Aula 'A'
01892/05
1 FEB 2005
1892
Oggetto: Lavoro
R. G. N. 22596/02
Ud. 03/12/04

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Sergio MATTONE - Presidente
Dott. Alessandro DE RENZIS - C o n s i g l i e r e -
Dott. Saverio TOFFOLI - C o n s i g l i e r e -
Dott. Giovanni AMOROSO - R e l . C o n s i g l i e r e -
Dott. Vincenzo DI CERBO - c o n s i g l i e r e

ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
TETRA PAK LATINA SPA già CARTOTECNICA PONTINA SPA, i n persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato i n ROMA VIA PARIOL I 87, presso lo studio dell'avvocato ALFONSO SERRA,
rappresentato e difeso dall' Avvocato DOMENICO ROSANO, giusta delega in atti;
- ricorrente

contro

FLAICA UNITI CUB FEDERAZIONE PROVINCIALE DI LATINA;
- intimata

avverso la sentenza n. 1595/01 della Corte d 'Appello di ROMA, depositata il 13/ 05/01 - R. G. N. 1533/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/04 dal Consigliere Dott. Giovanni AMOROSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per
l'inammissibilità ed in subordine rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato il 31.3.2000 l a F.L.A.I.C.A. Uniti-C.U.B., Federazione provinciale di Latina, proponeva appello avverso la sentenza emessa in data
26.3.1999, con cui il Pretore di Latina, in funzione di giudice del lavoro, aveva respinto l'opposizione al decreto ex art. 28 Stat. lav. di rigetto del ricorso per la
dichiarazione di antisindacalità del comportamento della società Cartotecnica Pontina s.p.a. consistente nel rifiuto di consentire al lavoratori di riunirsi nell'assemblea
indetta dal R.S.U. Angelo Vona eletto nella lista della Flaica. Ribadiva la propria legittimazione attiva, implicitamente riconosciuta dal primo giudice, e rilevava che la
materia del contendere non riguardava il referendum modificativo dell'art. 19 Stat. lav., bensì il potere di indire le assemblee da parte di ciascun membro della RSU oppure congiuntamente da tutti i membri deducendo che l'accordo interconfederale del 20.12.1993 doveva interpretarsi nel primo senso e che una diversa interpretazione sarebbe stata in contrasto con I'art. 20 dello Statuto.

Chiedeva quindi la riforma della sentenza con I'accoglimento della domanda diretta alla dichiarazione dell'antisindacalità del comportamento della società convenuta
consistito nel rifiuto di consentire ai lavoratori di riunirsi nell'assemblea indetta dal R.S.U. Angelo Vona eletto nella lista della FLAICA, con l'adozione dei provvedimenti opportuni per rimuovere gli effetti e in particolare ordinare alla società di consentire l'assemblea e di non reiterare il comportamento, con affissione e
pubblicazione del provvedimento.

L'appellata si costituiva, contestando l'appello e chiedendone il rigetto con la conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza n. 1595 del 13-29 settembre 2001 la Corte d'appello di Roma, in riforma dell'impugnata sentenza, ha accolto la proposta opposizione al decreto ex art. 28 Stat. lav. di rigetto, pronunciato dal Pretore di Latina, e per l'effetto dichiarava l'antisindacalità del comportamento della società appellata consistito nel rifiuto di consentire l'assemblea indetta dal R.S.U. del sindacato appellante, con conseguente obbligo della società di rimuovere gli effetti, consentendo lo svolgimento
dell'assemblea.

2. Per la cassazione di questa pronuncia ricorre la società Tetrapack Latina s.p.a., già cartotecnica Pontina s.p.a. con un unico motivo illustrato anche da successiva
memoria.

La Federazione sindacale intimata non si è costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo di ricorso, articolato in due profili, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per "violazione di norme di diritto" in relazione all'art. 4
dell'accordo interconfederale per la costituzione della R.S.U. del 20 dicembre 1993. Si duole in particolare dell'affermazione della sentenza della Corte d'appello di
Roma secondo cui sarebbe tardiva l a tesi datoriale tesa a sostenere che il diritto di assemblea sarebbe stato conferito alle r.s.a. come organismo e quindi non rientrerebbe tra i diritti attribuiti dall'accordo interconfederale suddetto ai componenti di r.s.u.. Si duole inoltre dell'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 4 dell'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 sulle r.s.u..

2. Il ricorso è infondato.

3. Deve considerarsi preliminarmente che mentre nel ricorso l a difesa della ricorrente muove (correttamente) dal presupposto che l e parti sociali ben possono prevedere prerogative di carattere sindacale al di là d i quelle poste dallo Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970 n. 300) ed essenzialmente critica la sentenza impugnata per aver male interpretato l'art. 4 del citato accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (che - a suo dire - non prevederebbe affatto la possibilità per il singolo r.s.u. di indire l'assemblea sindacale), nella memoria la stessa difesa sembra correggere il tiro richiamando quell'orientamento giurisprudenziale (Cass. 26 febbraio 2002 n. 2855 e Cass. 20 aprile 2002 n. 5765) che, in riferimento alla stessa fattispecie oggetto del presente giudizio, sembra negare in radice tale possibilità di estrinsecazione dell'autonomia collettiva escludendo che una componente di designazione esclusivamente elettiva della r.s.u. sia legittimata a convocare autonomamente l'assemblea dei lavoratori. Si legge infatti in tali pronunce che "tra le prerogative attribuite dal citato art. 4 [del menzionato accordo interconfederale] a detti componenti [delle r.s.u.] non può però includersi il diritto di indire assemblee dei lavoratori conferito dall'art. 20 Stat. lav. invece alle r.s.a. (e non ai suoi dirigenti), cui subentrano le r.s.u. quali organismi sindacali". Ossia parrebbe ipotizzabile un impedimento normativo, derivante dall'art. 20 Stat. lav. in particolare ed in generale da principi inderogabili in materia di rappresentatività sindacale, che precluderebbe un tale allargamento delle prerogative sindacali; costruzione questa che nella sostanza viene invocata dalla difesa della ricorrente nella sua memoria per chiedere l'accoglimento del ricorso per una assorbente ragione (di diritto) che sta a monte di quella sviluppata nel motivo di ricorso. Sarebbe in effetti inutile domandarsi se il giudice di merito abbia
fatto, o meno, corretto uso dei canoni di ermeneutica contrattuale nell'interpretare l'art. 4 del menzionato accordo interconfederale, se in radice il risultato interpretativo al quale poi il medesimo giudice è pervenuto (riconoscendo la possibilità al singolo r.s.u. di indire l'assemblea sindacale) fosse in generale precluso per il fatto che l'autonomia contrattuale collettiva non sarebbe autorizzata a prevedere ciò.

4. In realtà questa preclusione non sussiste.

4.1. Occorre considerare da una parte l'art. 39, primo comma, Cost., che riconosce l'organizzazione sindacale come libera, e l'art. 14 Stat. lav., che prevede che il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro; da queste due disposizioni, che fanno blocco, emerge un generale riconoscimento dell'autonomia sindacale che reca con sé anche quello dell'autonomia contrattuale collettiva con il limite delle norme imperative.

D'altra parte l'art. 17 Stat. lav., quale appunto norma imperativa limitativa dell'autonomia contrattuale collettiva, fa divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro d i costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.

L'autonomia collettiva quindi può spaziare nell'ambito delle prerogative sindacali prevedendone di nuove e diverse rispetto a quelle contemplate dalla normativa di sostegno posta dal titolo III dello Statuto dei lavoratori, ma senza giungere a riconoscere ad un sindacato, o a determinati sindacati, una situazione differenziata di vantaggio che lo collochi ingiustificatamente quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro da qualificarlo quale sindacato di comodo (ex art. 17 cit.). Contigua a questa fattispecie del sindacato di comodo è poi quella dell'individuazione di un'associazione sindacale del tutto sganciata dalla sua effettiva rappresentatività (C. cost. n, 975 del 1988 e n. 492 del 1995).

Ed allora anche il criterio di rappresentatività sindacale ex art. 19 Stat. lav., la cui selettività è compatibile con la pur generalizzata tutela della libertà sindacale (C. cost. n. 54 del 1974), vale ai fini della normativa di sostegno prevista dallo Statuto dei lavoratori; ma nulla esclude, con il limite suddetto, che altri criteri di rappresentatività (ed altre prerogative sindacali) possano essere introdotti dalla contrattazione collettiva, fermo restando che allo specifico fine di porre una contrattazione collettiva di portata generale l'unico criterio idoneo di rappresentatività sindacale è quello di cui al quarto comma del cit. art. 39 Cost. .

4.2. Vero è C. cost. n. 30 del 1990 ha affermato che il criterio selettivo suddetto (quello dell'att. 19 cit.) ha carattere inderogabile perché possibili regole pattizie in deroga a tale criterio, risolvendosi per i destinatari in una disciplina di favore, sono suscettibili di "avvantaggiare sindacati di scarsa consistenza e, correlativamente, alterare la parità di trattamento rispetto ad organizzazioni dotate di rappresentatività anche maggiori presenti in azienda". Ma l'esito del referendum indetto con d.p.r. 5 aprile 1995 e svoltosi 1'11 luglio 1995 ha radicalmente modificato il quadro di riferimento (ex d.p.r. 28 luglio 1995, n. 312) non essendo più predicabile il livello "extra-aziendale" quale "soglia minima di rappresentatività", né il requisito dell'intercategorialità e della pluricategorialità del sindacato (requisito questo in particolare valorizzato da C. cost. n. 334 del 1988 nel fondare il giudizio di meritevolezza del sindacato maggiormente rappresentativo) con conseguente abbassamento a livello aziendale della soglia di verifica della rappresentatività (v. anche C. cost. n. 1 del 1994). Si ha infatti che ora il criterio legale di rappresentatività sindacale aziendale fa riferimento unicamente al fatto che l'associazione sindacale sia firmataria di un contratto collettivo di lavoro applicato nell'unità produttiva; tanto è sufficiente ed è stato altresì ritenuto rispettoso del principio di libertà sindacale (cfr. C. cost. n. 244 del 1996, che ha precisato che ormai il criterio selettivo stabilito dall'art. 19 vale "esclusivamente" per I'individuazione dei sindacati le cui rappresentanze nelle unità produttive sono destinatarie dei diritti e delle tutele previsti nel titolo IIIdella legge n. 300 del 1970 e quindi -può qui notarsi - non ha più quella potenzialità di modello cogente già prefigurato da C. cost. n. 30 del 1990 cit.). Il baricentro della rappresentatività sindacale di fonte legale insiste ormai solo sulla stessa estrinsecazione dell'autonomia contrattuale collettiva; la quale quindi in generale, se è idonea a veicolare la rappresentatività sindacale in azienda, non può - per la contraddizione che non lo consente - non essere anche idonea, in ragione dell'ampio riconoscimento a livello costituzionale della libertà di organizzazione sindacale, a modulare le prerogative sindacali in azienda secondo criteri di rappresentatività nuovi e diversi con il limite del sindacato di comodo (art. 17 Stat. lav.) o del tutto sganciato da un'effettiva rappresentatività, da verificare caso per caso e non già in ragione di una sorta di presunzione assoluta per il solo fatto di un'estensione pattizia o di una diversa configurazione delle prerogative sindacali.

Ed allora le r.s.u. - che, sulla base di un accordo interconfederale (del 20 dicembre 1993, preceduto dal protocollo di intesa del 23 luglio 1993), rispondono ad un diverso criterio di rappresentatività sindacale in azienda (quello elettivo con soglia di sbarramento, ma privo di esclusività in quanto aperto ad ogni associazione sindacale che abbia anche solo aderito all'accordo interconfederale: cfr. Cass. 5 maggio 2003 n. 6821)
- sono pienamente legittime anche se deviano dal criterio di rappresentatività posto dall'art. 19 Stat. lav., fondato sulla mera sottoscrizione di un contratto collettivo
applicabile nell'unità produttiva; ed altrettanto legittime sono, in linea di massima, le prerogative sindacali pattiziamente previste per l e r.s.u. che non sono condizionate a monte dal previo riscontro della sussistenza della rappresentatività sindacale ex art. 19 Stat. lav. (la mera adesione ad un contratto collettivo applicabile in azienda - quale sarebbe innanzi tutto l'adesione all'accordo interconfederale citato per partecipare all'elezione delle r.s.u. - non vale di per sé sola ad integrare il presupposto dell'art. 19 cit. nella formulazione risultante dall'abrogazione referendaria: Cass. 27 agosto 2002 n. 12584; cfr. anche Cass. 5 dicembre 1988 n. 6613 con riferimento all'originaria formulazione dell'art. 19 cit.).

4.3. Dalle considerazioni svolte risulta quindi che il modello dell'art. 20 Stat. lav., che prevede che ad indire l'assemblea siano, singolarmente o congiuntamente, le r.s.a. nell'unità produttiva, non si pone affatto come limite legale all'autonomia contrattuale collettiva che riconosca il diritto di indire l'assemblea alle r.s.u.. Diverso i il criterio di rappresentatività (delle r.s.u. rispetto a quello delle r.s.a.) e nulla esclude che una particolare prerogativa sindacale espressamente prevista dalla contrattazione collettiva (il sopra menzionato accordo interconfederale) possa essere configurata diversamente; talché, quali che siano le modalità di convocazione della r.s.a. ex art. 20 Stat. lav. ed ove anche tale disposizione fosse interpretata nel senso di escludere che l'assemblea possa essere indetta dal singolo dirigente di una r.s.a. se a composizione collegiale, non può analogamente predicarsi che giammai il singolo r.s.u. possa indire l'assemblea. Né viene in rilievo il limite dell'art. 17 Stat. lav. sul sindacato di comodo atteso che la r.s.u. è formata su base elettiva e quindi non c'è in radice alcuna prefigurazione di un sindacato in posizione differenziata che debba essere scrutinata per verificarne la riconducibilità, o meno, alla fattispecie dell'art. 17 cit.. Occorre quindi null'altro che interpretare l a norma contrattuale. collettiva per ricostruire l a prerogativa sindacale in esame.

In conclusione la prospettazione difensiva della società ricorrente svolta nella memoria difensiva, secondo cui dall'art. 20 Stat. lav. e dai principi in materia di rappresentatività sindacale risulterebbe che l'assemblea non potrebbe giammai essere indetta dal singolo rappresentante sindacale unitario, è destituita di fondamento, operando il diverso principio di diritto secondo cui l'autonomia contrattuale collettiva può prevedere organismi di rappresentatività sindacale in azienda (quali, nella specie, le r.s.u. di cui all'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993) diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e alle prime può assegnare prerogative sindacali ~ quale il diritto di indire l'assemblea sindacale - non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con il limite, previsto dall'art. 17 legge n. 300/70 cit., del divieto di riconoscere ad un sindacato un'ingiustificata posizione differenziata che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore d i lavoro.

5. Occorre allora considerare il motivo di ricorso nella sua ordinaria formulazione e segnatamente nei due profili in cui esso si articola.
Quanto al primo profilo è sufficiente considerare che è vero che la sentenza impugnata ha ritenuto tardiva la prospettazione difensiva della società secondo cui il diritto di assemblea è stato conferito alle r.s.a. (dall'art. 20 Stat. lav.) come organismo e non già ai singoli dirigenti, ma poi l'ha anche ritenuta infondata affermando che il diritto di indire l'assemblea spetta anche a ciascuna r.s.a. singolarmente e non già necessariamente in forma collegiale a tutte l e r.s.a. presenti in azienda. La difesa della società si è limitata a censurare la prima affermazione, ma non anche la seconda, talché la censura, così limitata al solo profilo della tempestività della deduzione, è inidonea ad inficiare l'impugnata sentenza.

6. Quanto al secondo profilo del motivo di ricorso l a tesi della difesa della società si fonda su quello che essa ritiene essere la lettera della norma contrattuale collettiva di cui ha fatto applicazione la sentenza impugnata; essa infatti sostiene che "il tenore testuale dell'art. 4 A.I. fa esclusivo riferimento ai diritti, permessi, libertà sindacali e tutela, attribuite dal titolo III dello S.D.L. non alle R.S.A. quale organismi, bensì ai dirigenti delle stesse, prevedendo la loro estensione ai componenti della R.S.U.". In sostanza quindi la difesa della società addebita alla sentenza impugnata di aver negletto il dato letterale della norma contrattuale.

La censura è però inidonea ad inficiare l'interpretazione accolta dalla Corte d'appello di Roma che è sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria, rispettosa dei canoni legali di interpretazione contrattuale.

L a sentenza impugnata riferisce il contenuto letterale dell'art. 4 del citato accordo interconfederale e lo legge in combinato disposto con il successivo art. 5. Evidenzia che l'art. 4 stabilisce che i componenti delle r.s.u. subentrano ai dirigenti delle r.s.a. nella titolarità dei diritti, permessi e libertà sindacali e tutele già loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo III° della legge n. 300/1970 ed il successivo art. 5, che la difesa della ricorrente peraltro non considera, prevede che alle r.s.a. ed ai loro dirigenti subentrino le r.s.u. - delle quali peraltro non è predicata la natura di organismi a funzionamento coIIegiaIe - nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge.

Ed allora - ha ritenuto la Corte d'appello - le prerogative sindacali delle r.s.a. (tutte, sia quelle riferibili alla singola r.s.a., sia quelle attribuite ai suoi dirigenti) sono pattiziamente riconosciute alle r.s.u.; e tra queste prerogative sindacali è compreso anche il diritto di indire l'assemblea sindacale.

Questa interpretazione accolta dalla Corte d'appello è - contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa della società ricorrente - rispettosa della lettera del menzionato accordo interconfederale che non contiene alcun dato testuale che faccia ritenere che il riconoscimento pattizio delle prerogative sindacali sia limitato solo a quelle attribuite ai dirigenti delle r.s.a. (quali quelle di cui agli artt. 22, 23 e 24 Stat. lav.) e non si estenda anche a quelle riconosciute alle r.s.a. come organismi rappresentativi (quale il diritto di indire l'assemblea ex art. 20 Stat. lav.). L'ampia formulazione della norma contrattuale (nel combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell'accordo interconfederale) non autorizza questa distinzione limitativa.

La sentenza impugnata giustifica poi anche l'ulteriore affermazione che il diritto di indire l'assemblea è riconosciuto al singolo componente della r.s.u. e non già a quest'ultima come organismo a funzionamento necessariamente collegiale (argomento interpretativo che peraltro non è specificamente censurato dalla difesa della ricorrente); ciò lo desume da un dato letterale (e segnatamente dall'art. 5 cit. che si riferisce alle r.s.u. al plurale) e da una considerazione sistematica: se la prerogativa prevista dall'art. 20 Stat. lav. in favore delle r.s.a. non richiedeva che I'indizione dell'assemblea fosse necessariamente congiunta potendo le riunioni sindacali essere convocate "singolarmente o congiuntamente", la speculare prerogativa pattizia prevista dall'art. 4 cit., che reca il riconoscimento del diritto di indire "singolarmente o congiuntamente" l'assemblea dei lavoratori, ripete null'altro che questa duplice modalità di convocazione escludendo che questa (la convocazione) possa essere solo ed unicamente congiunta, ossia riferita all'intera rappresentanza sindacale unitaria.

7. In conclusione la sentenza impugnata si sottrae alle censure della ricorrente e pertanto il ricorso deve essere nel suo complesso rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese di questo giudizio di cassazione non avendo la parte intimata svolto alcuna difesa.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre 2004

Il Consigliere estensore
Giovanni Amoroso

Il Presidente
Sergio Mattone

Depositato in Cancelleria
Oggi 01 FEB 2005

IL CANCELLIERE
Giovanni Cantelmo


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