DA L’UNITÀ DEL 4 APRILE 2011, pag. 18

GIAMPAOLO SBARRA

LA PROVA INVALSI ALLE SUPERIORI

Il 10 maggio dovrebbero svolgersi, per la prima volta in Italia, le prove Invalsi nelle seconde classi della Scuola superiore. Si tratta di un’analisi comparativa, condotta sia a livello di campione, sia a livello censuario, ovvero tra tutti gli studenti. Per quest’anno la prova riguarda la lettura e la matematica, e inoltre vi sarà un’analisi attenta dei contesti socioculturali in cui si trovano ad operare gli studenti, per valutare il rapporto tra condizioni di partenza ed efficacia del processo di insegnamento-apprendimento. Niente di nuovo, in verità, sul fronte internazionale, poiché simili prove comparative sono già “a sistema” in molti paesi,e in fondo anche l’Italia ha riconosciuto il valore di queste analisi quantitative e qualitative, partecipando alle prove Ocse-Pisa, con consapevolezza - e senza contestazioni – al punto che all’ultima edizione, del 2009, hanno partecipato anche tutte le regioni italiane, proprio per essere valutate e per avere i dati su cui impostare le iniziative di miglioramento. Eppure in questi giorni vi sono alcune componenti sindacali che stanno organizzando il boicottaggio delle prove; le motivazioni su cui si basa la battaglia non sono facilmente smontabili, perché spesso nascono da pregiudizi ideologici, dalla scarsa conoscenza di ciò che accade nel mondo e da una volontaria e ostentata sottovalutazione della portata scientifica e culturale dell’operazione messa in atto; in realtà, il merito della questione c’entra solo in parte, perché alla base del rifiuto c’è un pregiudizio anti-Gelmini e anti-Berlusconi, per cui ogni iniziativa indirizzata contro il governo sembra un’iniziativa positiva. Ma il boicottaggio delle prove Invalsi è un’iniziativa che va contro il governo? Ovviamente la Gelmini va contestata per le caratteristiche complessive del suo intervento, ma la critica non può diventare un’ossessione, tale da ritorcersi contro la scuola e contro il diritto degli studenti (e della società) di avere una scuola che funziona.

 

LA RISPOSTA DI UN DOCENTE (non pubblicata da L'Unità):

Non è questa la sede per ripetere le motivazioni che spingono moltissimi Docenti a rifiutare la propria collaborazione alle prove Invalsi. Chi avesse voglia di farsene un’idea, può consultare in internet le tante mozioni dei Collegi dei Docenti, i tanti documenti prodotti dagli Insegnanti di tutta Italia, alcuni dei quali pubblicati anche da questo giornale, e reperibili tutti sul web. Leggendole, si accorgerebbe che i presunti “pregiudizi ideologici” di chi insegna non c’entrano nulla. Mi interessa qui sottolineare lo scarso interesse con cui, come al solito, qualcuno vede i Docenti e le loro opinioni, specialmente se esse riguardano la didattica, ossia la materia in cui i Docenti (e soltanto loro) sono competenti.

L’aspetto più sconcertante delle prove Invalsi è l’autoritarismo con cui si sta tentando di calarle sulle scuole, senza nemmeno avvertire i diretti interessati di una decisione presa in alto loco nei loro confronti: non i Docenti, non i genitori, non gli studenti. Il 30 dicembre 2010 (notare la scelta della data) è stata pubblicata una nota ministeriale che semplicemente annunciava le prove, scavalcando il contratto collettivo nazionale di lavoro dei Docenti, nonché tutta la normativa riguardante le competenze dei Docenti stessi, e violando la libertà d’insegnamento garantita dalla Costituzione all’articolo 33.

Gli Insegnanti cominciano a stancarsi di esser trattati da minorenni o da impiegati esecutivi un po’ ignorantelli. Qui non si tratta di “pregiudizio anti-Gelmini e anti-Berlusconi”. Da vent’anni  la Scuola pubblica e i suoi Insegnanti sostengono un attacco bipartisan: questo Governo ne rappresenta solo l’ultimo atto, il più grave, la Soluzione Finale. Dieci miliardi scippati alla Scuola Statale (mentre ventinove miliardi venivano destinati all’acquisto di aerei ed elicotteri da guerra) parlano da sé. La trattenuta sullo stipendio a chi si ammala parla da sé. Il licenziamento di centomila e più precari parla da sé. Il blocco degli stipendi parla da sé. Le minacce a chi esprime opinioni parlano da sé. Così come la continua denigrazione del corpo docente.

In un quadro del genere, in una Scuola disprezzata, impoverita, delegittimata, si pretende di valutare il lavoro dei Docenti su un unico criterio, definito “scientifico”: la capacità degli alunni di rispondere a quiz. Anche questo parla da sé.

La protesta degli Insegnanti non nasce da “alcune componenti sindacali”, ma da un sentire comune. Certo, per fortuna non tutte le componenti sindacali sono come quelle che firmano contratti capestro ai danni della categoria che fingono di rappresentare; motivo per cui alcuni sindacati accolgono le richieste della base, perché dalla base quegli stessi sindacati nascono, e non dalle burocrazie di partito (sono, insomma, sindacati che fanno il proprio mestiere). E sono i Docenti stessi a volere per primi “una scuola che funziona”, perché sono essi stessi a farla funzionare; benché nessun aiuto arrivi loro dall’alto se non qualche “scientifica” rilevazione statistica.

Alvaro Belardinelli