"Grande è la confusione sotto il cielo…" si diceva un po' di tempo fa.

Oggi, quando si parla di riforma della scuola, sembra di non discostarsi molto dall'incipit della famosa citazione; ben diversa, però, è la conclusione.

Un tempo la situazione appariva eccellente, adesso, risulta semplicemente caotica, contraddittoria, quasi sempre incomprensibile, almeno per noi che lavoriamo e viviamo la scuola con impegno, che cerchiamo di dare un senso al nostro agire, che proviamo, soprattutto, a capire cosa ci viene proposto e quali sono le motivazioni che stanno alla base dei cambiamenti che si prospettano.

Molteplici sono i segnali di questa confusione, di un procedere che, a parole si ammanta di connotati scientifici, ma, in realtà, non riesce ad uscire da ambiguità ed imprecisioni di fondo: a cominciare dal Ministero che in piena estate ha diramato una circolare nella quale si minacciavano sanzioni nei confronti dei Dirigenti Scolastici, rei di non essere stati capaci di far applicare la riforma e dei docenti macchiati della colpa di insubordinazione, per poi far dire allo stesso ministro ad ottobre, (solo a parole purtroppo) che anche per quest'anno la riforma può essere solo sperimentata e, in ogni caso, deve essere convalidata nella autonomia delle scuole!

Cosa dire, poi, della condizione di completo sbandamento nella quale si trovano ad operare migliaia di docenti, tra pratiche didattiche da tempo testate e sicure e quelle Indicazioni nazionali che sono solo documenti allegati ad un decreto, quindi adottati in via transitoria e assolutamente non prescrittivi, per di più dagli scarsi contenuti culturali!

La confusione aumenta, quando si pensa ai problemi creati in tutte le discipline dalla cancellazione della ciclicità, dalla compresenza nello stesso istituto di libri di testo "riformati" e quelli legati ancora ai vecchi programmi, dalle enormi difficoltà che le scuole devono affrontare nel colmare i vuoti disciplinari, dovuti al taglio delle ore obbligatorie (Educazione tecnica, Lettere, Inglese), "grazioso regalo" della riforma Moratti.

Ancora più incredibile è la situazione concernente la figura del tutor, la cui atipicità è motivo di resistenze fortissime da parte dei docenti, di maldestri tentativi da parte dei Dirigenti Scolastici di imporne a forza l'accettazione, di una trattativa a livello nazionale che procede dalla scorsa estate e della quale ancora non si scorge (a mio avviso fortunatamente) la conclusione.

Ma dove risulta veramente imbarazzante la confusione, là dove il Ministro sembra navigare a vista è nel campo della valutazione, che dovrebbe attuarsi mediante un sistema fortemente centralistico, l'INValSI e un altro strumento, ancora non ben identificato, il "portfolio delle competenze".

Il nostro sindacato ha già espresso precise critiche alla filosofia che sta alla base del sistema di valutazione INValSI (a tale proposito rimando all'articolo di Camillo Di Gregorio apparso sull'ultimo numero della nostra rivista e presente sul nostro sito): appare evidente come attraverso la somministrazione di test, che dovrebbero sondare gli apprendimenti degli studenti in alcune discipline, in realtà si voglia effettuare una valutazione dei docenti, delle loro competenze professionali, anche ai fini di un'ipotetica carriera, basata su parametri meritocratici (così come è espresso nel documento conclusivo del 24 maggio 2004 della commissione ARAN, MIUR, CGIL, CISL, UIL, SNALS per l'attuazione dell'art. 22 del vigente CCNL), ed esercitare inquietanti forme d'ingerenza, se non addirittura di controllo, sull'operato e sulle scelte delle scuole stesse.

Come non interpretare in tal senso la D.M. 56 e la circolare INValSI che fanno espressamente riferimento alla rilevazione dell'attivazione della funzione tutoriale nelle scuole, pur sapendo che al momento non ci sono al riguardo indicazioni precise ed è in corso una trattativa contrattuale nazionale?

Per terminare queste brevi note vorrei ricordare che, là dove sperimentati, tali sistemi si sono rivelati inutili, fortemente burocratizzati e fonti di enormi sprechi, oltre che causa di un preoccupante omologamento in basso delle competenze, quindi di un generale scadimento della qualità dei sistemi educativi.

I motivi sopra elencati sono più che sufficienti per opporsi ad una prospettiva del genere, ma ritengo che, qualche altra riflessione, possa servire a destare dubbi sulla qualità e sulle reali ricadute di tale sistema valutativo, anche tra quei colleghi che ancora vivono all'oscuro di tutto ciò che gli accade attorno, tra chi è disponibile a mettere in pratica, senza porsi eccessivi problemi, le direttive provenienti dall'alto e tra chi è un fanatico sostenitore dei test.

In primo luogo appare paradossale che mentre si parla di "scuola dell'autonomia", di scuola che deve essere interprete e mediatrice, anche attraverso la proposta formativa, delle problematiche e delle esigenze del territorio, che mentre l'attuale Ministro sottolinea l'importanza storica di una didattica basata sulla "personalizzazione", si assiste invece, in campo valutativo, ad una stretta centralistica e accentratrice, istituendo l'INValSI alle dirette dipendenze del Ministero, col compito di verificare gli apprendimenti degli alunni delle attuali 12000 scuole della Repubblica, in maniera uniforme e indifferenziata con dei test a risposta multipla.

Non può non destare dubbi, sulla reale autonomia dell'Istituto, il fatto che i ruoli principali, Presidente e componenti del Comitato Direttivo, siano nominati direttamente dal Ministro e che il direttore generale sia scelto dal Presidente, a sua volta nominato dal Ministro.

Ancora più paradossale è la situazione e le modalità con le quali pare debba operare questo istituto: c'è da chiedersi, in effetti, quale possa essere l'efficacia di un intervento valutativo in un contesto di grande confusione ed incertezza qual è quello della riforma e desta, più di un sospetto, la pertinacia e la fretta con cui si è deciso di renderlo obbligatorio, benché siano sotto gli occhi di tutti le difficoltà ed incongruenze che caratterizzano la scuola di stampo morattiano.

Per di più mancando gli standard nazionali d' apprendimento di riferimento, non si sa neanche quali conoscenze e/o competenze si debbano accertare.

Si ripete, quindi all'ennesima potenza, quella situazione di sconcerto già provata nei "tre progetti pilota" quando, al momento della valutazione in febbraio, non era chiaro se le prove sarebbero state riferite agli apprendimenti maturati nell'anno scolastico in corso oppure in quelli precedenti.

Con l'obbligatorietà imposta da quest'anno, non sappiamo, a tutt'oggi, se saranno valutate le conoscenze in base alle Indicazioni (non dimentichiamoci allegate e transitorie) o se le prove si attesteranno sugli obiettivi appartenenti ai programmi del '79 e dell'85.

In questo caso, allora, sorgerebbe un ulteriore problema relativo alla validità di una siffatta valutazione, in quanto tali programmi sono stati pensati quando non esisteva una valutazione esterna del sistema educativo e gli stessi obiettivi risultano difficilmente riconducibili a standard chiaramente definiti e misurabili.

Un'altra considerazione sulla quale invito a riflettere attentamente è se la somministrazione di un test a scelta multipla, del quale non si conosce né l'ampiezza e né le complessità, possa essere sufficiente a saggiare le conoscenze e/o competenze relative ad una materia e se i dati così rilevati possano essere attendibili e significativi.

Se a quanto detto aggiungiamo il "pasticciaccio" della nuova scheda di valutazione (nient'altro che la vecchia con una spruzzatina di nuovo proveniente dalle Indicazioni), l'oggetto misterioso portfolio (proposto nella sua formulazione ambigua di strumento valutativo e certificazione di competenze) è ormai chiaro che il Ministero abbia deciso di privilegiare l'attività dell'INValSI a discapito di quella svolta autonomamente dai docenti e dalle singole istituzioni scolastiche, ottenendo così un duplice risultato:

. il ritorno ad una valutazione fortemente centralistica

. lo strumento per valutare gli apprendimenti degli studenti (probabilmente la cosa che gli interessa meno, visto anche lo scarso spazio dedicato a tale funzione dalla riforma degli organi collegiali) ed indirettamente le competenze professionali degli insegnanti per avviare così un percorso di differenziazione meritocratica della categoria.

Stefano Lonzar