LA VIOLENZA NON VINCERA' IL POPOLO DI SEATTLE CHE NEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL BAMBINO E IN UN NUOVO MOVIMENTO SINDACALE MONDIALE TROVERA' LE VIE DEL SUCCESSO.

(di Davide Rossi)

Genova, giovedì i migranti tra luci e colori, venerdì una incredibile e assurda guerra, capace di uccidere, quindi sabato 21 Luglio 2001. La tensione si respira insieme alla salsedine del mare, ma 250.000 persone, soprattutto giovani, affollano le vie che da Quarto portano al centro della città.

WWF, Lega Ambiente, Comitato per l'Acqua, Cattolici moderati, Acli e Scout, incoraggiati dal Cardinal Piovanelli sono presenti. Ancor di più sono gli studenti delle superiori senza etichetta, ragazze e ragazzi che rappresentano la parte più consapevole della loro generazione. Con striscioni e strumenti musicali si inizia a camminare, passo dopo passo, sul lungomare. Quando compare la polizia la marea umana alza le mani, la volontà pacifica è sentimento diffuso e incontrovertibile. Ci si avvicina alla Fiera per girare verso Marassi e si trovano di fronte pochi violenti armati. Le forze dell'ordine non li bloccano permettendo alla manifestazione di procedere, ma li spingono addosso alla testa del corteo e sparano lacrimogeni su tutti.

Un giorno di sole si trasforma così in una seconda terribile giornata. Quello che più sconcerterà, a sera, è, non solo la criminalizzazione di un popolo multiforme pacifico, ma il fatto che Carabinieri e Polizia abbiano colpito con aspra durezza non i violenti, ma i giovani dei licei, dei tecnici, delle professionali. E' sembrato davvero che si volesse non ristabilire la calma ma annientare con ferocia inaudita e incomprensibile, una generazione, l'ultima.

Fatta di occhi profondi e intensi di ragazze e ragazzi che vogliono partecipare alla costruzione di un mondo migliore, più giusto, volti luminosi che hanno il coraggio di interrogarsi e di cercare risposte. Inermi e pure manganellati.

Per noi quanto avvenuto lascia una amarezza sconfinata e un dubbio atroce. Una cattiva e allucinata regia pare aver architettato le violenze contro i pacifisti per frenare il consenso sempre più vasto e popolare che vanno riscuotendo nella società.

Un consenso che una violenza arbitraria comunque non potrà ridimensionare. Un movimento ampio e, ripetiamolo al di là di esique frange irresponsabili da allontare e condannare, pacifico e di cui, come Unicobas ci sentiamo parte.

Il futuro e il successo del movimento verrà da scelte chiare e ragionevoli, tese a moltiplicare le energie e il seguito tra tutti i cittadini.

Avanziamo allora, con la volontà di allargare gli orizzonti, alcune riflessioni, alcune proposte.

Intanto il quadro va depurato da mediocri e superficiali atteggiamenti di ribellismo antagonista che credono possibile (quando non si sa!) un futuro a tutto tondo con la rottura di qualche vetrina. Questi sono, a diversi livelli, tanto i contestatori che auspicano la catastrofe dei rapporti internazionali (!) presunta generatrice di un successivo mondo migliore, quanto l'area degli illusi che pretendono di "democratizzare" il G8, che mai potrà trasformarsi verso forme assemblearistiche impossibili. Cercando allora di riflettere dobbiamo partire da un dato di realtà, la fine del mondo bipolare ha rivelato in tutta la sua crudezza come il vero scontro sia tra Nord e Sud del pianeta. Arbitri di questo scenario sono diventate le maggiori aziende industriali, ma pure finanziarie e speculative, degli Stati Uniti, capaci di scegliersi il presidente americano che ricambia il potere ricevuto imponendo a tutto il globo il dollaro come moneta unica per gli scambi internazionali e la Nato come deterrente contro ogni focolaio di non allineamento al sistema. La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) gestiscono fondi elargiti dalle sette maggiori potenze non per spirito di solidarietà o per sincero desiderio di autentico sviluppo del Sud del mondo, ma per controllare le materie prime della terra a danno dei possessori nel caso delle risorse naturali, come metano e uranio, ma anche legname, dei produttori in tutti gli altri casi, dal caffè allo zucchero. Il Word Insitute di Lester Brown di New York spiega da anni queste dinamiche e i pericoli di un processo di consumi che affama e rende sempre più precari gli equilibri mondiali e la possibilità di contenimento dei poveri in movimento verso aree più ricche. Quando Bush dichiara che il liberismo garantirà la prosperità del mondo mente consapevole di mentire. Michael Camdessus, presidente del F.M.I. sino a qualche tempo fa, prima di lasciare l'incarico si è abbandonato a qualche amara considerazione spiegando che l'attuale organizzazione dell'economia mondiale, di cui anche il W.T.O. (l'Organizzazione Mondiale del Commercio) fa parte, può garantire all'occidente al massimo solo un altro ventennio di stabilità sui livelli di consumi odierni, ovviamente a danno del resto del pianeta. Di più, la volontà e il bisogno espansivo e di profitti delle grandi famiglie si scontrerà con la saturazione dei mercati possibili e l'implosione di un ecosistema prossimo al collasso. Questa realtà non è quindi ignorata, ma ciò che interessa al G7 è garantire non già tutti i cittadini dell'occidente, ma la maggioranza elettorale di essi. La pressione delle multinazionali, consapevoli, spinge in questa direzione e poco si interessa del dopodomani. Bush conduce, pur con l'aggravante di una mediocre mentalità da guerra fredda rispetto al suo predecessore, questa battaglia che ha il suo cuore nell'imposizione a tutte le nazioni del M.A.I., l'Accordo Multilaterale sugli Investimenti. Qual è l'obbiettivo del M.A.I.? Semplice, stabilire che ogni legislazione nazionale sul tema del lavoro è ininfluente e che conta quella di chi ha impiantato l'azienda. Contro la cultura dei diritti, la libertà di licenziamento e di basso salario a stelle e strisce. Il futuro sarà quindi giocato da questo grande scontro e lo scenario sarà deciso dall'Europa, che deve scegliere se allearsi con i potentati economici americani o giocare sul pianeta un ruolo indipendente. In Messico l'accordo NA.F.T.A. di libero scambio con gli U.S.A. ha ridotto del 10% le operazioni con l'Unione Europea e peggiorato le condizioni di vita dei messicani. Accordi sul modello N.A.F.T.A sono tentati da Bush in ogni angolo della terra. Si prenderà questa strada o si accetterà la politica statunitense di bassa rapina a danno del Sud del mondo e la logica liberista di tutele sociali in riduzione per i propri cittadini? Questa è la grande sfida del futuro e dietro essa si agita ben più di uno scontro intercapitalista, non come frettolosamente e riduttivamente viene giudicato da qualche massimalista ottuso. Le Nazioni Unite, anch'esse bisognose dei soldi dei sette grandi per poter esistere, sono tragicamente diventate un carrozzone impotente e incapace di autorevolezza autonoma. Lanciano proclami, invitano alle buone intenzioni, ma non dirimono alcunché, assomigliano sempre più ad un vecchio arnese, un residuo del novecento. Molti sono allora gli scenari che si aprono per il popolo di Seattle, due sono davvero planetari ed efficaci. Il Commercio Equo e Solidale in espansione anche negli U.S.A, che attraverso le "botteghe dell'altromercato" e alcuni supermercati vende banane e caffè, miele e ciccolato e altro ancora, prodotti direttamente da afroasiatici e latinoamericani a cui si paga il dovuto garantendo loro sviluppo e dignità. Il secondo è quello tutto da costruire, intanto con l'applicazione della Tobin Tax che colpisce le transazioni speculative a vantaggio dello sviluppo. Il terzo non è ancora emerso con forza, ma è quello forse più dirompente, quello sindacale. La cultura liberista, nemica di qualunque diritto e volta a creare sempre più popoli poveri e poveri tra i popoli occidentali, attacca il salario individuale con mille scuse ma con mille possibilità di vittoria. La risposta verrà allora da un'azione sindacale mondiale volta non già a garantire un'impossibile salario minimo universale come proponeva un folcloristico e inconcludente politico italiano, ma con la determinazione di inviolabili diritti sociali collettivi, di fatto già presenti nelle due Dichiarazioni universali dei diritti dell'Uomo e del Bambino. Il diritto alla sanità e alla scuola, al riposo e alla cultura. Ogni nazione articolerà e declinerà la battaglia secondo i problemi nazionali, ma l'obbiettivo sarà comune. Perché lottare in Italia per l'accesso a mostre e musei, contro turni massacranti, per orari di lavoro che tendano a ridurre e non ad implementare l'orario settimanale con il trucco del lavoro interinale equivale a lottare in Brasile contro il lavoro minorile o lo sfruttamento dei seringueiros e dei sem terra dell'Amazzonia. L'impegno per i diritti di socialità, per l'applicazione dei diritti dell'uomo e del bambino, sono la più grande battaglia a cui ci troviamo chiamati, la loro applicazione scardina il sistema G7. Questa battaglia è principalmente una battaglia sindacale, l'Unicobas né è consapevole e la conduce con convinta determinazione, in Italia, così come nei rapporti internazionali che costantemente accresce e consolida. La convinzione e nel contempo l'augurio è che il popolo di Seattle ne diventi sempre più consapevole e contribuisca a costruire un mondo che, magari anche a piccoli passi ma senza esitazioni, risalga la china insieme tragica e drammatica di un futuro tanto nebuloso da mostrarsi carico di insidie e povero di speranze, perché il diritto ad un domani migliore diventi patrimonio di tutti e di ciascuno, ad ogni latitudine: senza il sindacato alternativo tutto ciò non è possibile.

Luci e ombre, rumori e colori, i grandi dell'occidente e i popoli della terra hanno lasciato Genova. Per la prima volta stampa e televisione hanno raccontato con dovizia di particolari non solo le cene e i pranzi ma anche i termini del dibattito interno al gruppo dei sette grandi, la Russia resta un'inutile invitata, così come le aspirazioni e le richieste dei contestatori. A Lima come a Nairobi, il giorno dopo Genova, la vita continua a scorrere carica dei problemi di prima. Questo non vuol certo sminuire il valore e il significato delle ragioni del popolo di Seattle, di cui ci sentiamo parte, ma vuole allargare gli orizzonti, cercare un punto concreto di riflessione, possibilità e opportunità ragionevoli d'azione.

*inviato di "Unicobas – giornale della C.I.B." al G8 di Genova – luglio 2001