Professori, tornate al 7 in condotta
di MARIO PIRANI
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IL pretestuoso scandalo per le battute estemporanee del ministro Veronesi
sugli spinelli a scuola non meritava certo il rilievo che ha avuto. Assai
più drammatica e con ben altri profili è la realtà
che si respira nelle aule, a cominciare dalle elementari e dalle medie.
A condizione che si voglia guardarla in faccia. Se ne è avuto uno
squarcio nelle "lettere" a Corrado Augias dove spiccava nei giorni scorsi
quella di un insegnante di scuola media di Vibo Valentia, il professor
Domenico Contartese, il quale, dopo 21 di attività proficua, confessava
la propria disperazione e solitaria impotenza per il disastroso mutamento
verificatosi in tempi abbastanza recenti: studenti che vanno e vengono
senza rispetto per gli orari, apatia e violenza con danneggiamenti a banchi,
sedie, armadi, autogestioni proclamate per anticipare anche di trenta giorni
le vacanze, impazzare dei cellulari, rifiuto di qualsiasi idea basata su
studio e sacrificio. Il caso di Vibo Valentia non è isolato ma generalizzabile
, anche se non ad ogni scuola.
Ad Augias, dopo la pubblicazione di quella lettera, ne sono giunte
moltissime altre, quasi tutte dello stesso tenore. Scrive,ad esempio, da
Pescara il professor Carlo Madeo, 21 anni d'insegnamento: "Negli ultimi
anni non riesco a capire cosa sia successo. Più aumenta la disponibilità
nei confronti degli studenti, più aumenta il loro disinteresse"
E ANCORA: "Essi vedono le ore dedicate allo studio come una inutile
perdita di tempo... Il fatto è che la scuola è studio, sacrificio,
fatica e vanno premiati i ragazzi che vogliono studiare, mentre la riforma
persegue l'automatismo del titolo di studio a tutti i costi. I ragazzi
avvertono che alla fine qualunque titolo non è poi spendibile per
il lavoro e manifestano la loro rabbia contro la scuola. Non ho mai avuto
nel passato dei teppisti come alunni ma ogni anno che passa sono gli alunni
teppisti che aumentano".
La concordanza di queste missive mi ha spinto a documentarmi meglio.
Ho telefonato in mezza Italia ad insegnanti con cui ero entrato in contatto
ai tempi del famigerato "concorsone" e ad amici con figli piccoli o adolescenti.
Mi sono trovato di fronte ad un quadro impressionante che riferisco così
come l'ho raccolto, ben consapevole che non si tratta di un'analisi convalidata
da statistiche complessive, che gli esempi riportati possono essere bilanciati
da altrettanti opposti e positivi. Nell'assieme ho tratto l'impressione
che la situazione sia peggiore nelle elementari e nelle medie che nei licei,
dove sembra permanga, almeno in alcuni istituti, una qualche autorevolezza
di non pochi insegnanti e un minimo di filtro meritocratico. Il disastro
dilaga prima, se i casi che mi sono stati raccontati e che riguardano scuole
elementari di Firenze, Roma e Vicenza, riflettono (e perché dovrebbe
essere altrimenti?) una situazione generalizzata. Un minimo di disciplina
è saltata. Si moltiplicano con frequenza e ubiquità (mi sono
stati riportati anche da altre città) fenomeni di teppismo sessuale
infantile con bambini che mostrano in pubblico il piccolo pene, mimano
sulle bambine, in genere turbate e spaventate, un atto di violenza, accompagnato
da insulti volgari e oscenità, apprese probabilmente dai fratelli
più grandi, da adulti incoscienti, da spettacoli televisivi, cinematografici
od altro la società mass-mediatica offra ai loro occhi. Non si tratta
naturalmente di comportamenti fatti propri dalla maggioranza degli scolari
ma ne basta qualcuno per classe per sconvolgere tutti.
Ma non è solo grave il fatto in sé, quanto la rinuncia
a contrastarlo: le maestre fingono spesso di non vedere, con il pretesto
di "non voler dare importanza alla cosa"; se poi lo segnalano alle famiglie,
queste solidarizzano con il figlio e lo scusano, polemizzando con l'insegnante;
il capo d'istituto in genere, come anche per episodi d'indisciplina o di
aggressione con corpi contundenti, rigetta la responsabilità sul
docente, invitandolo a trasformarsi in psicoterapeuta. Tra l'altro l' insegnante,
quando qualche discepolo si fa male, viene inquisito e risponde penalmente
ed economicamente, se è provata una sua qualche negligenza (come
fa, d' altra parte, a sorvegliare costantemente tutti? non gli resta, quindi,
che l'adozione di polizze assicurative ad hoc, in aumento esponenziale).
"I cosiddetti moduli della riforma hanno, fra l'altro, moltiplicato le
attività e i progetti didattici di ogni genere con conseguente aumento
del numero dei maestri, che oscillano da tre a sette, per classe. I bambini
non hanno così più una o due figure di riferimento né
sufficienti tempi ludico-educativi di formazione. Si trovano di fronte
a un continuo carosello cui cercano di adattarsi tumultuosamente o di rifiutare,
sfidando la scuola e generando forme di aggressività": così
mi dice una intelligente maestra fiorentina con un lungo curriculum.
Mi trattengo dal riferire un ulteriore e desolante florilegio di episodi
negativi che riguardano le scuole medie. Essi confermano come anche a questo
livello la soglia di tollerabilità di ogni tipo d'indisciplina si
sia pericolosamente alzata. Gli insegnanti o hanno una eccezionale personalità
e prestigio individuale o sono schiacciati tra la colpevole complicità
delle famiglie col ribellismo dei figli, anche il più becero (come
il voluto insozzamento sistematico dei bagni) e il rifiuto dei capi d'istituto,
recentemente battezzati "managers dell'azienda scolastica", di assumere
provvedimenti che ledano l' immagine di "successo imprenditoriale" che
sono chiamati ad ottenere. Una immagine che si appoggia alla retorica dei
"progetti", delle attività integrative, dei "nuovi saperi" volatili
e trasversali, della tecnologia in sé e della contemporaneità
"come cavallo di Troia per la progressiva cancellazione del latino, del
greco, della storia passata, della filosofia, della storia dell'arte, della
geografia, della storia della letteratura" (da un documento critico in
elaborazione, trasmessomi da un gruppo di volenterosi docenti).
Sarebbe facile a questo punto abbandonarsi alle spiegazioni sociologiche
sul degrado generale della società, sul permissivismo imperante,
sul venir meno della famiglia come nucleo gerarchico- pedagogico e così
via. Non che queste cose non influiscano anche sul costume scolastico.
Preferisco, però, tentare un discorso molto più riduttivo,
peculiare, concreto che possa indurre a una discussione sulla conduzione
specifica della scuola. Bisognerebbe partire dal riconoscimento che la
scuola italiana mostra taluni aspetti di anchilosi conservatrice e di eccessivo
distacco dalla modernità (ma la scuola non può essere mai
totalmente contemporanea), eppur tuttavia è ancora detentrice di
un grande patrimonio culturale e di un corpo insegnanti mediamente all'altezza,
ancorché frustrato e maltrattato. E', comunque, lungi dall'essere
così bisognosa di modelli che la "rinnovino" all'americana (non
stiamo parlando delle università). Per contro è in questa
direzione che la lobby didattica, con la sua coorte di esperti, ispiratrice
delle riforme, si è mossa in un' ansia di rinnovamento di "mercato",
specularmente e paradossalmente corrispondente al ciarpame ideologico di
provenienza - il sessantottismo egualitario, antimarxista ed antistoricista,
frullato col combinato disposto del sindacalese catto-cigiellino di quell'epoca,
"nobilitato" talvolta da pessimi corsi universitari di pedagogia e psicologia
d'accatto.
Si è così messo malamente in piedi un impianto che vede
la scuola come una azienda fornitrice di servizi, con gli studenti come
"clienti" che, in quanto tali, "hanno sempre ragione" e i cui diritti immediati,
le richieste e le pretese vanno privilegiati. In questo contesto l'intero
capitolo disciplinare è stato completamente destrutturato e, quel
poco che ne resta, del tutto inapplicato. Il famoso 7 in condotta, che
non veniva quasi mai comminato, ma che aveva una grande funzione deterrente
dell'indisciplina grave perché implicava il rinvio in tutte le materie,
è stato abolito. Non solo: è stata esplicitamente interdetta
per legge ogni connessione tra giudizio di merito e giudizio sul comportamento,
che resta così del tutto virtuale. La sospensione, che formalmente
esiste ancora sulla carta, è praticamente inapplicabile: deve esser
decisa da un organo collegiale, contro di essa è ammesso ricorso
davanti a un organsimo di cui fanno parte anche rappresentanti di studenti
e genitori e, come terza istanza, di fronte al Provveditore. Infine "può
sempre essere convertita in attività in favore della comunità
scolastica" (dallo Statuto degli studenti, approvato per legge nel '98,
sulla scia tardiva dello Statuto dei lavoratori). Non solo: in nome della
"trasparenza" l'insegnante non può più nemmeno rifilare,
poniamo, un 4 su un compito che giudica pessimo ma deve motivarlo, suddividerlo
in sottovoti (tot per la forma, tot per la grammatica, tot per i concetti,ecc.).
I genitori possono sindacarlo, pretendere le argomentazioni del voto, ricorrere
al Tar contro valutazioni negative , bocciature e quant'altro. Tutto è
sindacabile (una insegnante mi ha informato che, avendo descritto sulla
scheda quadrimestrale di valutazione, i gravi problemi relazionali di un
suo scolaro, era stata diffidata legalmente dall'avvocato, incaricato dalla
famiglia!).
Sia ben chiaro che denunciando questo stato di cose non coltivo alcuna
nostalgia per una scuola autoritaria, in cui lo studente sia privato della
sua libertà di espressione e di tutti quei diritti che la democrazia,
anche nella scuola, gli assicura, compresi quelli di rappresentanza e di
esplicita discussione degli orientamenti educativi. Ma la democrazia è,
anzitutto, un sistema di regole. Altrimenti predispone cittadini che si
reputano svincolati da ogni norma etica e da ogni vincolo legale. In questo
quadro la scuola non può esser vista come una azienda ma come una
istituzione pubblica con cui la collettività assicura la continuità
culturale tra le generazioni ed educa alla libertà nella responsabilità.
Per concludere: queste critiche sono soprattutto rivolte alla sinistra,
per le pecche delle sue riforme. Con la destra, allo stato degli atti,
non vi è discorso praticabile: da un lato si profila una spinta
al clericalismo privato, a spese dello Stato, dall'altro si staglia sui
muri il manifesto di Berlusconi, che aspira a ridurre la scuola, con le
sue "tre I (Inglese, Internet, Impresa)", ad un puro supporto aziendale.
Mario Pirani