REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione lavoro
Oggetto: Lavoro
Composta dai magistrati R.G.N. 4052/2004
----------------------------- Presidente
----------------------------- Consigliere
------------------------------ Consigliere rel. Rep.
----------------------------- Consigliere Cron. 7747
--------------------------- Consigliere
Nell’Ud.15.3.2005
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,
DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del----------------, e dal
suo organo periferico UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE- CENTRO SERVIZI AMMINISTRATIVI
PER LA PROVINCIA DI TERNI (ex PROVVEDITORATO AGLI STUDI DI TERNI), in persona
del legale rappresentante pro-tempore, legalmente domiciliati in Roma,
-------------, presso l’Avvocatura generale dello Stato che li difende;
-----------------------elettivamnte
domiciliata in Roma, --------- presso l’avvocato -------che, unitamente
all’avv.to-------------, li difende per procura speciale apposta a margine
del controricorso.
- resistente -
per la cassazione della sentenza
della Corte di appello di Perugia del 30 ottobre 2003 n.501 (R.G. 3163/2003);
sentiti, nella pubblica udienza
del 15.3.2005: il cons. -------che ha svolto la relazione della causa;
l’avvocato dello Stato-------, gli avv.ti --------- e------------; il Pubblico
ministero nella persona del sostituto procuratore generale -------------che
ha concluso per ili rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Perugia
con sentenza del 30 ottobre 2003, dopo avere dichiarato la nullità
del ricorso proposto da ----------------nei riguardi del Ministero dell’Economia
e delle Finanza, rigettava l’appello dell’Amministrazione dell’istruzione
pubblica, confermando la sentenza non definitiva del Tribunale di Orvieto,
recante l’accertamento che la suddetta-----------------, collaboratrice
scolastica, facente parte del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario
(denominato A.T.A.) già dipendente di ente locale e passato alle
dipendenze dell’amministrazione scolastica statale ai sensi dell’art.8
della legge 3 maggio 1999, n.124, aveva diritto al riconoscimento integrale
dell’anzianità di servizio posseduta al tempo del trasferimento
del rapporto di lavoro e la condanna dell’amministrazione statale al pagamento
delle conseguenti differenze retributive dal 1° gennaio 2000, oltre
interessi e rivalutazione monetaria come per legge.
A giudizio della Corte di
Perugia, il disposto del comma 2 della legge indicata (a detto personale
è riconosciuta ai fini giuridici ed economici l’anzianità
maturata) obbligava l’amministrazione statale ad applicare, dal 1°
gennaio 2000, il c.c.n.l. del comparto scuola al personale trasferito tenendo
conto di tutta l’anzianità maturata alle dipendenze dell’ente locale,
cosicchè non era conforme al dettato della fonte primaria l’attuazione
datane (mediante decreto interministeriale e accordo collettivo) con il
collocamento del detto personale nella fascia stipendiale corrispondente
alla retribuzione in godimento al 1° dicembre 1999 (cd.”maturato economico”)
e non in quella corrispondente all’effettiva anzianità di servizio.
La cassazione della sentenza
è domandata dall’Amministrazione con ricorso per un motivo unico,
contenente piu’ censure, al quale resiste con controricorso la lavoratrice.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo del ricorso,
è denunciata, in primo luogo, violazione dell’art.8 l.124/1999 perché
la decisione impugnata aveva riconosciuto un aumento della retribuzione
per effetto del mutamento del soggetto datore di lavoro e dell’applicazione
di un c.c.n.l. (comparto scuola) che dava rilievo all’anzianità
di servizio ai fini stipendiali (diversamente dal contratto del comparto
enti locali), mentre il legislatore aveva inteso unicamente garantire la
conservazione delle posizioni acquisite, escludendo l’assunzione di oneri
economici maggiori di quelli già gravanti sugli enti locali.
Si afferma, quindi, che la
legge aveva espresso un principio necessitante di essere specificato dalla
normazione secondaria, di cui si contemplava l’emanazione, e il decreto
ministeriale, emanato sulla base di accordo stipulato tra l’Aran e le organizzazioni
sindacali, aveva legittimamente disciplinato il sistema di allineamento
degli istituti retributivi del comparto enti locali con quelli del comparto
scuola, riconoscendo l’anzianità pregressa ai fini dell’inquadramento
secondo il maturato economico.
Si aggiunge, infine, con
argomentazione svolta in via logicamente subordinata e ribadita anche con
la memoria ex art.378 c.p.,c. che l’accordo sindacale 20 luglio 2000, relativo
al sistema di inquadramento del personale A.T.A. secondo il criterio del
maturato economico, aveva natura di vero e proprio contratto collettivo
nazionale di lavoro- come desumibile dalle disposizioni contenute nel c.c.n.l.
8 marzo 2002- ed era percio’ abilitato a derogare anche a norme di legge,
ai sensi dell’art.2, comma 2, secondo periodo, d.lgs.30 marzo 2001, n.165.
La Corte giudica il ricorso
privo di fondamento in tutti i profili di censura, ancorchè la motivazione
della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme al diritto,
debba essere corretta e integrata (art.384, comma secondo, c.p.c.).
Si deve procedere, innanzi
tutto, all’individuazione delle fonti della regola di giudizio, iniziando
dal disposto del comma 1 dell’art.8 della legge 3 maggio 1999, n.124: Il
personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado è
a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura
di tale personale da parte dei comuni e delle province.
Si è, dunque, in presenza
di fattispece di trasferimento di attività, dalla competenza degli
enti locali a quella dello Stato, cui si collega il trasferimento dei rapporti
di lavoro.
Il rilievo consente di ricondurre
la detta fattispecie alla disciplina generale, in tema di passaggi di personale,
contenuta nell’art.34 del d.lgs. n.29 del 1993, come sostituito dall’art.19
del d.lgs.n.80 del 1998 (ora art.31 d.lgs.165/2001): Fatte salve le
disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività,
svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture,
ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze
di tali soggetti si applicano l’articolo 2112 del codice civile e si osservano
le procedure di informazione e di consultazione di cui all’articolo 47,
commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n.428.
Cio’ consente, da una parte,
di ritenere che, per escludere la continuità giuridica ad ogni effetto
del rapporto di lavoro del personale che transita alle dipendenze di un
diverso soggetto, con la conservazione di tutti i diritti (che rappresenta
il nucleo essenziale dell’art.2112 c.c., le cui regole sono state cosi’
rese applicabili a fattispecie diverse dal “trasferimento di azienda”),
è indispensabile che operino “disposizioni speciali” (naturalmente
di rango, considerata la natura della fonte da erogare); dall’altra, che
la contrattazione collettiva certamente non è abilitata ad incidere
sulla garanzia apprestata dall’art.31 d.lgs 165/2001, come su tutte le
norma inderogabili contenute in questo corpus normativo (art.2, comma 2,
dello stesso decreto).
L’indagine va ora incentrata
sulla normativa specifica regolante il trasferimento del personale ATA
dagli enti locali allo Stato.
Il comma 2 dell’art.8 l.124/1999
dispone il trasferimento del personale degli enti locali nei ruoli del
personale ATA statale,con inquadramento nelle qualifiche funzionali e nei
profili professionali corrispondenti (in mancanza di corrispondenza, è
prevista la possibilità di optare per il mantenimento in servizio
presso l’ente locale) e sancisce testualmente: Al detto personale vengono
riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata
presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della
sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità
del posto.
Il comma 3 dello stesso articolo
si occupa specificamente del personale di ruolo che riveste il profilo
professionale di insegnante tecnico-pratico o di assistente di cattedra
appartenente al VI livello nell’ordinamento degli enti locali, in servizio
nelle istituzioni scolastiche statali, il quale è analogamente
trasferito alle dipendenze dello Stato ed inquadrato nel ruolo degli insegnanti
tecnico-pratici.
Il comma 4 stabilisce che
il trasferimento del personale di cui ai commi 2 e 3 avviene gradualmente,
secondo i tempi e modalità da stabilire con decreto del Ministro
della pubblica istruzione, emanato di concerto con i Ministri dell’Interno,
del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione
pubblica, sentite l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), l’Unione
nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM) e l’Unione delle
province d’Italia (UPI), tenendo conto delle eventuali disponibilità
di personale statale conseguenti alla razionalizzazione della rete scolastica,
nonché della revisione delle tabelle organiche del medesimo personale
da effettuare ai sensi dell’art.31, comma 1, lettera c) del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n.29 e successive modificazioni; in relazione al graduale
trasferimento nei ruoli statali non stabiliti, ove non già previsti,
i criteri per la determinazione degli organici delle categorie del personale
trasferito.
Il comma 5, infine, dispone
che, a decorrere dall’anno in cui hanno effetto le disposizioni di cui
ai commi 2, 3 e 4, si procede alla progressiva riduzione dei trasferimenti
statali a favore degli enti locali in misura pari alle spese comunque sostenute
dagli stessi enti nell’anno finanziario precedente a quello dell’effettivo
trasferimento del personale.
L’operata ricognizione dimostra
l’assenza di “disposizioni speciali”, derogatorie dell’art.31 d.lgs 165/2001.
In particolare, il predetto
secondo il quale al personale in questione è riconosciuta ai fini
giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale
di provenienza, risulta, per un verso, chiaramente confermativo della regola
generale di cui all’art.31 d.lgs 165/2001; per altro, la sua compiutezza
esclude che, come ha sostenuto il Ministero ricorrente, sia stato demandato
a fondi secondarie il compito di precisarlo ed integrarlo. Ed infatti,
appare inequivocabilmente il tenore del comma 4, secondo il quale il passaggio
del personale avviene “gradualmente”, secondo tempi e modalità da
stabilire con decreto ministeriale, decreto che, dunque, è stato
abilitato a determinare la concreta operatività dei trasferimenti,
non certo a intervenire in relazione alla disciplina del riconoscimento
dell’anzianità.
Di fronte ai dati posti di
evidenza, assai debole si manifesta l’obiezione che il legislatore avrebbe
disciplinato la vicenda nel presupposto che il passaggio allo Stato non
dovesse comportare, per nessuno dei dipendenti trasferiti, incrementi della
retribuzione. E nella stessa direzione priva di consistenza giuridica si
mostrerebbe un procedimento ermeneutico volto a leggere la normativa di
settore, nella prospettiva della sua conformità all’art.81 Cost.,
nel senso che il riconoscimento dell’anzianità pregressa debba intendersi
limitato, sul piano economico, alla garanzia dei livelli retribuiti raggiunti.
La tesi si confuta osservando
che il senso fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo
la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore (volontà
e coerenza dell’ordinamento, non intento degli autori), è esattamente
opposto: riconoscimento dell’anzianità non solo ai fini giuridici
ma anche economici; che non sono pertinenti al tema le disposizioni contenute
nel comma 5 dello stesso art.8 l.124/1999, poiché la disposta riduzione
dei trasferimenti statali agli enti locali in misura corrispondente all’effettivo
risparmio di spesa conseguente alla cessazione degli oneri per il personale
trasferito, non offre certo elementi per ritenere che l’onere di spesa
dovesse permanere identico per l’amministrazione statale in relazione al
singolo dipendente considerato; che il contrasto con l’art.81, quarto comma,
Cost. è ravvisabile solo quando sia sussistente un apprezzabile
scostamento rispetto alle previsioni di spesa, senza alcuna ragionevole
coerenza fra l’onere coperto ed i mezzi per farne fronte (cfr.Corte cost.n.384
del 1991, n.295 del 1993), non certo in relazione ai maggiori oneri a carico
del bilancio statale eventualmente derivanti dall’interpretazione di una
legge (vediart.61, comma 1- bis, d.lgs 165/2001, inserito dall’art.1, comma
133, della legge 30 dicembre 2004, n.311) e comunque nell’ambito di un
sistema articolato in modo complesso rispetto alla copertura dei nuovi
oneri per il personale (risparmi di spesa anche derivanti da operazioni
di razionalizzazione).
Con riferimento al precisato
quadro legislativo, occorre a questo punto verificare come sia stato attuato
dall’amministrazione statale.
Con il Decreto Ministeriale
23 luglio 1999 (in Gazz.Uff. 21 gennaio n.16)- Trasferimento del personale
ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art.8 della legge 3 maggio
1999, n.124- viene dato atto, nel preambolo, di aver dato previa informazione
alle organizzazioni sindacali; si dispone il trasferimento dei dipendenti
degli enti locali in servizio alla data del 25 maggio 1999, nei ruoli del
personale ATA statale, con inquadramento dal 1° gennaio 2000 nelle
qualifiche funzionali e nei profili corrispondenti per lo svolgimento dei
compiti propri dei predetti profili; si demanda ad un successivo decreto
del Ministero della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell’interno,
del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione
pubblica, la definizione dei criteri di inquadramento, nell’ambito del
comparto scuola, finalizzati all’allineamento degli istituti retributivi
del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento
alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento
ai fini giuridici ed economici, nonché dell’incidenza sulle rispettive
gestioni previdenziali, dell’anzianità maturata presso gli enti,
previa contrattazione collettiva, da svolgersi entro il mese di ottobre
1999, fra l’ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentative dei comparti
scuola ed enti locali, ai sensi dell’art.34 del decreto legislativo n.29/1993
e dell’art.47 della legge n.428/1990.
Il previsto, successivo,
decreto del Ministero della pubblica istruzione (5 aprile 2001 (in Gazz.
Uff.14 luglio n.162)- ha “recepito” l’accordo ARAN Rappresentanti delle
organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri
di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali
e transitato nel comparto scuola, richiamando ancora, nel preambolo, l’art.34
d.lgs.29/1993, e l’art.47 l.428/1990.
Interessa la controversia
la previsione dell’art.3 dell’accordo sindacale (e del decreto), con la
quale- secondo l’accertamento di fatto del giudice del merito, non oggetto
di contestazioni- il personale A.T.A. doveva essere inquadrato nella progressione
economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali
del comparto scuola, mediante attribuzione della posizione stipendiale
d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento
al dicembre 1999, con l’ulteriore precisazione che l’eventuale differenza
tra l’importo della posizione stipendiale, di inquadramento e il trattamento
annuo in godimento alla data indicata veniva corrisposta ad personam e
considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della
successiva posizione stipendiale.
E’ evidente, quindi, sempre
secondo gli accertamenti di fatto compiuti nel giudizio di merito, che
al nuovo inquadramento economico non si è proceduto sulla base dell’anzianità
di servizio, ma è stato il complessivo livello retributivo a determinare
il riconoscimento di una certa anzianità.
Il passaggio dall’uno all’altro
assetto è stato effettuato in base al criterio del cd. “maturato
economico”, il quale tiene conto unicamente del trattamento economico complessivo
goduto al momento dell’inquadramento nei ruoli statali, prescindendo dall’anzianità
effettiva. Questo comporta un chiaro vantaggio per il personale all’inizio
della carriera, il quale beneficia immediatamente dei miglioramenti retributivi
ed ha la prospettiva di beneficiare a lungo per tutto lo svolgimento della
prevista progressione economica, ma al tempo stesso provoca un appiattimento
della posizione del personale con maggiore anzianità nell’ambito
della medesima qualifica, il quale se vede conservato il proprio trattamento
economico, puo’ beneficiare del nuovo e piu’ favorevole sistema retributivo
per un periodo di tempo molto minore.
Sul piano delle regole giuridiche,
la descritta vicenda legittima le conclusioni seguenti:
a) ai menzionati decreti interministeriali
va riconosciuta natura di atti generali con i quali il nuovo datore di
lavoro- lo Stato- ha dato attuazione al trasferimento di personale previsto
dalla legge, restando esclusa la natura normativa, e cio’ sia per i riferimenti
contenuti nei rispettivi preamboli e la mancata sottoposizione dei decreti
al parere del Consiglio di Stato (come prescritto, per l’emanazione dei
regolamenti di competenza ministeriale, dall’art.17 legge n.400 del 1998,
in relazione al disposto dell’art.17, comma 25, lett.a), della legge 15
maggio 1997, n.127) sia perché totalmente privi, almeno in punto
di riconoscimento dell’anzianità ai fini giuridici ed economici,
di contenuti astratti e generali diretti ad innovare l’ordinamento giuridico,
neppure sul piano della mera esecuzione del disposto normativo;
b) in particolare, con il
secondo dei decreti indicati, è stato “recepito” un accordo sindacale,
il quale non puo’ che essere inserito- come, del resto, espressamente si
dice nel preambolo- nell’ambito del quadro normativo tracciato dall’art.47
l.428/1990, commi 1-4, che contempla esclusivamente obblighi di informazione
e di consultazione nei confronti delle organizzazioni sindacali;
c) di conseguenza, non puo’
dubitarsi che l’accordo sindacale 20 luglio 2000 è privo di natura
normativa, ma rappresenta semplicemente l’esito di consultazioni in ordine
alle modalità- con valutazione concorde delle parti- di attuazione
del trasferimento dei rapporti di lavoro, non risultando altrimenti spiegabile
la “recenzione” nel decreto ministeriale.
E’ dimostrata così
l’infondatezza delle tesi dell’amministrazione ricorrente che assumono
a presupposto l’efficacia normativa dell’accordo collettivo che sarebbe
stato abilitato per questo ad incidere sulla disciplina dei rapporti di
lavoro anche in deroga a disposizioni speciali di legge (art.2 comma 2
d.lgs.165/2001). In realtà, l’accordo non è ascrivibile alla
categoria descritta dall’art.40, d.lgs 165/2001, né risulta stipulato
secondo la speciale procedura prevista, e cio’ rende anche superfluo riprendere
il discorso , sopra accennato, circa i limiti all’autonomia collettiva
derivanti dall’inderogabilità delle disposizioni dello stesso decreto
165/2001 (nella specie, art.31).
In definitiva, la risoluzione
della controversia non richiede di disapplicare atti amministrativi presupposti,
né di verificare la compatibilità con la legge di clausole
di contratti collettivi, ma soltanto di verificare se l’amministrazione
di destinazione, il nuovo datore di lavoro, abbia tenuto, mediante gli
atti generali adottati con i decreti ministeriali e previa consultazione
sindacale, un comportamento coerente con le regole dei rapporti di lavoro,
ovvero se queste regole siano state violate, con conseguente inadempimento
imputabile all’amministrazione statale.
Si è già constatata
inestistenza di “disposizioni speciali” rispetto alla disciplina di cui
all’art.2112 c.c. (art.34 d.lgs. 29/1993, nel testo novellato dal d.lgs.
80/1998, e poi riprodotto dall’art.31 d.lgs. 165/2001), disciplina, al
contrario, confermata e ribadita dall’art.8 l.124/1999.
Non vi sono elementi, quindi,
per ritenere che la legge da ultimo citata abbia inteso apportare una qualche
deroga al disposto dell’art.2112 c.c. – nel testo anteriore alle modificazioni
introdotte dall’art.1 d.lgs n.18 del 2001 e dall’art.32 d.lgs 276 del 2003-
nella parte in cui stabilisce la continuità giuridica dello stesso
rapporto di lavoro e l’applicazione immediata del c.c.n.l. in vigore nel
comparto di destinazione, ancorchè la normativa sostitutiva possa
comportare condizioni peggiorative (vedi Cass.8 settembre 1999, n. 9545),
in linea, del resto, con analoghe discipline del settore pubblico (cfr.art.7,
legge 20 marzo 1975, n.70).
Il riconoscimento dell’anzianità
pregressa mediante il sistema del cd. “maturato economico”, invece, per
il carattere fortemente derogatorio rispetto agli effetti della continuità
dei rapporti di lavoro, presuppone una specifica abilitazione legislativa,
nella fattispecie assolutamente mancante.
Pertanto fermo restando il
potere attribuito all’amministrazione della legge in ordine alla determinazione
dei tempi ed altre modalità del trasferimento di personale, il trasferimento
medesimo, una volta divenuto operativo, comporta l’adozione di atti di
inquadramento rispettosi dei principi dettati dall’art.2112 c.c. e dalla
conforme legislazione di settore, principi che implicano l’attribuzione
della qualifica corrispondente a quella posseduta con l’anzianità
già maturata. In altri termini al dipendente A.T.A. già in
servizio presso gli enti locali, vanno applicati i trattamenti economici
e normativi stabiliti dal c.c.n.l. del comparto scuola, considerandolo
come appartenente al detto comparto fin dalla costituzione del rapporto
di lavoro con l’ente locale, e cio’ a prescindere dal risultato retributivo
finale (favorevole o svantaggioso).
Sussistono giusti motivi,
identificati nelle novità e peculiarietà delle questioni,
per compensare interamente le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Cosi’ deciso in Roma addi’ 15 marzo 2005
Il Consigliere estensore Il Presidente
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