si fa menzione quasi unicamente della storia dell'Unione e tale indirizzo lo si riscontra poi persino nello studio delle altre materie. Nell'architettura, ad esempio, non si avverte, neppure in sede universitaria, la presenza di una storia dell'arte del costruire: l'edilizia americana è infatti prevalentemente una sorta di edilizia "usa e getta", con tutti i limiti provenienti da tale concezione (gli edifici seguono un criterio funzionalistico, ma non sono fatti per durare!). Lo stesso studio della geografia risente di tale sorta di antropocentrismo nazionalistico. I risultati sono da tempo noti: un giovane americano che si approssima all'Università, colloca mediamente, nei test d'ingresso, la Turchia ai confini con il Canada (se si parla di un Paese, deve essere vicino all'unica area geografiche che conta).

Gli USA sono un paese con ben poco "background"! E' quantomai risibile che l'Unione Europea, e segnatamente l'Italia, seguano il modello di istruzione americano. Eppure è questo l'indirizzo prevalente e la prima a farne le spese è stata la storia, tanto che molti intellettuali italiani sottoscrissero un (inascoltato) appello già ai tempi del ministro De Mauro perché questi rivedesse i "nuovi curricoli", tutti improntati ad episodicità e frammentarietà. Ciò sottolinea, ancora una volta, la continuità imposta da una sorta di pensiero unico trasversale costruito contro la scuola che oggi si esprime con senso compiuto nella controriforma Moratti con i nuovi programmi di storia. Che dire poi dei "saperi minimi"?

Qui ed ora, occorre delineare lo specifico di una funzione che, anche tramite programmi, progetti ed indirizzi è stata messa "a servizio". Per questo scopo, a dispetto dell'enorme portata sociale, è stata piegata ad un trattamento ed a metri di giudizio meramente impiegatizi.

Il lavoro dei docenti, sul quale, nonostante tutto, si regge la scuola italiana, non è facilmente "valutabile". Standard formativi e congetture simili altrove sono stati abbandonati da più di 15 anni. Un docente non assembla prodotti né è burocrate-aggiunto. Per questo non può venire giudicato secondo criteri quantitativi o metri "produttivistici".

Occorre una scuola ove l'insegnante non sia più considerato mero trasmettitore di nozioni, ma creatore e costruttore di progetti educativi, agente ed attore della ricerca culturale.

Si viene invece abbassando il livello della scuola pubblica affinché questa diventi un surrogato di massa, e perciò di second'ordine, delle scuole private (nuovo assurdo modello: istituti che chiedono fondi per non morire, con percentuali di iscrizioni oltretutto risibili rispetto al resto d'Europa), assistenziali e permissive solo con l'elite. Vogliono sottrarre al pubblico il piano di eccellenza che vanta nei confronti del sistema di mercificazione della cultura, ove invece le punte avanzate sono riservate a pochi ed al prezzo dell'accettazione di stili educativi di tendenza, fortemente segnati ideologicamente. In analogia si vorrebbe che le scuole pubbliche si facessero pure "concorrenza" fra loro, per sedimentare istituti di prima, seconda e terza classe.

E' sempre l'aberrazione della scuola come servizio, introdotta dall'omonima carta a dispregio della Costituzione (che definisce invece Scuola ed Università quali istituzioni). Nel vergognoso trand di riduzione della spesa, vengono colpiti gli alunni così come gli insegnanti: ma mentre si consente l'aumento dei costi di mense, libri e trasporti, si crea come diversivo la contrapposizione fra docenti e discenti.

In un'istituzione non esistono "operatori ed utenti". Si tratta di un corpo vivo di cittadini, regolati nel nostro caso da due sole grandi norme: libertà d'insegnamento e d'apprendimento. Due capisaldi che la controparte, politica e confindustriale, intende annullare per imporre regole a senso unico ove dominano incontrastati arroganza e profitto, deprofessionalizzazione e negazione di ogni valore della cultura non inteso in senso utilitaristico: flessibilità e precarietà intesi come dato "strutturale", l'instabilità lavorativa a vita come elemento di "progresso". Ecco perché fa paura il sapere critico. La scuola è sempre stata uno dei motori principali di progresso nella società civile, perciò la si vuole subordinare ed omologare. E tutte le offese portate ad un settore che è stato all'avanguardia (i nostri diplomati erano i migliori d'Europa prima che si procedesse a controriforme striscianti operate a colpo di circolari come la famosa "Brocca") e che per molti versi rimane ad alti livelli (vd l'esempio della scuola elementare), servono da corollario a questa improvvida strategia, che peraltro sta portando l'Italia a perdere costantemente competitività col resto del mondo. Non ne è responsabile "l'inadeguatezza" della scuola, al contrario ne è la sua continua depauperizzazione, lo sono lo stato e gli interessi privati, in un Paese che in Europa spende meno di qualunque altro per istruzione e ricerca. L'Unicobas rivendica l'aumento organico degli stanziamenti per la scuola rispetto al PIL (e analogo discorso va fatto per università e ricerca).

Siamo fortemente convinti che l'istruzione pubblica sia preziosa nel garantire un pensiero forte e plurale, anche su base multietnica, l'unica istituzione in grado, in un momento di grande crisi ideale e riemersione di fondamentalismi religiosi e laici, di assumere i principi di un'educazione volta alla solidarietà ed alla tolleranza. Il mondo della scuola pubblica, pluralistico per definizione, sia nella qualificata componente laica, che nella forte ed attenta presenza cattolica (Don Milani docet!), è in grande maggioranza consapevole del fatto che sul valore dell'istruzione non si può trattare: la cultura non è merce!

A fronte di tutto ciò è quanto mai necessario che la categoria prenda coscienza, afferri e corregga il proprio futuro. Non sarebbe utile sfuggire al confronto sulla questione della "qualità".

Premesso che è prioritario l'ottenimento di un salario europeo, occorre sviluppare una grande riflessione sul codice deontologico della funzione docente, rivendicando con i fatti quella dignità di professionisti che ci hanno sinora negato.

CREARE L'ORDINE PROFESSIONALE DEIDOCENTI

La natura della funzione docente ha chiaramente carattere professionale. Eppure la nostra è l'unica categoria che non ha strumenti di tutela, l'unica a cui è negato l'autogoverno, l'unica categoria di professionisti a non avere un ordine professionale. Ciò produce evidenti distorsioni. S'è mai sentito di un ministro di Giustizia che abbia pensato di far valutare gli avvocati dai magistrati (o viceversa)? Eppure, per i docenti, si pensa spesso a valutazioni dei presidi-dirigenti! S'è mai visto un ministro della Sanità proporre valutazioni a quiz per i medici? Per quanto ci riguarda, ricordiamoci di Berlinguer! S'è mai sentito di un ministro degli Interni (che soprassiede all'ordinamento del mondo dell'informazione) che abbia dato incarico ad una commissione di sua nomina di scrivere il codice deontologico dei giornalisti? No, perché sarebbe paradossale in uno stato di diritto: equivarrebbe alla fine della libertà di stampa. Eppure la Moratti ha formato una commissione perché rediga il codice deontologico degli insegnanti (e nessuna interrogazione parlamentare si è ancora opposta, facendo rilevare che così si metterebbe fine alla libertà di insegnamento)! Ed a parte il fatto che a presiederla ha posto l'esimio cardinal Don Ersilio Tonini e che … con tutto il rispetto, non abbiamo mai trovato docenti intenti a formulare il codice deontologico di vescovi o uomini di Chiesa, il problema che si pone è di principio. Risulta giusto che si parli di codice deontologico, anzi, in tal modo si riconosce di aver a che fare con professionisti (gli unici ad avere ordinamenti di tal genere) … ma la questione è che i codici deontologici delle professioni li scrivono gli ordini professionali!!!

L'Unicobas vuole un ordine professionale per i docenti ed un contratto specifico per la scuola fuori dal pubblico impiego. A questa proposta si oppongono quanti hanno preso "sotto tutela" la scuola, occupando spazi che non spettano loro, quanti hanno interesse a strumentalizzare la scuola per fini di parte. I sindacati tradizionali, che hanno debordato persino su formazione iniziale ed in itinere (ricordiamoci il contratto del '95, "a punti" legati all'aggiornamento). I Cobas, che negano sia l'ordine che il contratto specifico, e che puntano ad operazioni politiche mimetiche, malcelando lo stesso sanfedismo vetero-operaista dei loro "cugini" della CGIL: un'impostazione che nulla ha a che vedere con lo specifico di un comparto dove non esiste la figura classica del "produttore". Gli uni e gli altri ci vedono come "operai atipici" e per questo scivolano sui soliti archetipi del sindacalismo del mondo dell'impresa o del pubblico impiego. Ma gli insegnanti non producono bulloni, né assemblano o attendono a pratiche d'ufficio! Per questo, i primi non sanno proporci altro che l'altalena fra cottimo e merito, senza considerare che nella nostra professione la qualità è fatalmente inversamente proporzionale alla quantità, che più alunni e più ore di insegnamento equivalgono a minor impegno, minor concentrazione, minor resa in un lavoro estremamente concentrato, che impegna dal primo all'ultimo minuto di cattedra e che non è esteso, dilazionale nel tempo o altrimenti governabile che nel "qui ed ora"! Mentre sul "merito", pensano ad impegni d'altro tipo oltre la funzione. Tutto tranne che rispettarci come professionisti. Per questo, i secondi, non sanno capacitarsi dell'universo delle differenze e delle diverse responsabilità, parificando i lavoratori ad un unicum che non rende né giustizia, né equità. Un'omologazione imposta proprio da coloro i quali hanno, con tale scusa, schiacciato in basso le retribuzioni e la considerazione sociale dei "quadri" intermedi, facendoci scendere ad un livello retributivo sconosciuto nel mondo avanzato! Ai Cobas manca la comprensione del fatto che tutto ciò ha grandemente favorito la ristrutturazione selvaggia e la distruzione dello stato sociale, realizzata nel segno della guerra contro i saprofiti del "pubblico impiego" e segnatamente contro i docenti, troppe volte presi ad esempio come coloro i quali "lavorano poco e producono nulla". E neanche troppo "paradossalmente", s'è preso a prestito proprio dal mondo del comando capitalista, dalle leggi del mercato, il "toccasana" della privatizzazione, che ha significato l'operaizzazione impropria di intere categorie, la subordinazione del bene comune alla logica del profitto con la scusa della "maggior qualità" per tutti. Significativo il fatto che da tale attacco forsennato sono stati tenuti al riparo i quadri dirigenti, categoria che ha prolificato abbondantemente, proprio con la scusa della "responsabilità", dietro l'ombra della quale s'annida il dominio in senso lato ("ovunque deve esserci chi comanda"), nonché il dominio sul pubblico, la sua contaminazione con gli appetiti dell'impresa, la fine degli investimenti per maggiore sicurezza, sviluppo e benessere della società civile. Infatti, coloro i quali venivano e vengono quotidianamente a dirci che non c'erano e "non ci sono i soldi" e che col nostro sacrificio avremmo sviluppato la solidarietà, il novero dei diritti e il progresso, hanno in realtà favorito forme di disoccupazione sempre crescenti ed ormai considerate organiche (lo sanno bene i nostri precari e lo indica il mondo giovanile cui è preclusa quasi ogni via d'impiego stabile), nonché lo sviluppo di ulteriori mangiatoie e clientele. I sacrifici non sono stati per tutti, bensì a senso unico: non ne hanno guadagnato gli operai (categoria in via di esaurimento), non i pensionati o i ceti meno abbienti, non i diritti del malato o la qualità della vita, ma invece i "dirigenti" (il cui senso di "responsabilità" è nullo perché protetto da un'area contrattuale a parte, più vicina a quella che avevano i pubblici dipendenti che non a quella privatizzazione che tanto sbandierano), col risultato di un loro sempre crescente strapotere, pari solo alla loro "intoccabilità"!

Vi sono in questo Paese "categorie protette" invidiate nel mondo: senza andare ai soliti esempi dei parlamentari, piuttosto che degli uscieri di Montecitorio e Palazzo Madama, basta ricordare i dipendenti della Banca d'Italia, retribuiti più di quelli della Bundes Bank, per i quali, gli stessi sindacati che hanno imposto i nostri sacrifici, hanno sottoscritto accordi sempre conclusi senza un giorno di "vacanza contrattuale" priva di copertura, con aumenti sempre superiori al 10% (contro le nostre miserie del 3% o dell'1,5%), ed a partire da stipendi ben più congrui e da 16 mensilità. Mentre s'è attuata una terribile controriforma pensionistica, che oltre a colpire i diritti acquisiti, ha corrotto il quantum degli importi, facendo sì che su tutti gli anni dal '93 in poi si faccia media sull'intero iter lavorativo in luogo di un calcolo che precedentemente era operato sugli ultimi 5 anni, essi vanno in pensione con l'equivalente dell'ultimo stipendio pieno! Ed ora per noi arriva la "stangata" finale con la truffa sul TFR ("conversione" della liquidazione in fondi pensione gestiti da consigli di amministrazione di nomina para-sindacale).

La richiesta dell'ordine professionale dei docenti è semplicemente di senso comune. Non è né di "centro", né di "destra", né di "sinistra". Si tratta solo di rimettere le cose al proprio posto. Lo diciamo a quanti oggi ci osteggiano e ci calunniano proprio perché siamo fuori dagli "schemi" e non riescono a trovare per noi collocazione alcuna: siamo così perché non siamo in debito di ideologia, perché non siamo un sindacato di partito, né un partito mascherato da sindacato. Eppure, se si affermasse la nostra proposta, quante assurdità verrebbero a sparire nella scuola, e quanto del processo di mistificazione in atto verrebbe a bloccarsi!! Lo diciamo agli "operaisti" più o meno fasulli, gli stessi che non si sono certo stracciate le vesti quando sono stati costituiti l'ordine delle ostetriche, dei radioestesisti o … delle guide alpine (tutti e 3 esistenti)! Chiedessero ai giornalisti (compresi quelli de "il manifesto"), se sarebbero disposti a sciogliere l'ordine che li difende … o a quanti, pur docenti, sono iscritti all'ordine dei commercialisti, degli ingegneri, degli architetti …

Né intendiamo batterci per un ordine qualsiasi, ben consapevoli dei limiti che gli ordini hanno sviluppato nella società della merce. Siamo fautori di un ordine democratico e trasparente, che prenda posto nello specifico che gli compete: non "come" corporazione né come l'ordine dei sindacati, della CGIL, dello SNALS o … dell'Unicobas! Ma uno strumento della e per la categoria.

A chi vede un'incongruenza nella coesistenza fra sindacati ed ordine, ribadiamo che vi sono due diversi spazi da coprire. Al sindacato le contrattazioni, nelle quali non entra però la definizione dello specifico della funzione, né tantomeno gli ambiti dell'autonomia professionale, altrimenti destinata a morire affogata nel burocratese e nel sindacalese, e con essa la scuola e le libertà di insegnamento e di apprendimento. A chi denuncia una idiosincrasia fra lo status di dipendenti e quello professionale, ricordiamo semplicemente che vi sono duecentomila medici dipendenti dello Stato e che esistono da una parte l'ordine dei medici (e diversamente non potrebbe essere) che difende l'autonomia della professione, dall'altra i sindacati dei medici, che si occupano dei contratti nazionali di lavoro.

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NOTE

(1) Pubblico impiego. Piccola storia ignobile della "rappresentanza sindacale"

di Stefano d'Errico

In questo Paese sono state approvate negli ultimi anni delle leggi sulla rappresentanza sindacale che, nel pubblico impiego, negano ogni senso del diritto.

Sino al '97 le norme richiedevano alle organizzazioni sindacali il raggiungimento della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli di Amministrazione dei Ministeri e Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e provinciali, per la Scuola). Nel periodo intercorrente fra un'elezione e l'altra, il calcolo veniva, con un tetto analogo, operato sui sindacalizzati. Il raggiungimento del 5% su lista nazionale, significava per le organizzazioni di comparto poter sedere al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di categoria e per le contrattazioni decentrate di primo livello; una soglia analoga su lista provinciale garantiva la partecipazione alle trattative decentrate locali o di singola "unità produtiva".

La legge "Bassanini" del Novembre '97 stravolge ogni regola. Innanzitutto, con un meccanismo elettorale farsesco che impedisce sia la presentazione di liste nazionali che provinciali, imponendo unicamente una lista per ogni singolo Ufficio o Scuola (12.000 sono le istituzioni scolastiche). Devono così venire elette "Rappresentanze Sindacali Unitarie" unicamente nei luoghi di lavoro, titolate a trattare solo su questioni minimali, sulla falsa riga di contratti nazionali e provinciali decisi dai rappresentanti nominati dalle burocrazie sindacali senza alcun controllo elettivo.

Ciò rende molto difficile alle nuove organizzazioni, alle quali è negato a priori ogni strumento di sostegno (persino i permessi sindacali), la competizione con le vecchie strutture confederali, che possiedono un esercito di circa 2.000 "distaccati". La cosa è persino ridicola, visto che la somma delle firme richieste per validare le liste raggiunge numeri strabilianti (nella scuola occorrono 65.000 presentatori, più dei voti richiesti per raggiungere il 9.5% e più di quanto sia necessario per proporre al Parlamento una legge di iniziativa popolare). Si tratta infatti di numeri congrui per le singole unità amministrative (2% degli aventi diritto), ma assolutamente improponibile nell'ottica di una sommatoria nazionale. Sarebbe come se ogni partito fosse obbligato a presentare una lista per ogni seggio elettorale, dovendo così raccogliere almeno 600.000 firme per coprire tutto il territorio nazionale.

In realtà diventerebbe imbarazzante per CGIL, CISL e UIL competere ad armi pari, come le regole democratiche invece imporrebbero: significherebbe passare dal monopolio al pluralismo, ed essere in più costrette a far scegliere direttamente dai lavoratori anche le proprie delegazioni trattanti.

Ma il marchingegno illiberale non si conclude qui. Al fine di favorire i sindacati pronta-firma, è stato inventato un meccanismo ulteriore, assolutamente indecente. Si tratta della cosiddetta "media": il 5% non viene infatti calcolato più sui voti o sugli iscritti, ma facendo media fra i due parametri. In tal modo la soglia sul dato elettorale sale per forza, dovendo i sindacati nuovi compensare ovviamente la carenza di iscritti. Se si fosse adottato qualcosa di simile per accedere al Parlamento si sarebbe gridato al colpo di stato, anche perché così non si consentirebbe di fatto la nascita di alcun nuovo partito. Nessuno accetterebbe mai il computo spurio fra voti ed iscrizioni elevato a regime.

I sindacati che non raggiungono tali folli parametri vengono privati di ogni diritto e spazzati via persino dal piano decentrato, anche se, come l'AltrascuolA Unicobas, si possiede comunque il 10% dei voti nelle elezioni per il Consiglio Scolastico Provinciale ed il 5% delle deleghe nell'ambito di numerose province - come a Roma dove siamo il doppio della UIL - e regioni. Un sindacato può anche avere il 60% delle deleghe su base provinciale e non essere ammesso a nessuna trattativa decentrata. In Italia si dibatte molto di federalismo, ma il federalismo viene espunto dalla democrazia del lavoro. L'unica possibilità di sopravvivenza a livello locale, che era prevista solo nel 2000 "in prima applicazione", fu legata al requisito dell'affiliazione di almeno il 10% dell'intera forza lavoro. Cosa che, in una zona di media sindacalizzazione (35%) come il pubblico impiego, non è data in Italia in nessuna provincia neanche a CGIL o CISL, che pure esistono da quaranta/cinquant'anni.

Se per far parte di un Consiglio Comunale fosse obbligatoria l'iscrizione del 10% degli aventi diritto al voto, non esisterebbero liste locali in grado di competere.

D'altro canto, una norma del genere, traslata in politica, avrebbe come effetto per i partiti che non avessero da Canicattì a Bolzano un quorum nazionale calcolato sul 5% di media fra voti ed iscritti, non solo l'esclusione dal Parlamento, ma anche da ogni consiglio regionale, provinciale, comunale o municipale e, di concerto, da ogni permesso per tenere comizi e qualsivoglia rimborso elettorale. Eppure, in ambito sindacale, non si da luogo alla creazione di "governi" e non è quindi in gioco la stabilità dell'esecutivo. Un sindacato, al quale la Costituzione non richiede invero altro che uno statuto registrato, esiste per far valere i diritti dei rappresentati, non per promulgare leggi o leggine.

Non male per uno stato di diritto a democrazia "compiuta", per un cosiddetto Paese "normale". Mentre in Europa sindacati come l'Unicobas hanno pieni diritti ovunque, nel "Bel Paese" non ci forniscono neanche di un'ora di permesso retribuito. In Francia, ad esempio, con un'analoga percentuale di voti riportata nelle elezioni professionali - i cui risultati la legge oggi esclude per il calcolo della rappresentanza - avremmo 21 aspettative annue a carico dello stato. In realtà ci siamo accorti di essere ridotti come nella Polonia dei tempi del generale Jaruzelskij, quando venne messa fuorilegge "Solidarnosc".

A ciò va aggiunto che, per paura che CGIL, CISL e UIL perdessero ugualmente l'egemonia sulla scuola, all'Unicobas viene negato dall'Ottobre '99 persino il diritto di tenere assemblee in orario di servizio, anche nelle scuole dove abbiamo 50 aderenti su 100 docenti.

Che cosa vorremmo? Un trattamento elettorale equo per la scuola, per esempio uguale a quello riservato ad altri: nei comuni di Roma, Milano e Napoli (50.000 addetti ognuno), è stata richiesta a CGIL, CISL e UIL un'unica lista con 200 firmatari. Nei provveditorati corrispondenti, che annoverano una pari quantità di dipendenti, occorrerà produrre almeno 600/700 liste (una per scuola), con 3.500 firme (quando difficilmente si raggiungeranno 35.000 votanti). Vorremmo il diritto di assemblea per poter preparare le liste e fare la campagna elettorale.

Vorremmo una legge che calcolasse la "rappresentatività" con elezioni basate su liste nazionali, provinciali e di singolo istituto. E' chiedere troppo, 215 anni dopo la rivoluzione francese?

(2) Valutare i docenti o rivalutare la valutazione degli alunni?

RIFORMA MORATTI, INVALSI E "VALUTAZIONE"

intervento di Camillo Di Gregorio al Convegno l'AltrascuolA Unicobas di Civitavecchia del 21 maggio 2004

La valutazione nella riforma Moratti

Nella legge Legge 28 marzo 2003, n. 53 sono vari i riferimenti alla valutazione, sia del sistema scolastico, sia degli studenti.

Innanzitutto la legge prevede l'istituzione di un Servizio nazionale del sistema scolastico : l'art.1 comma 3 della Legge 28 marzo 2003, n. 53 dice infatti che:

"3. Per la realizzazione delle finalità della presente legge, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca predispone, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima, un piano programmatico di interventi finanziari, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo n. 281 del 1997, a sostegno:

a) della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo e la valorizzazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche;

b) dell'istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico;"

Inoltre l'art. 3 della Legge 28 marzo 2003, n. 53 tratta in particolare della Valutazione degli apprendimenti:

"1. Con i decreti di cui all'articolo 1 sono dettate le norme generali sulla valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli studenti, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:

La riforma Moratti in origine intendeva sopprimere la possibilità, per i docenti, di decidere, in base alla situazione del singolo alunno, della promozione o meno anno per anno, e prevedeva la valutazione degli alunni solo ogni due anni. Sono intervenuti vari deputati per poter ripristinare la facoltà per i docenti del singolo consiglio di classe, sulla base dei risultati acquisiti e delle valutazioni, di decidere sull'ammissione dell'alunno all'anno successivo o fargli ripetere anche il primo anno. In particolare riportiamo il seguente o. d. g. approvato dalla Camera:

"La Camera, premesso che:
l'articolo 3, comma 1, lettera a), del disegno di legge in esame prevede la valutazione, periodica ed annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli studenti da parte dei docenti;
nella stessa lettera a) è previsto l'affidamento agli stessi docenti della valutazione dei periodi didattici (bienni) ai fini del passaggio al periodo successivo;
dal contenuto della citata lettera a) sembrerebbe soppressa la possibilità, per i docenti, di decidere, in base alla situazione del singolo alunno, della promozione o meno anno per anno,
impegna il Governo
a prevedere, nell'ambito dei decreti legislativi di cui all'articolo 1 del disegno di legge in esame, la facoltà per i docenti del singolo consiglio di classe, anche in vigenza del biennio valutativo, sulla base dei risultati acquisiti e delle valutazioni, di decidere sull'ammissione dell'alunno all'anno successivo o fargli ripetere anche il primo anno.
9/3387/3. Maggi, Angela Napoli, Landolfi, Butti, Castellani, Rositani, Cannella, Garagnani, Santulli, Palmieri, Coronella. "

La riforma attribuisce al Servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico il compito di effettuare "verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e le abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative" (art. 3).

La "valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione, e la certificazione delle competenze acquisite" è affidata invece agli insegnanti, che sono anche responsabili della promozione o meno degli studenti alla fine di ciascun anno scolastico.

La riforma identifica quindi due livelli di valutazione: la valutazione interna, affidata ai docenti, e la valutazione esterna, affidata all'Invalsi.

La valutazione esterna provvede alla verifica di "conoscenze" e "abilità", mentre ai docenti è affidata la verifica dell'acquisizione da parte degli studenti delle "competenze".

A che cosa serve la valutazione INVALSI ?

Ma allora, visto che la valutazione Invalsi non deve verificare competenze, ma solo conoscenze e abilità, quale dovrebbe essere lo scopo della valutazione esterna?

La domanda è d'obbligo soprattutto alla luce di alcune osservazioni sui cosiddetti "progetti pilota" INVALSI realizzati negli ultimi anni.

I test INVALSI si sono estrinsecati nella somministrazione di prove di comprensione, di lettura, di matematica e di scienze a studenti di vari livelli scolastici e hanno sollevato varie perplessità sia sulla validità delle prove sia sulla attendibilità dei risultati.

I test Invalsi si limitano a sondare gli apprendimenti degli studenti in alcune discipline, senza considerazioni sul contesto sociale o culturale o sui livelli di partenza degli allievi; i test vengono in genere effettuati nel mese di febbraio e non è mai chiaro se le prove si riferiscano agli apprendimenti maturati nell'anno scolastico in corso oppure in quelli precedenti.

Il guaio è che queste rilevazioni INVALSI stanno per diventare obbligatorie e sulla base di esse si rischia una "classificazione" delle scuole ingiusta, completamente inattendibile e priva di qualsiasi validità scientifica.

Ma, come se questo rischio non bastasse, anche la commissione ARAN, MIUR, CGIL, CISL, UIL, SNALS per l'attuazione dell'art. 22 del vigente CCNL Scuola, nel documento conclusivo del 24 maggio 2004, rincara la dose, ventilando l'ipotesi di usare i test INVALSI per la valutazione dei docenti; nel citato documento del 24 maggio 2004 si legge testualmente:

"L'individuazione di uno sviluppo di carriera dei docenti, con l'introduzione di una dinamica retributiva e professionale cui ogni docente può volontariamente aderire non legata al solo indicatore dell'anzianità di servizio, richiede quindi che si considerino tutti quegli aspetti che caratterizzano la storia professionale di un docente: l'esperienza, il sistema dei crediti, la valutazione come supporto all'attività didattica e verifica degli esiti e la previsione di una fase transitoria.

Tra gli strumenti a tal fine necessari si conviene che l'istituzione di un sistema nazionale di valutazione del sistema scolastico possa costituire un utile strumento da intrecciare con i processi di valutazione interna."

"La questione della valutazione può essere suddivisa in due parti, l'una di carattere prevalentemente individuale/soggettivo, relativa cioè al contributo che un docente fornisce all'istituzione scolastica in cui opera, l'altra prevalentemente oggettiva e che riguarda, appunto, l'efficacia dell'azione formativa dell'istituzione scolastica nel suo complesso cui ogni singolo docente contribuisce."

"E' necessario che questo avvenga in termini trasparenti, imparziali e condivisi. A ciò può contribuire la valutazione della qualità e dell'efficacia dell'intera istituzione scolastica in relazione alla definizione di standard nazionali."

Quale valutazione è più importante?

Sono state considerate tre "valutazioni" interconnesse tra loro: quella delle istituzioni scolastiche, quella dei docenti e quella degli studenti.

E' giusto che lo Stato sperperi una quantità notevole di risorse finanziarie per procedere alla valutazione esterna delle singole istituzioni scolastiche?

Se le Scuole fossero veramente autonome , dotate delle risorse necessarie e di piena ed effettiva libertà di azione, sicuramente la risposta alla domanda precedente sarebbe SI: lo Stato dovrebbe inevitabilmente valutare gli Istituti scolastici ai quali ha concesso tutti i mezzi e i poteri per operare bene.

Ma in Italia le cose non stanno così; la cosiddetta "autonomia scolastica" è solo un termine privo di qualunque riferimento alla realtà effettiva delle cose; in realtà le Istituzioni scolastiche devono applicare una normativa piuttosto rigida e possono esercitare la loro autonomia solo su alcuni dettagli completamente insignificanti.

Gli Istituti scolastici (e di riflesso anche i docenti) italiani devono essere considerati solo dei meri esecutori e non dei soggetti autonomi.

La valutazione (che non a caso accomuna Istituzioni scolastiche e docenti) di cui si sta parlando tende quindi, necessariamente, a valutare, non chi ha le migliori iniziative, ma chi esegue meglio le direttive.

Questo tipo di valutazione potrebbe a priori anche avere un senso: lo Stato valuta chi esegue meglio le sue direttive ottenendo i risultati migliori.

Ma, in tal caso, lo Stato, prima di valutare, dovrebbe cercare di dare delle buone direttive tendenti a far funzionare in modo ottimale tutte le scuole.

Ma, allora, visto che la politica dei vari governi che si sono succeduti ha messo le Scuole italiane in condizione di funzionare molto male, che cosa vogliono valutare?

E' i caso di ricordare ai nostri governanti (presenti o passati) che:

1) in qualunque sistema scolastico la valutazione più importante è quella degli studenti;

2) la valutazione degli studenti in Italia è ancora quella elaborata all'epoca della riforma Gentile;

3) sono stati aboliti tutti gli strumenti (esami di riparazione ecc.) che in passato consentivano a tale valutazione di funzionare;

4) con la farsa dei debiti formativi molti studenti sono promossi ignorando completamente materie fondamentali (altro che competenze) senza che vi sia nessun tentativo di reale recupero;

5) la normativa attuale costringe i docenti a promuovere quasi sempre gli alunni che non studiano anche in presenza di gravissime lacune; respingere un alunno è possibile solo in casi estremi.

In altre parole l'antico modo di valutare (che comunque risale all'epoca in cui la Scuola italiana sfornava i migliori diplomati di tutta Europa) gli studenti oggi non funziona più; in queste condizioni neanche gli insegnanti migliori possono fare molto.

E' appena il caso di ricordare che il processo dell'apprendimento richiede la partecipazione attiva dello studente, che quindi deve essere responsabilizzato; uno studente molto attivo conseguirà una buona preparazione anche in presenza di un mediocre insegnante; mentre è noto che neanche i migliori insegnanti possono fare molto in presenza di allievi che non vogliono apprendere, soprattutto se gli allievi sono inseriti in classi di 30 alunni (oggi è la regola) dove i miracoli diventano ancora più difficili.

Nessuno auspica il ritorno alle bocciature o agli esami di riparazione, ma non si può ignorare che la Scuola deve essere una cosa seria.

Ma allora la cosa più urgente che dovrebbe fare un Ministro dell'Istruzione in Italia è quella di spazzare completamente via le poche tracce residue (ormai non più funzionanti) della vecchia valutazione degli studenti e di elaborare in tempi brevi un nuovo e moderno modo di valutare gli alunni che sia pienamente funzionale e consenta effettivamente di verificare il raggiungimento delle necessarie competenze, conoscenze ed abilità da parte degli studenti e garantisca il reale recupero in caso di mancato conseguimento degli obiettivi.

Ma di tutto ciò nella riforma del ministro Moratti non vi è alcuna traccia, anzi il testo iniziale della riforma prevedeva addirittura la possibilità di respingere l'alunno solo ogni due anni, peggiorando la già grave situazione attuale.

E dire che il Ministro Moratti ha avuto il coraggio di dichiarare in televisione che con la sua riforma aveva risolto i problemi della scuola italiana; non sa il ministro Moratti che anche dopo la sua cosiddetta riforma molti studenti che non studiano continueranno ad essere immeritatamente promossi (in ossequio alla normativa) allo stesso modo di quelli che studiano con molta fatica e impegno?

Fino a quando vi sarà ancora qualche studente che studia?

In presenza di tale macroscopico problema, che rischia di affossare completamente la Scuola italiana, è quindi completamente fuorviante proporre la valutazione delle istituzioni scolastiche e dei docenti tramite i test Invalsi.

E' molto opportuno quindi che i Collegi dei docenti deliberino di non aderire ai test Invalsi.