Rendiamo nota l' intera intervista rilasciata da Stefano d'Errico a Reginaldo Palermo per il numero in stampa de "La Tecnica della Scuola". Per meri motivi di spazio, non tutta verrà pubblicata. Perciò la riproduciamo qui integralmente, non senza ringraziarne l'autore e la testata per la sensibilità, la disponibilità e l'attenzione dimostrate.

CONVERSAZIONE CON STEFANO D'ERRICO, SEGRETARIO NAZIONALE DELL'UNICOBAS.

GLI SCIOPERI: IL 3, IL 17 ED IL 30. L'AMBIGUITA' DEI CONFEDERALI, DELLO SNALS E DELLA GILDA. LA "TESTARDAGGINE" E L'INADEGUATEZZA DEI COBAS.

QUELLO CHE L'INFORMAZIONE (ANCHE SINDACALE) TACE SULLA MANOVRA DEL GOVERNO.

LA PROPOSTA DELL'UNICOBAS SCUOLA.

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La Tecnica della Scuola (*):

Con lo sciopero del 3 ottobre il suo sindacato è assurto agli onori delle cronache.
Il Miur ha parlato di un 2% di adesioni, voi parlate del 20%.
Resta il fatto che a Roma le percentuali sono alte anche secondo il Ministero.
Siete soddisfatti, immagino...

Stefano d'Errico (**):

Quando abbiamo avuto notizie da tutto il Paese di scuole intere rimaste chiuse (a decine solo a Roma), abbiamo capito di aver centrato l'obiettivo: non è stato uno sciopero da poco ed i cinquemila manifestanti sotto il Ministero lo dimostrano. Siamo soddisfatti, ma perplessi al tempo stesso: com'è possibile che, a fronte di un generale autoproclamato "levar di scudi" e di una ben più fattiva agitazione generale della maggioranza della categoria, Confederali ed "autonomi" abbiano lasciato che il decreto venisse approvato alla Camera prima di indire una giornata di lotta unitaria? Ed ora che finalmente CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda si sono decisi (e speriamo che non sia troppo tardi), come possono i COBAS, con la stessa testardaggine dimostrata rispetto al nostro sciopero del 3, mantenere ancora la data del 17 a fronte dello sciopero unitario del 30 ottobre (il primo così vasto da moltissimi anni)? Per quanto riguarda l'Unicobas, noi ci saremo, perché questa volta le scuole vengano chiuse davvero tutte, ed anche per dimostrare in piazza che esiste qualcosa di ben diverso da quel sindacalismo tradizionale e burocratico che nel passato (anche recentissimo) ha accumulato moltissime responsabilità a fronte dello sfascio progressivo della scuola italiana.

(*) Lei ha polemizzato anche con i Cobas e ha definito inutile il loro sciopero del 17 ottobre: Perchè?

(**) Lo sciopero del 17 ottobre è stato proclamato dai COBAS nel mese di giugno insieme alle RdB-CUB del pubblico impiego e ad SDL dell'Alitalia. Non è stato pensato per la scuola: è uno sciopero generale per tutto il mondo del lavoro. Nel frattempo sono state rese note le brillanti idee della Gelmini, mera esecutrice del piano Tremonti ("ministro prevalente" del Governo Berlusconi). Le conosciamo: maestro unico, eliminazione del tempo pieno ed inevitabile ritorno al dopo-scuola comunale su "base padana" (il Sud non avrà neanche questo); eliminazione del tempo prolungato alle medie; obbligatorietà delle "classi primavera" e trasformazione definitiva della scuola dell'infanzia in succursale degli asili-nido; il tutto con la soppressione di 87.500 cattedre e 40.000 posti ATA in 3 anni (come se i 25.000 tagli complessivi vergognosamente previsti da Prodi non bastassero). Era ed è evidente che la scuola – sulla quale si concentra l'attacco più forte – aveva ed ha bisogno di uno sciopero specifico. Il giorno successivo al 17 i giornali parleranno al massimo di uno sciopero contro Brunetta ed il suo attacco ai "fannulloni" del pubblico impiego, o di una manifestazione sul problema del "precariato sociale". Con tutto il rispetto, ci pare un qualcosa che non "centra" il problema dell'emergenza scuola, né quello dei precari dell'istruzione, i primi ed i più numerosi da sempre ma al tempo stesso i peggio trattati ed oggi destinati a lasciare ogni speranza (anche sulle supplenze), semplicemente perché non sono entrati.

(*) In queste settimane si è parlato molto di tagli e di maestro unico, ma forse il personale della scuola vorrebbe sapere qualcosa anche sul contratto.
Non crede ?

(**) Il personale della scuola non viene informato né sul contratto, né sul resto della manovra del Governo. Non gli è stato detto che i Confederali hanno di fatto accettato la triennalizzazione dei contratti e che se prima, con la prassi della firma negli ultimi mesi, si perdeva sempre un anno "in cavalleria", d'ora in avanti se ne perderanno due. Del resto, l'ultimo CCNL è scaduto nel dicembre scorso e, nel silenzio assoluto, Prodi non ha lasciato un euro per l'anno in corso. Né Tremonti finanzia appropriatamente il prossimo anno (8 euro di indennità di vacanza contrattuale). Tanto se ne parlerà nel 2010!

Ma non si fa informazione neppure sugli effetti nefasti del ddl dell'On. Valentina Aprea, una vera legge-quadro sulla scuola che si lega al decreto Brunetta ed andrà presto in discussione. Se questi dispone che nel pubblico impiego i sottoposti devono venire valutati dai dirigenti, la Aprea lo ribadisce per gli insegnanti. Costei eliminerebbe poi i concorsi nazionali e/o regionali, facendo del dirigente il presidente delle commissioni che assumeranno direttamente il personale scuola per scuola. La definizione di "datore di lavoro" imposta ai dirigenti scolastici, introdotta con quella privatizzazione del rapporto di lavoro mandata a regime con il D.Lvo 29/93 e tanto voluta dai Confederali, diviene quindi "operativa" a tutti gli effetti. La Aprea cancella persino la contrattazione di scuola, facendo sparire le RSU, che – peraltro solo per i docenti – verrebbero ricostituite (forse) a livello superiore. Il senso sta nel consegnare la distribuzione del fondo di istituto alla discrezionalità dei dirigenti (esattamente come impone Brunetta per il general-generico pubblico impiego). Dirigenti intesi anche come padroni assoluti sul piano disciplinare, vista l'eliminazione dell'attuale stato giuridico e dei consigli di disciplina e dai quali dipenderebbe sostanzialmente l'aspettativa di "carriera" dei docenti, introdotta con cinque fasce di "merito". Si dispone poi la trasformazione delle scuole in fondazioni, vendute di fatto al capitale privato (inteso anche come committenza), con consigli di amministrazione in luogo dei consigli di circolo/istituto, presieduti sempre dal dirigente anziché da un genitore.

Infine, nessuno ha quantificato gli effetti che avranno (da subito) le altre idee della Gelmini: riduzione a 4 anni di una parte dei licei; taglio del 30-40% del tempo scuola degli istituti tecnici e professionali; riduzione di molte delle ore per materia; completamento dell' "obbligo" nella formazione professionale. Si tratta di altre 80.000 cattedre e, al minimo, di ulteriori 20.000 posti ATA che saltano in 6 anni: tutto personale destinato alla mobilità, nonostante le assicurazioni di Berlusconi (il blocco del turn-over non sarebbe sufficiente).

(*) L'Unicobas sostiene che fino a quando la scuola starà nel pubblico impiego è difficile prevedere un trattamento normativo ed economico adeguato.
Ci vuole spiegare meglio la cosa ?

(**) I mali della scuola vengono da lontano. Il mondo politico e sindacale tradizionale pensa ai docenti come a degli impiegati (e per di più a "part-time"). Gente che non produce direttamente ricchezza (secondo accezioni operaistico-industrialiste), paradossalmente con troppe ferie in godimento.

Così siamo stati portati ad avere la metà dello stipendio degli insegnanti coreani. Il lavoro sommerso non viene minimamente considerato, né le grandi responsabilità penali, tantomeno il fatto che la funzione che esercitiamo è di tipo professionale e comporta un lavoro estremamente concentrato (il contrario del lavoro "esteso" autogestibile) ed assorbente dal primo all'ultimo minuto di cattedra. Una funzione che richiede empatia.

Una funzione atipica, quella dei docenti, così come "atipica" è ogni funzione nella scuola. Tutti sanno che i collaboratori scolastici hanno responsabilità di vigilanza su minori che gli uscieri di un ministero o di un ente locale non hanno. Di contro, gli aiutanti tecnici svolgono un ruolo di coadiuzione educativa non riconosciuta. Il metro di misura impiegatizio è del tutto evidente in un contratto di lavoro come il nostro, fotocopia degli altri interni appunto al settore del pubblico impiego: si pensi, ad esempio, al "cottimismo" per i docenti!

Le regole imposte dal DLvo 29/93 alla contrattazione nel PI comprendono tre punti assolutamente assurdi per la scuola. In primis, l'eliminazione del ruolo: siamo stati infatti definiti, dal CCNL del 1995 in poi, quali "incaricati a tempo indeterminato", come un tempo i precari, a loro volta in una posizione ancora più incerta, indicata dagli incarichi "a tempo determinato". Una precarizzazione di fatto, ma soprattutto lo svilimento della nostra autonomia professionale: il ruolo era una difesa per la libertà d'insegnamento.

La seconda regola prevede l'eliminazione totale di ogni progressione d'anzianità: infatti i vecchi scatti biennali sono stati sostituiti da "gradoni" sessennali e settennali e progressivamente si va verso l'annullamento anche di questi (Brunetta docet!), visto che già con la creazione della retribuzione professionale docente e della CIA (per gli ATA), s'è disposta una distribuzione su solo tre fasce d'anzianità anziché su sei. Ma l'esperienza nella scuola conta, perché ad insegnare s'apprende soprattutto insegnando, tanto che persino paesi iperliberisti come la Svizzera riconoscono l'anzianità solo ai docenti (con automatismi annuali).

Infine, il DLvo 29/93 vieta aumenti contrattuali superiori all'inflazione programmata. Questo è pesantissimo. Non solo perché il tasso lo fissa il Tremonti di turno, che ai tempi della conversione della lira in euro, a fronte di un'erosione del potere d'acquisto pari al 50%, c'impose un contratto con il 2% di "aumento". Soprattutto perché con una regola del genere non potremo mai neppure avvicinarci alla media retributiva europea, dalla quale siamo tanto distanti da essere ormai all'ultimo posto (fatti i dovuti calcoli sul costo della vita). Quindi, delle due l'una: o si esce dall'area di vigenza del DLvo 29/93 (e questa non è proposta di "destra, centro o sinistra", ma semplicemente di buon senso), o non si risolve alcun problema. Noi vogliamo un assetto contrattuale specifico per la scuola, per tutta la scuola - docenti ed ATA - unitario con l'Università. L'unico settore dove si esercita la nostra stessa funzione, ove non vigono – guarda caso – i diktat del DLvo 29/93 e gli stipendi sono nella media UE. La carta costituzionale identifica, peraltro, Scuola ed Università quali istituzioni, ben separate dal mondo dei "servizi" (altro che relativa "carta" e "studente cliente"). E sarà bene ricordare che nelle Università non esistono "dirigenti", bensì presidi elettivi.

Un sistema di valutazione va sviluppato come comunità educante, nell'ambito di quella cooperazione educativa tipica del mondo dell'istruzione, ove non hanno senso capo-uffici di stampo impiegatizio o aziendalista. Le altre organizzazioni sindacali (COBAS compresi), ponendosi contro l'uscita dal PI, hanno una visione desueta della scuola. Ma è inutile allora che parlino di "stipendio europeo", visto che questo è negato proprio dal DLvo 29/93!

(*) Dunque voi sostenete la specificità della scuola rispetto al pubblico impiego.
Ma allora siete favorevoli anche all'area separata di contrattazione per i docenti ?

(**) Già oggi esistono due capitolati nel CCNL: cosa cambierebbe con due contratti? La cosa sarebbe offensiva per gli ATA, che svolgono un'opera importante nella scuola, e non risolverebbe nulla per i docenti. Come detto, la questione che si pone non è se il contratto è unitario o separato, bensì a quali regole è sottoposto. Rimanendo nel "calderone" indistinto del pubblico impiego, il CCNL resterebbe subordinato al DLvo 29/93: un contratto separato, sì, ma sempre senza il ruolo, il riconoscimento dell'anzianità e, di rinnovo in rinnovo, sempre più lontano dalla media retributiva europea! E' una proposta maturata in casa Gilda, molto prima della privatizzazione del rapporto di lavoro. Una "rivendicazione" che oggi, se attuata, produrrebbe un mero infingimento: cambiare tutto perché nulla muti. Infatti proprio l'On. Aprea ha fatto suo il contratto separato e, ben sapendo che è a costo zero, l'ha inserito nel suo disegno di legge. Ciò spiega, tra l'altro, alcune ambiguità della Gilda, spinta dalla sua base verso lo sciopero, ma in fondo favorevole al ddl Aprea. Meglio sarebbe che ritrovasse la spinta dei primi anni, ricominciando invece a parlare di aggancio all'Università, cosa completamente sparita dalla sua piattaforma.

(*) Precariato: il Governo Prodi aveva messo in cantiere 150mila assunzioni, ma ora, con i tagli previsti dalla legge 133, sarà difficile realizzare quel programma.
D'altronde se non ci sono posti, è quasi impossibile assumere. Lei ha in mente una proposta ?

(**) Non ci sono scorciatoie. Se il Paese vuole riprendere a crescere, deve investire nel futuro, cioè nella scuola, come un paese normale. Non possiamo rimanere agli ultimi posti, con percentuali risibili del nostro prodotto interno lordo investite per istruzione, Università e ricerca. C'è un nesso evidente fra il declino che stiamo vivendo e la scelta, anche sindacale, operata dagli anni '70 con l'omologazione in basso dello stipendio dei docenti e poi con la politica dei tagli. Un paese avanzato dovrebbe fare ciò che è stato fatto a suo tempo nel resto d'Europa: cogliere l'occasione data dal calo delle nascite per individualizzare maggiormente la didattica. Bisognerebbe prendere esempio dalle elementari, non a caso la nostra scuola di maggior qualità (alla quale invece mettono mano per controriformarla): impiegare e non eliminare le compresenze, tornare allo spirito istitutivo della legge 270/82 con una dotazione organica aggiuntiva di istituto, che dia stabilità e risolva il problema della precarietà didattica delle "supplenze", per un'istruzione che sviluppi il sapere critico, approfondita e non minimalista, interculturale e partecipativa. Bisogna anche chiudere l'epoca della demagogia: non hanno senso paragoni sul numero dei docenti con paesi dove non ci sono 90.000 insegnanti di sostegno perché hanno ancora la vergogna delle classi differenziali, o che non hanno 20.000 insegnanti di religione cattolica. Inoltre, assorbiti i precari, occorre lavorare ad una vera formazione di base, magari mettendo a frutto le esperienze acquisite sul campo nella scuola militante, utilizzandole in un percorso universitario basato molto sull'esperienza pratica e sul tutoraggio: questa sarebbe una vera "carriera".